Grande versatilità al femminile, la capacità della donna di misurarsi con campi diversi, spesso apparentemente lontani dall’architettura e soprattutto il suo porsi con un atteggiamento e una maniera di lavorare proattivi. Lo dice Maria Adriana Giusti
Maria Adriana Giusti è una donna curiosa e colta, con quella verve che caratterizza la gente toscana: di Viareggio, ha lavorato a lungo in Toscana prima di trasferirsi in Piemonte come docente di Restauro al Politecnico di Torino. I giardini storici sono da molti anni il campo privilegiato delle sue ricerche e della sua attività professionale: è stata membro del “Comitato Nazionale sulla cultura e conservazione dei parchi e giardini storici” (MiBAC), direttore e presidente del “Centro di Studi Giardini storici e contemporanei di Pietrasanta”, presidente dell'”Opera delle Mura di Lucca” e tra i promotori di Murabilia.
Sei stata incoraggiata dalla tua famiglia nella scelta di studiare architettura?
Non direttamente. Sono vissuta nei cantieri, dove mio padre mi portava ogni domenica. La più grande gioia da bambina era sfogliare le riviste americane che un cugino di mio padre, architetto nel Colorado, inviava regolarmente. Erano case vernacolari, di mattoni dipinti di bianco e molto legno verniciato. Mi piacevano moltissimo e mi facevano sognare. Una in particolare mi aveva colpito perché aveva la forma di un piroscafo che sembrava insabbiato in un vasto giardino….Ho sempre pensato di iscrivermi ad architettura, ma alla fine del liceo classico mi ero molto appassionata alle scienze umane, al sociale e ho avuto qualche indecisione. Mi è bastato però andare in viaggio premio a Londra e vivere per due mesi a Moor Park per fugare ogni dubbio…
Architetto o architetta?
Mi è del tutto indifferente.
Cosa significa per te fare architettura oggi?
Non prevaricare la natura, ma immergersi in essa. No al gesto arrogante, all’esibizione gratuita, all’omologazione globale.
Com’è maturata la tua scelta di dedicarti all’insegnamento universitario? E in particolare il tuo interesse per
la storia dell’architettura e del design?
Mi sono laureata in storia dell’architettura con un professore geniale come Eugenio Battisti, che mi ha
insegnato a indagare nei campi meno battuti della conoscenza, a fare connessioni e a lavorare su più piani disciplinari, senza mai perdere di vista il rigore scientifico. La conoscenza della storia o delle storie è alla base di qualunque azione sul presente, perché la storia è nel presente. La mia non è stata una carriera lineare e per questo, molto più difficoltosa e complicata. Ho iniziato da giovanissima vincendo un concorso nazionale per fare l’architetto nelle Soprintendenze. Cosa che ho fatto con grande passione, imparando molto, toccando la materialità della storia, e imparando a rispettare ogni segno del passato, quindi a non sbucciare il costruito in nome di un presunto rispetto dell’autenticità che spesso invece cela il gesto presuntuoso dell’architetto in cerca di sensazionalità: più ruderizza più fa emergere il segno autoriale del presente. Da qui sono passata all’università perché non ho mai smesso di fare ricerca, di approfondire, di scrivere, di cercare sempre nuovi stimoli alla conoscenza del passato e del presente, senza cesure, né limiti.
Cos’è per te la bellezza?
La bellezza è il prodotto di una cultura, che si storicizza in base al nostro vissuto e al nostro contesto. Quello che consideravo bello ieri oggi posso trovarlo orribile. In linea di massima bellezza equivale a benessere e questo dipende da momento a momento.
Come contestualizzi la sensibilità femminile in architettura?
Nell’onestà, nel saper ascoltare l’ambiente e la natura, nella non arroganza.
Affermarsi professionalmente è più difficile per le donne?
Dipende. Per me è stato più difficile affermarmi in un contesto di lavoro diverso come quello universitario, un mondo chiuso, contrariamente a quanto si può pensare. Dove gli interessi professionali spesso prevaricano quelli scientifici. Su questo sono molto critica e decisamente isolata. Non saprei se il mio disagio è aggravato proprio dall’essere donna …probabilmente si…
Sei mai stata discriminata durante la tua carriera?
Si, perché sono libera e non gestibile, perché credo nel merito e non nelle lobby locali, perché dico quello che penso…
Cosa pensi dell’attuale situazione professionale delle donne architetto?
Il mio osservatorio è soprattutto quello universitario: molte le donne laureate in maniera brillante, con enormi potenzialità. Le più coraggiose sono diventate affermate professioniste e manager fuori dall’Italia. Senza generalizzare, posso dire che ho notato una grande versatilità al femminile, la capacità della donna di misurarsi con campi diversi, spesso apparentemente lontani dall’architettura e soprattutto il suo porsi con un atteggiamento e una maniera di lavorare proattivi.
Che rapporto hai, nel tuo lavoro e nel quotidiano, con la tecnologia?
Un approccio pragmatico, che mi aiuti a semplificare e a guadagnare tempo. Solo questo. Non me ne compiaccio.
Come è organizzato il tuo lavoro, cosa riesci a delegare e cosa segui personalmente?
Delego gli aspetti più burocratici della docenza, per i quali sono assolutamente negata (registri, verbali, ecc.) e alcuni incontri con gli studenti. Non delego il resto, cioè l’attività scientifica, al più condivido e allargo la partecipazione ai più giovani meritevoli che iniziano un percorso con me.
A quale tra le tue pubblicazioni sei più legata?
Ogni libro è un figlio, uno diverso dall’altro, a tutti sono legata. Posso dire però che la trilogia sui giardini che ho scritto con Marcello Fagiolo negli anni ’90 mi ha dato molto, mi ha aperto un universo da cui sono scaturite molte altre ricerche.
Che suggerimento daresti alle giovani colleghe? Consiglieresti a una ragazza di iscriversi ad architettura o design?
Sicuramente. Ho scelto architettura, la sceglierei di nuovo e, nel caso, la farei anche scegliere … ovviamente con molte specifiche sulle qualità richieste e sul percorso da intraprendere: studiare sempre, viaggiare molto, osservare tutto. Questo però non con l’atteggiamento compulsivo da taglia e incolla, ma con una visione avvertita, pronta a capire per entrare nella sostanza dei fenomeni, senza mai dare niente per scontato.
Un oggetto di design e un’architettura a cui sei particolarmente affezionata
Il divano LC , la Villa con giardino Noailles a Hyères
Come riesci a conciliare la tua attività di ricerca con l’impegno professionale dentro l’Università?
A questo punto della mia carriera, fuori dai giochi e dalle tensioni di escalation posso scegliere, rinunciando alle cariche politiche, agli intrighi, agli impegni burocratici istituzionali in favore quasi esclusivamente della didattica specialistica e della ricerca.
Sul tuo tavolo da lavoro non manca mai….
I miei due MacBook Air, matite, carta, occhiali e fermaglio per capelli.
Una buona regola che ti sei data?
Alzarmi presto…..a ben vedere non è però una regola imposta, ma un’abitudine a cui non rinuncio mai neppure in vacanza e, in simmetria, coricarmi presto.
Il tuo working dress?
Camicia, pantaloni, golf, scarpe tutto estremamente comodo, ma tutto rigorosamente accurato nei materiali, nei colori, negli abbinamenti…
Città o campagna?
Campagna e città. Non posso rinunciare né all’una né all’altra, quindi le alterno.
Qual è il tuo rifugio?
La biblioteca e il giardino della mia casa in Versilia.
Ultimo viaggio fatto?
Parigi – Xi’an
Il tuo difetto maggiore?
Assentarmi dal mondo che mi circonda per inseguire i mille progetti che mi frullano…
E la cosa che apprezzi di più del tuo carattere?
Razionalità ed equilibrio.
Un tuo rimpianto?
Essermi sposata giovanissima e aver rinunciato a seguire il mio professore alla Columbia University.
Work in progress….?
Ho varie ricerche in programma un progetto con la Spagna sui giardini mediterranei, con la Cina (dove co – dirigo un centro universitario sul restauro), un progetto sulle vie della seta….. Coltivo un sogno: fare nella mia dimora storica toscana un luogo di convergenza di artisti e di studiosi di arte e di paesaggio…ora sto lavorando in questa direzione.