In Egitto, dove sebbene istituzionalmente vietata ormai dal 2008, la pratica relativa alle mutilazioni genitali femminili (Fgm) continua a essere largamente diffusa.
In un contesto in cui la valenza attribuita al concetto di verginità trascende i confini dell’etica individuale per addentrarsi nell’insondabile dimensione collettiva di una religiosità esasperata, i dettami della tradizione acquisiscono un’importanza primaria, malgrado la loro incompatibilità con le leggi vigenti.
E’ del resto ciò che avviene in Egitto, dove sebbene istituzionalmente vietata ormai dal 2008, la pratica relativa alle mutilazioni genitali femminili (Fgm) continua a essere largamente diffusa.
Un retaggio millenario sopravvissuto a ogni forma di evoluzione socio-culturale, la cui perpetuazione – – estesa alle comunità musulmane e cristiane – è assicurata dall’alternanza generazionale. Circa il 90% delle egiziane oltre i 50 anni ha subito, in un passato lontano, quel supplizio che l’avvento della modernità non ha affatto contribuito a scongiurare.
Non a caso il governo si è affrettato a varare un provvedimento atto a inasprire le condanne già previste per coloro che sottopongono le adolescenti a simili torture: se fino a poco tempo fa il periodo detentivo spaziava dai tre mesi ai tre anni, ora sono contemplati cinque anni di carcere, innalzabili a sette a fronte di decessi o deformazioni permanenti.
Del resto, a nulla era valso il pronunciamento contrario emanato dal Gran Muftì, massima autorità spirituale locale: l’incubo ispirato dall’asportazione parziale (escissione) o totale (infibulazione) degli organi sessuali esterni continua purtroppo a incombere sulle ragazzine di età generalmente compresa tra i nove e i 13 anni (esistono persino rare eccezioni inerenti neonate), tanto nelle aree rurali quanto in seno agli aggomarati urbani di maggior rilevanza. Con conseguenze talvolta drammatiche.
Alle molteplici complicazioni derivanti da un intervento invasivo e irreversibile (effettuto oltretutto in spregio alle più elementari norme igieniche e rigorosamente senza anestesia, dal momento che il dolore serve a temprare la vittima), passibile di incidere drasticamente sull’esistenza delle malcapitate va aggiunto l’alto rischio di contrarre infezioni letali, soprattutto se a operare (con rudimentali arnesi quali pezzi di vetro, spine o rasoi in ferro arrugginito) sono persone prive di competenza e cognizioni igieniche.
“La morte è espressione della volontà di Dio. Noi non abbiamo sbagliato con la ragazza, perché è noto che il desiderio fisico rende le femmine lussioriose“: lo zio di Suhair al-Bataa, stroncata a 12 anni dalla setticemia nel 2013 non ha né dubbi né rimorsi.
“In passato c’era molta ignoranza e i parenti confidavano sull’ausilio dei barbieri. Ma oggi siamo più evoluti. Sappiamo che molte ragazze muoiono. Personalmente sono dispiaciuta, ma in ogni caso prima della pubertà anche mia figlia Farah verrà circoncisa. Noi non temiamo le autorità“, ha puntualizzato Hanan, fruttivendola di Mansoura, località affacciata sul Delta del Nilo.
“E’ orribile e pericoloso per noi“, ha osservato la 13enne Amira Arafat, “A me sembra inutile, ma mi devo rassegnare: in fondo è la nostra usanza“.
Attualmente o il 70% delle circoncisioni viene effettuato in ambito ospedaliero da personale compiacente, attratto dalla prospettiva di poter trarre vantaggi economici da una consuetudine che le famiglie non sembrano intenzionate ad accantonare.
“Arginare il fenomeno è impossibile, quindi i dottori cercano di garantire un minimo di assistenza, anche se per molti è solo una questione di mero denaro“, ha commentato Efua Dorkenoo, consulente presso l’associazione Equality Now, attiva da decenni contro le barbarie compiute a danno dell’universo femminile. “Quello che stupisce è che in un certo senso sono le stesse donne a esigere il rispetto e la trasmissione della ritualità. Sono convinte che solo così potranno essere appartenere a una società tesa al controllo della sessualità femminile, dove qualsiasi riferimento all’intimità è un tabù difficila da sfatare“.
Ciò non contribuisce certo a risolvere una problematica che esulta da qualsiasi fondamento razionale. “La gente crede che l’assistenza medica offra garanzie superiori, ma dimentica che la facoltà di medicina non impartisce insegnamenti in tal senso. Ciascuno agisce arbitrariamente e perciò il tasso di mortalità rimarrà elevato“, ha confermato Philippe Duamelle a nome dell’Unicef.