“Politica”, parola che comunemente definisce le azioni messe in campo per il governo della nazione, città, comunità; i cittadini ne eleggono i rappresentanti che dovrebbero, a loro volta, mettere in atto buone prassi per ben governare nell’interesse collettivo.
Ciò che può sembrare una saccente verità, purtroppo non sempre appare così lineare e spesso, la sola parola, genera confusione e malumori. La perdita di fiducia in essa, quando si manifesta ne è certamente l’aspetto più visibile, la conseguenza più pericolosa. Nel nostro Paese (e non solo), essa è stata nel tempo ingenerata da alcuni comportamenti della classe politica. Frequenti sono stati gli esempi di corruzione, scandali e malcostume istituzionale, che hanno reso fragili la democrazia e lo sviluppo sociale. Essa pare avere perso il carattere nobile da cui dovrebbe originarsi concentrandosi piuttosto su azioni di “potere e corruzione” che portano inevitabilmente all’interruzione del rapporto fiduciario, necessario a governare.
La sensazione è che si abbia diffidenza verso il voto elettorale ritenendo che sia orientato e orientabile per opportunismo; che i politici si rivolgano ad esso come ad una fetta di mercato piuttosto che espressione dei bisogni che lo esprimono.
Sgranando la composizione sociale dei votanti, quella composta dalle donne è certamente fra le più significative.
La storia e la memoria confermano quanto esse abbiano contribuito alla crescita del Paese e quanto, tuttavia, siano state sottostimate e poco considerate.
La questione di genere non nasce oggi e non ha vita solo da noi. Nel mondo essa si concentra nelle aree più povere, meno democratiche e con minore tutela dove, le discriminazioni, non solo sono tollerate, ma anche alimentate, sostenute e integrate da leggi nazionali. Eppure, anche in ambiti democratici, dove esistano leggi per la parità, esse vengono spesso disattese. Ciononostante e purtroppo, ancora in questo secolo ricco di promesse, esse si trovano ad affrontare una discriminazione multipla in quanto di genere e la violenza in tutti i suoi aspetti, è la cartina di tornasole con cui la si rileva.
Per guardare alla nostra realtà, le donne non sono state vittime passive. Hanno gridato, lottato per rivendicare piena cittadinanza e partecipazione sociale, hanno reclamato i loro diritti, si sono organizzate. Portatrici di cambiamenti economici e sociali la loro presenza si è dimostrata necessaria, il loro apporto affidabile. Eppure, la responsabilità di governo tra uomini e donne, non è ripartita in modo equo nonostante che negli ultimi anni, ci siano stati alcuni segnali di controtendenza.
Nel 2015, nel mini-dossier presentato da Openpolis, veniva rilevato che “su 28 paesi, l’Italia fa parte dei 17 in cui la componente femminile non è riuscita ancora a superare un terzo delle assemblee elette. Certo, rispetto al passato, un passo in avanti c’è stato. Le buone notizie però finiscono qua. Soprattutto grazie alla doppia preferenza di genere introdotta nel 2012 per quanto riguarda le istituzioni locali , ci sono oggi più sindaci e consiglieri (comunali e regionali) donne, ma generalmente, e questo vale soprattutto in Parlamento, esse non raggiungono quasi mai ruoli apicali e vengono relegate, quasi sempre, in settori ritenuti tipicamente femminili: welfare, educazione, scuola, salute”.
Un quadro ancora più modificato con l’attuale governo in cui sono presenti
ministri donna ai dicasteri delle Riforme, della Difesa e della Sanità, Pubblica amministrazione, (lo era anche Industria).
Sarebbe auspicabile che le donne presenti nella compagine governativa si attivassero verso azioni mirate a soddisfare alcune delle domande emerse dalle donne e rimaste disattese negli anni. Non spot elettorali, non affermazioni di principio ma azioni politiche riconoscibili.
I tempi sono cambiati e non si tratta più di rivendicare diritti negati, come avveniva negli anni ’70. Ma, proprio perché al mutamento dei tempi non ha corrisposto, se non parzialmente, un mutamento profondo della nostra cultura, sembra necessario svolgere un intervento mirato ad una diversa informazione-formazione.
Solo un’azione di libertà, d’identificazione e di autonomia potrebbe scardinare l’idea comune che ancora oggi, considera l’uomo il legittimo ed unico protagonista della gestione dello Stato.
Poiché si tratta di cambiamenti che investono la cultura e la coscienza della collettività, occorrerà molto tempo prima che le donne entrino a fare parte in modo costante del mondo politico (le conquiste degli anni passati non sono ancora completamente interiorizzate).
Ma, la sfiducia e la disillusione, scaturite dallo “scontro” contro un muro di gomma, hanno fortunatamente alimentato elaborazioni politiche alternative meritevoli di essere prese in considerazione.
La partecipazione delle donne, le loro rivendicazioni, possono trovare oggi uno spazio, una visibilità mai sperata all’interno dei social media e di ogni altra tecnologia strumentale.
Esse si dimostrano sempre più padrone di questo nuovo linguaggio, più capaci nel suo utilizzo e nell’individuazione di spazi. Molti i siti ed i blog dedicati in cui si discute e si condivide. In mancanza di governi attenti, in presenza di culture sorde, nel prevalere di egoismi di genere, le donne hanno imparato ad usare questi nuovi canali di raccordo e comunicazione che vanno a raggiungere ed unire generi e generazioni, diversi ma simili, nel combattere le discriminazioni. Un luogo virtuale ma abitato da persone reali, che non offre solo illusioni ma costruisce una partecipazione con accessi apparentemente irraggiungibili.
La partecipazione dunque, ovunque si applichi, nel virtuale come nel vissuto, dovrebbe essere valorizzata e non negata.
Una politica attenta, dovrà avere un quadro d’indagine molto più complesso e diversamente articolato di quello rigidamente dettato dalla politica tradizionale dei partiti (come dimostra il fenomeno del Movimento5stelle), così come dovrà ascoltare la diversità costruttiva delle donne, condividendone la partecipazione, lasciando ampio margine ad una loro rappresentanza che corrisponda a ciò che l’avrà prodotta.