Almeno il 60% della popolazione femminile inferiore ai 30 anni avrebbe subito ogni sorta di maltrattamenti fisici.
E’ la triste realtà delle mauritane, vittime di una distorta interpretazione della Sharìa (legge islamica) che ignorando deliberatamente il concetto di stupro non contempla nemmeno eventuali punizioni per gli aguzzini. Complice l’omertà imposta dalla tradizione patriarcale che conferisce all’uomo un potere pressochè assoluto, le donne oggetto di abuso sono inevitabilmente condannate a mantenere il loro doloroso segreto.
Diversamente rischierebbero di essere non solo perseguite legalmente per aver denunciato un crimine giuridicamente inesistente, ma anche discriminate (in quanto disonorate) dalle rispettive comunità di appartenenza. E’ infatti convinzione radicata che i rapporti sessuali non possano avvenire su esclusiva iniziativa maschile. A prescindere dalle circostanze.
Ma a differenza di una moglie, per la quale il ricorso alla giustizia resta inconcepibilie (il marito vanta su di lei ogni possibile diritto, incluso l’assoggettamento fisico, mentre l’aggressione da parte di un estraneo comporta la condanna alla lapidazione), per una ragazza ammettere pubblicamente la deflorazione implica necessariamente una perpetua emarginazione sociale, dal momento che al principio di verginità seguita a essere attribuita una valenza fondamentale ai fini del matrimonio. Il risultato è una crescita esponenziale delle brutalità perpetrate nel silenzio e nell’indifferenza generale.
“Sebbene la violenza domestica sia tecnicamente illegale, l’esecutivo non ha ancora provveduto a rafforzare le norme vigenti. Molti casi non vengono schedati. Non esistono statistiche affidabili sulla reale portata del fenomeno“, recita un rapporto stilato nel 2015 dal Dipartimento di Stato Usa. “Non disponiamo di atti procedurali, testimonianze o sentenze. Sappiamo che occasionalmente la polizia e gli organi giudiziari intervengono per dirimere le liti familiari, ma le interessate raramente acconsentono. Preferiscono la mediazione di parenti e imam locali. Oltretutto, i tribunali shariatici hanno molta dimestichezza in materia, tanto che malgrado le organizzazioni non governative abbiano talvolta invocato la tutela delle malcapitate da parte delle istituzioni, gli inquirenti si sono sempre rifiutati di accertare i fatti“.
A complicare la situazione è subentrato il recente pronunciamento dello studioso salafita Sheikh Muhammad el-Hassan Ould al-Dedew: “Il marito è padrone e custode della propria dimora e deve applicare le leggi di Allah, che vanno rispettate“, ha esordito. “Ciò significa che è anche obbligato a prevenire le violazioni alle regole divine e punire chiunque trasgredisca, perché altrimenti si renderebbe complice del delitto. Se non picchiasse una sposa peccatrice (a condizione che non usi una frusta ed eviti i colpi sul viso, n.d.r.) ), si ritroverebbe a pagare un prezzo assai alto nell’aldilà“.
Argomentazioni passibili di inasprire le miserie esistenziali gravanti sull’altra metà del cielo mauritano. A maggior ragione se provenienti da un personaggio di grande autorevolezza religiosa e politica, in grado di incidere profondamente nel tessuto connettivo nazionale.
Lo aveva già intuito nel 2012 l’allora emiro del Qatar Hamad bin Khalifa al-Thani, che approfittando di una visita ufficiale a Nouakchott (e credendo di potervi individuare i presupposti di una riforma democratica di importanza vitale per il paese) si era affrettato a esortare il presidente Mohamed Ould Abdel Aziz a riconciliarsi con la fazione clericale guidata dall’eminente teologo. Iniziativa emblematica ma rivelatosi in seguito infruttuosa: secondo il network arabo al-Akhbar il sovrano infatti sarebbe stato indotto ad abbandonare tempestivamente il territorio.
Ed è addirittura paradossale che due anni, proprio al-Dedew si fosse reso protagonista di una trattativa condotta (a nome del governo) con 67 detenuti jihadisti da riconvertire al pacifismo islamico. Un aspetto (almeno per lui) evidentemente ancora estraneo all’universo femminile.