L’interruttore dei sogni di Elisabetta Pierini vince la XXIX edizione del Premio Italo Calvino di Torino
Toponomastica femminile ci aveva visto giusto, quando aveva voluto presentare Elisabetta Pierini nell’ambito degli eventi del Caffè letterario organizzati dalla Biblioteca Comunale di Terni. L’incontro del 3 marzo scorso, curato, oltre che da Tf, anche dal Premio Italo Calvino di Torino, era intitolato “Donne di penna. Uno sguardo alla letteratura al femminile del Premio Calvino”; Elisabetta, presente insieme ad altre due scrittrici del Centro Italia, Adele Costanzo e Simona Rondolini, aveva parlato del suo romanzo Il matrimonio di Penelope, opera in cui sono particolarmente presenti le tematiche femminili in quell’occasione oggetto di indagine.
Elisabetta Pierini vive a Fermignano (PU). Di formazione scientifica, lavora presso la Facoltà di Scienze e Tecnologia dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo. Ha partecipato a RicercaBo e a più edizioni del Premio Calvino, giungendo due volte in finale, nell’ultima edizione e in quella di due anni fa, quando il suo Notte era sembrato al Comitato di lettura il prodotto non solo di una scrittrice matura e profonda, ma anche di una narratrice di razza.
Il giorno 24 maggio 2016 la Giuria esterna della XXIX edizione del Premio – costituita quest’anno da Paola Capriolo, Angelo Guglielmi, Niva Lorenzini, Christian Raimo, Filippo Tuena – ha ritenuto il romanzo L’interruttore dei sogni meritevole del massimo riconoscimento, sia pure ex aequo con La Splendente di Cesare Sinatti, altra notevole opera di un giovane autore.
Un romanzo dalla trama ricca, quello di Pierini, ambientato in uno dei quartieri residenziali suburbani dei nostri tempi, dove un ordine apparente cela vicende di infelicità senza voce, di noia, di angustia di interessi e prospettive.
Non esiste una sola storia, ma ci sono tante storie portate avanti in parallelo dall’autrice con sicurezza magistrale e la psicologia dei personaggi, indagata a fondo, viene presentata spesso attraverso punti di vista diversi.
Sembra che l’alternativa sia essere o vittime più o meno consenzienti o persecutori: da una parte c’è chi subisce, dall’altra chi gode dell’infelicità altrui, o sadicamente “si diverte a trovare le stranezze, le debolezze, le meschinità degli altri”. L’unica via d’uscita rispetto a queste modalità sembra essere quella escogitata da Eva, la protagonista di dieci anni che si rifugia in un suo mondo di fantasia per sfuggire alla realtà soffocante di una famiglia problematica e anaffettiva.
Personaggio veramente riuscito, di grande impatto, questo di Eva, bambina strana e un po’ selvatica, che gioca a far parlare le sue bambole. Ma il suo non è, o non è soltanto, un gioco infantile. “La bambola parlava, la sua voce irreale aveva acquistato una vibrazione profonda, intima. Era come entrare in una rete di parole come quelle dei ragni, una rete che catturava un pezzo alla volta finché attorno si formava un bozzolo, e gli occhi stavano fissi e concentrati su quei pezzi di plastica turchina che splendevano di vita […] Parlava, parlava e non finiva più. Il mondo di bambole si riempiva di colori, di paure, di amicizie, di alleanze e di ripicche come un mondo vero”.
Quella rete di parole che cattura e quella vibrazione profonda della voce irreale della bambola appaiono infatti il segno inconfondibile di un’avventura intellettuale molto simile a quella offerta dalla letteratura, che assurge quindi ad un ruolo salvifico. La letteratura vera, s’intende, che è cosa rara e preziosa, e L’interruttore dei sogni sembra offrircene un esempio.
Per questo auguriamo all’opera di Elisabetta di incontrare nel mondo editoriale e presso un vasto pubblico lo stesso convinto apprezzamento che ha trovato tra i lettori del Premio Calvino e presso l’autorevole Giuria di quest’anno.