ELENA DELLAPIANA partecipa a MoMoWo – Women’s creativity since the Modern Movement – progetto di collaborazione europeo di larga scala finanziato dalla Comunità Europea come “Creative Europe”, di cui il Politecnico di Torino è capofila.
Sorriso accattivante, sguardo cordiale, Elena si racconta di fronte ad un caffè scrutando il mondo attraverso i suoi occhiali rossi. Mi parla del suo entusiasmo per la ricerca, dei suoi libri – che non sono pochi – della sua partecipazione attiva a MoMoWo – Women’s creativity since the Modern Movement – progetto di collaborazione europeo di larga scala finanziato dalla Comunità Europea come “Creative Europe”, di cui il Politecnico di Torino è capofila: www.momowo.eu, che prevede la costruzione di una mappatura delle donne progettiste europee nel campo dell’architettura, del design e dell’ingegneria civile dagli anni ‘30 ad oggi e una serie di iniziative volte a promuoverne la divulgazione in tutti i paesi partners.
Come affermano sul Giornale dell’Architettura Emilia Garda e Caterina Franchini “MoMoWo vuole gettare un ponte intergenerazionale e incrementare la consapevolezza delle capacità intrinseche al genere femminile, contribuendo così al suo reale affrancamento….L’obiettivo finale è di tipo sociale e consiste nella mitigazione dei conflitti attraverso l’eliminazione delle disuguaglianze, complice uno strumento operativo d’eccezione: l’implementazione della cultura e del lavoro intesi come veicoli di emancipazione.”
Sei stata incoraggiata dalla tua famiglia nella scelta di studiare architettura?
Sono una terza generazione di architetti, tu che dici?
Architetto o architetta?
Per me pari son, anche se, guardandomi intorno sto rivalutando la necessità di quote rosa; spesso ho l’impressione che non se ne esca senza.
Cosa significa per te fare architettura oggi?
In assoluto significa risolvere problemi con gli strumenti della forma e dell’articolazione degli spazi; oggi molta architettura risponde a problemi immobiliari, speculativi o di dimostrazione “muscolare”; i problemi a cui dovrebbe rispondere sono quelli sociali e della qualità diffusa.
Com’è maturata la tua scelta di dedicarti all’insegnamento universitario? E in particolare il tuo interesse per la storia dell’architettura e del design?
Prima dell’insegnamento è venuta la ricerca: essere pagati per studiare, cosa c’è di meglio? L’insegnamento viene di pari passo prendendo sempre più importanza col trascorrere del tempo (degli anni?); il desiderio è trasmettere la curiosità come visione del mondo, una qualità indispensabile per il progettista.
In questo senso la ricerca sulla storia dell’architettura e del design funziona o dovrebbe funzionare, come metro per leggere le cose che ci stanno intorno, case, sedie, città, e progettarne di migliori
Cos’e ̀per te la bellezza?
Credo quello che mi rende felice, misurato con pancia e occhio, in quest’ordine.
Poi c’è quella “culturale”. Più facile dire cos’è la bruttezza: ciò che è volgare, ignorante e autoreferenziale
Come contestualizzi la sensibilità femminile in architettura?
Non credo che ci sia un progetto “al femminile”. Esiste una lunga tradizione di condizionamenti culturali che hanno fatto sì, nel bene e nel male, che le progettiste abbiano maturato maggiore conoscenza di processi legati alla vita quotidiana e agli spazi domestici, all’assistenza e alla cura della persona e dunque li maneggino meglio.
Affermarsi professionalmente è più difficile per le donne?
Si, senza dubbio. Questo è vero sempre, a maggior ragione in professioni tradizionalmente maschili e che agiscono in contesti a loro volta popolati di lavoratori uomini, come l’architettura. Non è un’opinione, basta guardare ai dati, alle sequenze degli ingressi delle donne nelle professioni e nelle carriere
Sei mai stata discriminata durante la tua carriera?
No, non direttamente, e non in modo sessista, comunque non me ne sono o non ho voluto accorgermene
Cosa pensi dell’attuale situazione professionale delle donne architetto?
Non ho un vero polso, a parte le statistiche sulle uscite professionali dei nostri laureati, che dicono poco sulla qualità. A senso, il quadro è difficile per tutti, per tutte le professioni che comportano grossi investimenti di denaro.
Gli ostacoli per le donne sono quelli di sempre, acuiti dalle minori risorse che influiscono su una minore efficienza del welfare di cui le donne maggiormente dovrebbero beneficiare
Che rapporto hai, nel tuo lavoro e nel quotidiano, con la tecnologia?
Da utente medio-volenteroso. La considero uno strumento con grandi potenzialità e cerco di imparare a sfruttarla al meglio, nessuna riserva snobistica, sono molto più contenta di usare la rete piuttosto che impazzire dietro a notizie inafferrabili con strumenti tradizionali, per non parlare del lavoro di scrittura o del bucato!
Sono convinta, e ci sto lavorando, che le possibilità nel campo della trasmissione di informazioni e dati siano incredibilmente fruttuose, bisogna ragionare e diffondere i temi dell’etica, dei comportamenti, dei modi di implementare e interrogare.
Come è organizzato il tuo lavoro, cosa riesci a delegare e cosa segui personalmente?
E’ tutto regolato dagli impegni fissi, soprattutto il calendario delle lezioni; infilo in mezzo tutto il resto, cerco di essere ordinata e puntuale, il più delle volte mi riesce, non sempre. MI piace molto il lavoro di gruppo e ho un piccolo gruppo di giovani che lavorano con me. Purtroppo o per fortuna, quasi sempre li “perdo per strada” perché essendo bravi partono per altri lidi più promettenti: l’università è attualmente completamente bloccata, almeno in quelle che vengono intese come discipline di base
A quale tra le tue pubblicazioni sei più legata?
A quella che sto facendo, ovviamente! A parte ciò, forse a “Il design degli architetti Italiani” (Electa 2014) che ho scritto con Fiorella Bulegato, un’amica e collega. Rappresenta bene ciò che ho in mente sulla professione – la circolarità delle discipline – e sulla ricerca – la collaborazione e la contaminazione tra competenze – oltre a essere un lavoro very girlish!
Che suggerimento daresti alle giovani colleghe? Consiglieresti a una ragazza di iscriversi ad architettura o design?
Si, senza dubbio. Sono convinta, riesumando un vecchio adagio, che un progettista abbia una marcia in più in qualsiasi campo, anche del tutto scollato dall’architettura o dal design. Non ce ne accorgiamo, ma veniamo abituati/forzati a una curiosità onnivora che diventa una visione.
E’ la barzelletta dell’architetto che sa poco di tutto… io penso che possa essere un grande complimento perché interessarsi a tutto permette di approfondire senza chiusure.
Un oggetto di design e un’architettura a cui sei particolarmente affezionata ?
La Lampada Eclisse di Magistretti (1965) che ho sul comodino da quando ho memoria, tutta acciaccata ma piena della stessa magia.
Per l’architettura è più difficile: mi commuove la chiesa di San Lorenzo di Guarini nella mia città, e la Fondation Vuitton di Gehry a Parigi, soprattutto ora con i colori di Buren; per dire che… non ho un’architettura del cuore.
Come riesci a conciliare la tua attività di ricerca con l’impegno professionale dentro l’Università?
La ricerca è parte integrante dell’impegno in Università. Il bello è che ci sono i due versanti. Quello che insegni cambia sempre perché la tua ricerca avanza o è sempre uguale se non ne fai o se non è efficace, capito il trucco?
Sul tuo tavolo da lavoro non manca mai….
Il casino, ahimè!!
Una buona regola che ti sei data?
Non accettare più lavori di quanto non sia in grado realmente di fare con ritmi accettabili; solo che non la rispetto mai
Il tuo working dress?
Total black, praticamente da sempre. Qualche punto di colore nelle sfumature del rosso, a seconda dell’umore.
Città o campagna?
Città, senza dubbio, anche se penso sempre che finirò i miei giorni nella casa di campagna dove ho passato tutte le mie estati di bambina, ma più in là, mooolto più in là!!!
Qual è il tuo rifugio?
Un romanzo
Ultimo viaggio fatto?
Lavoro a parte, un weekend a Parigi con i miei genitori e mio fratello, 4 architetti 4, praticamente un delirio
Il tuo difetto maggiore?
La ubris: la folle e improduttiva idea di poter controllare tutto
E la cosa che apprezzi di più del tuo carattere?
La naturalezza nell’interagire con gli altri, senza mettermi in competizione: lato buono della ubris
Un tuo rimpianto?
Non me ne viene in mente nessuno. Memoria selettiva, da anziano
Work in progress….?
Una ricerca sulla percezione del progetto italiano in USA; la riprogettazione del corso di laurea in Design del Politecnico con il gruppo dei giovani colleghi; il desiderio di aprire una sorta di start-up delle idee della ricerca dove “regalare” spunti e intuizioni che non si sviluppano personalmente e accompagnarne la crescita; i pasticci scolastici dei miei figli.
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