Qualche timido segnale di cambiamento … Forse nel linguaggio quotidiano sta iniziando quella svolta culturale di cui si avverte il bisogno.
Qualche timido segnale di cambiamento … Forse nel linguaggio quotidiano sta iniziando quella svolta culturale di cui si avverte il bisogno.
La stampa ci ha abituato a comiche (?) contraddizioni, come nell’articolo di “Repubblica” del 9 marzo scorso – scritto dalla giornalista Conchita Sannino – in cui “il sindaco” Rosa e “l’assessore” Cecilia sono in buona compagnia con una “consigliera” e un imprenditore (unico uomo), mentre il titolo malizioso (in epoca di coppie di fatto e di recenti provvedimenti di legge) recita testualmente “Il legame tra il sindaco e l’assessore”; se non si proseguisse con la lettura, difficilmente potremmo immaginare infatti che si sta parlando di due donne. Eppure – come dicevo – seppure con cautela, con colpevole ritardo, con incertezze e scarsa coerenza, alcuni articoli contengono finalmente i nomi declinati al femminile: ”Molestie in caserma. Carabiniera denuncia collega”(“Repubblica”,16 maggio) e “Le ex ministre francesi: ’Stop molestie’ “(stesso giorno, stesso quotidiano); la medesima sera, per caso, ho anche sentito in televisione, su RAI 1, il conduttore della trasmissione “Petrolio” annunciare la presenza della ministra Lorenzin. Il giorno precedente un bell’articolo, dedicato al Salone del libro e agli incontri con scrittrici e scrittori, introduceva la nobile figura dell’avvocata premio Nobel per la pace Shirin Ebadi, costretta all’esilio, impegnata nella sua lotta non violenta – fatta di parole, di conferenze, di scritti, di battaglie civili – perché l’Iran esca dall’isolamento e si apra alla democrazia (Simonetta Fiori,”Repubblica”).
Mi vorrei però soffermare su quanto discusso ai primi del mese di maggio nel convegno “Petaloso sarai tu. L’italiano al tempo di WhatsApp” organizzato da “Repubblica” al Maxxi di Roma, alla presenza di esperti, docenti, studenti, artisti e degli studiosi dell’Accademia della Crusca. Fra i vari argomenti affrontati anche il linguaggio di genere. Il direttore del quotidiano, Mario Calabresi, ha ricordato che i giornalisti hanno regole interne dettate da un vero e proprio manuale che ha ormai 12 anni di vita, troppi in un mondo in continuo cambiamento e quindi da riscrivere, rendendone partecipi i lettori. Lo scrittore Gianrico Carofiglio ha chiesto agli esperti se davvero il femminile di pretore è “pretora” e gli è stato risposto affermativamente, così come si deve usare assessora, sindaca, prefetta, cancelliera, la giudice, la amministratrice delegata; nel caso di pubblico ministero, la linguista Cecilia Robustelli ha suggerito “la” pubblico ministero, anche se ha ammonito che non si deve essere troppo rigidi: “l’importante è essere consapevoli che l’uso del genere grammaticale ha le sue regole”.
Parole chiare e definitive sulla questione sono state pronunciate ancora una volta da Nicoletta Maraschio, presidente emerita dell’Accademia della Crusca, massima autorità in materia di lingua italiana. La presidente della Camera Laura Boldrini aveva infatti – in occasione dell’8 marzo – inviato una lettera ai deputati e promosso un seminario organizzato dall’Intergruppo parlamentare sulla questione di genere. Inevitabile ritornare sul problema della lingua su cui Boldrini è oggi la politica più attenta e sensibile, la prima (forse l’unica) ad affrontare l’argomento senza temere stupide critiche e facili ironie. Se diciamo infermiera, cameriera, operaia, maestra, contadina o “bella lavanderina” nessuno si stupisce, se diciamo “chirurga” qualcuno dice che “suona male”. E’ falso, replica Maraschio; non è una questione di suono. ”C’è ancora una barriera culturale, sessista, e su questa dobbiamo lavorare.” La società cambia e con essa il linguaggio che è vivo ed evolve in continuazione. Grande responsabilità hanno i giornalisti, sia in video o voce sia della stampa, pro-prio perché tramite loro può passare un messaggio forte. Due esempi, per finire con un sorriso: una volta un cronista parlamentare fu ripreso garbatamente dall’onorevole Nilde Iotti di cui aveva descritto l’abito elegante: “Non mi sembra che abbia analizzato l’abbigliamento del collega accanto a me!” Di recente a Parigi – racconta Antonio Di Bella – un deputato si era rivolto più volte alla vice-presidente dell’Assemblea nazionale senza declinare al femminile; gli fu data una multa di 1378 €.