La resistenza a riconoscere, nella toponomastica e altrove, la presenza e l’azione femminile è ancor oggi ben vitale.
Sappiamo che nel secolo scorso le donne italiane hanno conquistato, insieme al diritto di voto, una presenza attiva e visibile nella società e nel mondo del lavoro. Forse sarebbe più giusto dire che il fenomeno del lavoro femminile è giunto a interessare le donne delle classi medie e medio- alte, dal momento che le altre lavorano da sempre. Diciamo, per semplificare, che il mondo femminile nel suo complesso ha fatto dei passi avanti. Ci si aspetterebbe che questo progresso, che si è via via intensificato e che oggi è sotto gli occhi di tutti, fosse riconosciuto anche a livello toponomastico, e che le tante donne che hanno partecipato alla Resistenza, le tante scrittrici, pittrici, musiciste, storiche, archeologhe, imprenditrici, viaggiatrici, mediche, matematiche, fisiche, chimiche, geologhe, antropologhe, filantrope, patriote, attiviste e politiche che hanno contribuito con la loro azione al progresso del Paese fossero ricordate nello stesso modo degli uomini che hanno operato nei medesimi campi.
Così non è, lo sappiamo, e la resistenza a riconoscere, nella toponomastica e altrove, la presenza e l’azione femminile è ancor oggi ben vitale.
Nel sito ufficiale del Comune di Torino, per esempio, esiste un elenco di tutte le intitolazioni e tutte le targhe deliberate dalla Commissione competente e ufficializzate negli ultimi quindici anni e mezzo, dal 2000 fino al 16/5/2016. Vi è documentata una realtà recente, quindi, e scorrere l’elenco ci consente alcune interessanti considerazioni.
Scopriamo infatti che dal 2000 al 2008 non c’è stata in città nessuna intitolazione a donne: la realtà cambiava, e anche parecchio, fatti epocali sconvolgevano il mondo, ma sull’immaginario della Commissione toponomastica, e delle persone che alla suddetta inviavano proposte di intitolazione, splendeva un limpido confortante sereno cielo esclusivamente maschile.
Tant’è vero che il 14 ottobre 2000 serenamente intitolavano agli “Atleti azzurri d’Italia” e pazienza se il fremito patriottico indotto dalla ridondanza delle determinazioni faceva dimenticare che oltre agli atleti esistevano anche le atlete. E ancora il 10 settembre del 2005 veniva ufficializzata una “Via dei Lavandai”, ignorando com’è giusto che i panni li hanno lavati soprattutto le lavandaie.
Una nuvoletta, su quel terso cielo maschile, inizia a passare nel 2007, quando qualcuno (o forse qualcuna, chissà) avanza l’idea che anche qualche altra donna possa aver combinato qualcosa di buono, di utile, di rimarchevole, oltre alle regine e alle principesse regnanti da tempo sulla toponomastica torinese, e oltre all’eccezione costituita da uno sparuto gruppo di letterate indigene, considerate generalmente di modesta levatura ma apprezzate, alcune, dalle signore cui, si sa, le lettere più o meno belle si addicono.
Non una strada – non esageriamo! – ma solo una targa che viene deliberata e l’anno seguente ufficializzata a ricordare, nel luogo dove nacque, una musicista d’eccezione, una gloria torinese conosciuta alla fine dell’Ottocento in tutto il mondo: Teresina Tua, l’Angelo del violino.
Quella nuvoletta però non è che la prima, e nel 2008 se ne aggiunge un’altra: viene intitolato addirittura un giardino a un pezzo da novanta della politica come Camilla Ravera, anche se nel frattempo si continua a pensare al maschile, naturalmente, perché il 29 giugno 2010 compare un “Giardino Donatori di organi”. I donatori (di sangue, di organi) sono solo maschi, naturalmente, anche se gli basta vedere una siringa per svenire. Forse qualche femminista rompiscatole se ne accorge e inizia a lamentarsene, o per meglio dire riprende lamentazioni rimaste lettera morta per decenni, se nella Torino tutta al maschile, come peraltro si addice a una città di persone serie, ecco inopinatamente apparire il Giardino bambine e bambini vittime di Beslan, e speriamo che non sia perché come vittime le femmine ci possono pure stare. La delibera è del 2008: qualcosa sta succedendo.
Forse per questo qualcuno pensa che è ora di tornare alla sana abitudine di intitolare luoghi cittadini a donne sì, ma certificate da Santa Madre Chiesa come sante o almeno come beate, ché anche di moderne ce ne sono, e spunta una targa, sul palazzo del centro storico dove nacque nel 1661, dedicata alla Beata Maria degli Angeli. L’idea piace tanto che la delibera del 31 agosto 2011 viene ufficializzata a tamburo battente il 16 dicembre dello stesso anno. In seguito, sarà la volta di Madre Teresa di Calcutta, e poi di Santa Maria Goretti che, pilastro dell’educazione delle fanciulle negli anni ’50, era stata colpevolmente dimenticata, e infine della fondatrice delle suore Cappuccine, Madre Francesca Rubatto, cui si intitola addirittura una piazzetta.
Mica solo sante, però. Ormai il cielo serenamente maschile di un tempo appare coperto da nubi minacciose. Arrivano una imprenditrice (Marisa Bellisario, dicembre 2012), una politica (Adelaide Aglietta, luglio 2013), una scrittrice come Natalia Ginsburg, cui viene dedicato un giardinetto, ma anche una targa sulla casa dove abitò, e poi le Vittime di femminicidio a ricordare una tragedia che sembra non avere fine, e una magistrata caduta sotto i colpi della mafia come Francesca Morvillo. Ci si mettono pure le sportive, in realtà solo un paio su dieci targhe deliberate ad atleti nel 2015, anno in cui Torino è Capitale dello Sport, ma comunque ci sono: Amelia Piccinini ed Elena Cordiale. E addirittura, sia pure dopo un iter degno di una tartaruga, si dedica un giardino (udite udite!) nientemeno che alle ex Operaie della Fabbrica Superga.
Nel 2016, se si esclude la già menzionata Maria Goretti, titolare di un giardino, non ci sono per ora altre targhe femminili.
Sembra di dover concludere infine che solo da pochi anni si è iniziato ad ammettere che forse c’è qualcosa di sbagliato nell’idea, cara all’immaginario maschile, delle donne esclusivamente in platea, nel teatro del mondo, ad applaudire gli uomini che agiscono sulla scena, ma anche che appare ancora in forse e instabile il riequilibrio di potere che il genere femminile ha tutto il diritto di rivendicare.
Bastano le cifre della odonomastica per capirlo. Nella civilissima Torino, su 162 nomi di strade, vie, piazzette, piazzali, larghi, salite, ponti, targhe commemorative, leggii, monumenti deliberati dal 2000 a oggi, in onore di persone o gruppi di persone, la stragrande maggioranza, 147, sono stati dedicati, da un consesso quasi esclusivamente maschile, a uomini illustri, e solo 15 (poco più del 9%) a figure femminili.
Troppo pochi, è ora di cambiare, ma in modo strutturale, per arrivare, sia pure lentamente, a una odonomastica più equilibrata. Possiamo sperare che la nuova Amministrazione torinese, guidata da una giovane donna, riesca a voltar pagina?
http://www.comune.torino.it/statistica/intitolazioni/intitolazioni.htm