Nessun delitto, almeno a mia memoria, fino ad oggi è riuscito a chiamare in causa lo stato attuale della nostra convivenza sociale e civile come invece ha fatto la morte di Sara.
Da molti anni, purtroppo, la lista delle donne rimaste vittima di ex amanti, ex mariti, ex fidanzati incapaci di controllare il dolore o la rabbia per la chiusura della relazione non smette di allungarsi, ma è indubbio che fino ad oggi mai nessun delitto aveva colpito l’opinione pubblica come sta avvenendo per il caso di Sara Di Pietrantonio, la 22enne spietatamente assassinata qualche giorno fa a Roma. La ragione, probabilmente, è facilmente individuabile. Nessun delitto, almeno a mia memoria, fino ad oggi è riuscito a chiamare in causa lo stato attuale della nostra convivenza sociale e civile come invece ha fatto la morte di Sara.
Il delitto perpetrato alla Magliana non solo unisce il degrado di una delle peggiori periferie romane alla violenza della premeditazione, perché l’assassino, Vincenzo Paduano, non è uscito di casa impugnando la pistola che aveva in quanto guardia giurata, no, ha fatto molto di peggio, si è procurato la benzina e senza mai aver nessun ripensamento ha bruciato viva una ragazza di 22 anni che diceva di amare. Non solo tocca uno dei nodi più delicati della nostra storia recente, quello dell’evoluzione dei rapporti di coppia, della presa di coscienza delle donne e della crisi dell’uomo di fronte alla perdita di un potere amministrato per anni.
Oltre a tutto questo la terribile fine di Sara, con la sua corsa fra le macchine che percorrevano una delle grandi strade romane, una corsa per chiedere aiuto, una corsa inutile, perché di fronte a una ragazza di 22 anni in pericolo nessuno, pare assurdo anche scriverlo, nessuno si è fermato, la tragedia di Sara, dicevamo, ci chiama in causa personalmente, uno per uno, come nessuno dei delitti precedenti era mai riuscito a fare.
È in questo incrocio fra dramma privato, la fine di una relazione che diventa tragedia, delitto, e dramma sociale, nessuno si ferma di fronte a una giovane donna che chiede aiuto per strada, a colpire come una sassata la nostra coscienza.
Di fronte a quanto avvenuto nessuno può pulirsi la coscienza pensando, vabbè ma io non ho mai reagito violentemente alla chiusura di una relazione, o non lo farei se oggi la mia compagna chiedesse la separazione, o (quante volte abbiamo sentito anche questa argomentazione) in fin dei conti un po’ di responsabilità ce l’ha anche lei, eh, doveva lasciarlo prima, denunciarlo quando ha alzato le mani la prima volta. No, nessuno può evitare il confronto con la tragica morte di Sara perché paradossalmente su quella strada di periferia c’eravamo tutti, alla guida delle macchine che non si sono fermate c’eravamo tutti noi, anche quelli che “io non ho mai alzato le mani su una donna e mai le alzerei”.
Perché in quel tirare diritto di sia pur pochi automobilisti ci sono tutti i nostri piccoli egoismi quotidiani, le indifferenze di fronte al prossimo, di fronte ai drammi piccoli o grandi che ci accadono intorno. Queste macchie che costituiscono l’evoluzione perversa della contemporaneità e che, in un modo o nell’altro, finiscono per coinvolgere anche la violenza di coppia, dalle sue manifestazioni meno drammatiche agli epiloghi peggiori, gli omicidi.
Oggi sarebbe bello poter pensare che la morte di Sara non sarà inutile. Che servirà almeno a riaccendere una fiammella nelle nostre coscienze, e che da questa fiammella magari partirà una riflessione capace di coinvolgere e porre fine anche al terribile dramma della conclusione violenta di una relazione d’amore. Ma pensarlo sarebbe stupido idealismo.
Purtroppo invece se è vero che la morte di Sara ha colpito la nostra coscienza sociale come una sassata, è ancor più vero che domani tutto riprenderà come prima. D’altra parte, se così non fosse, se non fossimo diventati questo grumo di egoismo che siamo, Sara una macchina che si fermava l’avrebbe trovata.