Con Reham Mohammed – Titolo originale I am Nojoom, Age 10 and Divorced.
Un film che mi ha toccato molto profondamente.
Ho sentito parlare spesso di spose bambine cioè di bambine in età prepuberale sono andate in sposa ad adulti di 20 -3o anni più grandi di loro.
Sono soprattutto i Paesi dell’Africa sub-sahariana e dell’Asia meridionale quelli in cui è maggiormente diffuso il fenomeno delle spose bambine. Ed è il Niger a detenere questo triste primato: il 76% delle ragazze si è sposata prima dei 18 anni e il 28% prima di compiere 15 anni. Seguono la Repubblica Centroafricana e Chad (68%), Bangladesh (65%), Guinea (52%) e Mali (55%) .
Ciò accade e accadeva in società molto in ritardo nel tempo, società agricole e pastorali in cui le bambine fanno il lavoro degli adulti come loro coetanei maschi, ma inoltre sono oggetto di scambio, come una vacca o un agnello.
Ho una figlia femmina ormai grande e che quindi non come rischia di essere violata da adulti, ma il mio pensiero va sempre a lei quando vedo bambine che non fanno ciò che le bambine usano fare, cioè giocare divertirsi e pensare alla propria età giovane, invece di essere abusate da adulti.
La regista del film ”La sposa bambina” Khadija Al-Salami aveva subito anch’essa la stessa sorte quando aveva 11 anni e nel film ha voluto cercare un riscatto.
Pensare a una bambina di 11 anni che non ancora avuto le mestruazioni, e quindi non ha ancora il corpo pronto per ricevere l’atto sessuale è una cosa che fa male a tutte le donne che hanno figlie femmine o che hanno questo tipo di sensibilità.
La violenza perpetrata sui bambini sulle bambine e una violenza doppia perché si toglie a queste bambine non solo la verginità ma anche il pensiero, la speranza che un giorno avranno una storia d’amore e una vita sessuale normale soddisfacente, ma a che potranno vivere una realtà in cui le donne non servano solo al soddisfacimento maschile ma siano essere pensanti e volenti.
Il film punta l’attenzione sul dissidio culturale ed etico: la non conoscenza diretta del Corano ma mediata.
La storia agisce anche su un altro registro: quello maschile: la legge impedisce quello che l’uomo invece fa. Ma come può l’uomo pensare di utilizzare il corpo di una bambina piccola per il soddisfacimento dei propri bisogni sessuali?
Inoltre il compito di un padre di una madre, dei genitori e quella di aiutare i figli a venire al mondo e di portare a compimento quello che hanno iniziato, non venderli come merce. Questo è un problema di paesi poveri come lo Yemen ma anche di tanti altri paesi che non salvaguardano l’innocenza di giovani maschi e femmine
Quindi questo è un film che parla delle spose bambine nei Paesi del Sud del mondo ma si rivolge anche a noi riusciamo a preservare l’innocenza dei bambini.
da mymovies
Nojoom, che in yemenita significa “le stelle”, ha un destino segnato fin dalla nascita: suo padre infatti cambia il suo nome in Nojoud, ovvero “nascosta“, e pur amandola consegna sua figlia alle regole non scritte della convivenza nello Yemen, che comportano una totale sudditanza delle femmine rispetto ai maschi. Quando Njoud compie 10 anni il padre, in una negoziazione condotta solo fra uomini, la dà in sposa a un uomo che ha almeno trent’anni più di lei. Lo sposo promette al suocero di prendersi cura della bambina e di aspettarne la pubertà prima di consumare il matrimonio, ma appena sottratta alla casa del padre la violenta e la costringe a servire la suocera, picchiandola quando la bimba disobbedisce. Per fortuna Nojoom/Nojoud è uno spirito indomito e trova la via di fuga dal villaggio arcaico in cui l’ha segregata il marito per recarsi al tribunale di Sana’a, dove chiederà per sé il divorzio.
La sposa bambina è l’esordio al lungometraggio di finzione di Khadija Al Salami, regista e produttrice yemenita istruita in Francia e Stati Uniti, e si basa sul romanzo autobiografico di Nojoud Ali, scritto insieme alla giornalista Delphine Minoui. La storia che racconta è in qualche misura autobiografica anche per la regista, andata in sposa a 11 anni ad un uomo di oltre vent’anni più grande, dal quale Khadija ha trovato il coraggio di affrancarsi. La conoscenza profonda dei luoghi e della mentalità che Al Salami racconta rendono La sposa bambina un documento autentico nel rappresentare una pratica retrograda come il matrimonio infantile (oltre che combinato).
Ma la regista non commette l’errore di semplificare la storia, e rende giustizia sia alla complessità della società yemenita (la stessa che ha dato i natali all’attivista premio Nobel per la pace Tawakkol Karman) che alle oggettive difficoltà cui tentano di sopravvivere i suoi abitanti più poveri. A questo scopo Al Salami costruisce una sceneggiatura stratificata che inizia nel presente, ripercorre il passato e poi ci fa rivedere quello stesso passato dal punto di vista del padre, senza giustificarne le scelte ma contestualizzandone le motivazioni. Tutta la famiglia di Nojoom/Nojoud è vittima della miseria, dell’ignoranza e di imposizioni sociali che perpetuano nei più deboli e disinformati una situazione di iniquità. In quest’ottica anche il collaborazionismo femminile, che perpetua l’oppressione di madre in figlia, trova una sua cornice e una sua spiegazione.
Le figure maschili e femminili sono disegnate in maniera articolata e rappresentano livelli diversi di consapevolezza e di emancipazione. Al centro c’è Nojoom che, come Malala, fa la storia rifiutandosi di soccombere alle restrizioni che reprimono il suo genere e la sua giovane età. La conclusione è pesantemente didascalica, ma se anche solo uno spettatore o spettatrice appartenente a quel mondo avrà modo di ascoltarla troverà le armi concettuali e dialettiche per difendersi da chi ammanta di religiosità il proprio desiderio di supremazia e la propria brama di potere.”