Se una giovane donna italiana si trova con maggiore difficoltà a inserirsi nel mercato del lavoro, ad ottenere una remunerazione adeguata, a conciliare lavoro e famiglia, come pensare di convincerla ad avere figli nonostante tutto, pur informandola maggiormente sul fatto che se aspetta troppo rischia di non averne?
di Antonella Barillà
Lo stupore del Ministero della salute rispetto all’ondata di critiche mista a indignazione che si è levata da tutta Italia contro la campagna mediatica del Fertility day, è ben rappresentata dalle dichiarazioni di Eleonora Porcu, Presidente del tavolo consultivo sulla fertilità del Ministero della Salute e Direttrice del Centro di infertilità del Policlinico Sant’Orsola – Università di Bologna :” Sono meravigliata perché l’obiettivo del nostro lavoro di esperti a supporto del Ministero e di questo Ministro, che per primo si è interessato al tema della fertilità e a tutto questo universo poco noto, era quello di far conoscere la struttura del corpo degli uomini e delle donne e il suo funzionamento dal punto di vista riproduttivo, dando strumenti semplici, accessibili, divulgativi a tutti per fare scelte consapevoli”.
Infatti il piano nazionale per la fertilità, secondo l’intenzione degli estensori, ha lo scopo di collocare la fertilità al centro delle politiche sanitarie ed educative del Paese con la consapevolezza che la salute riproduttiva è alla base del benessere fisico, psichico e relazionale dei cittadini.
Nel testo si evidenzia che fin dall’adolescenza la funzione riproduttiva va difesa evitando stili di vita scorretti e cattive abitudini (come il fumo di sigaretta o l’alcool) particolarmente dannosi per gli spermatozoi e gli ovociti.
Ancora come sia necessario fin dall’infanz
ia agire contro obesità, magrezza eccessiva e sedentarietà o evitare abitudini negli adolescenti che mettano a rischio di infezioni sessualmente trasmesse o gravidanze indesiderate.
Si insiste sul fatto che la “finestra fertile” femminile è limitata e vulnerabile e che la qualità degli ovociti si riduce al crescere dell’età, soprattutto dopo i 35 anni.
Ma allora la campagna di comunicazione da fare era, come dice Saviano in un suo articolo, sull’infertilità, che è il vero problema su cui agire, e non sulla fertilità di cui ciascuno fa quello che vuole?
Purtroppo non è l’unica nota stonata della campagna.
Sempre citando Saviano: “ …e perché la ministra si è rivolta solo alle donne? Dove sono gli uomini? Dopo decenni in cui l’uomo e la donna hanno fatto acrobazie per ricalibrare il loro rapporto in funzione di una maggiore presenza del padre e di una equa suddivisione dei compiti, come può una Ministra proporre una comunicazione maschilista che annulla tutto questo?”.
Ma a mio avviso il vero problema è ben evidenziato da un articolo di Alessandro Rosina su Repubblica :” …molte ricerche evidenziano come il numero di figli desiderati dai ventenni italiani non sia piu’ basso rispetto ai coetanei francesi, americani o svedesi. La differenza sta soprattutto nel fatto che i propositi di conquista di una propria autonomia e di formazione di una propria famiglia, sono più facilmente realizzabili negli altri paesi avanzati…”.
Se una giovane donna italiana si trova con maggiore difficoltà a inserirsi nel mercato del lavoro, ad ottenere una remunerazione adeguata, a conciliare lavoro e famiglia, come pensare di convincerla ad avere figli nonostante tutto, pur informandola maggiormente sul fatto che se aspetta troppo rischia di non averne?
Ma la curva discendente della natalità si può trattare esclusivamente dal punto di vista sanitario estrapolandola dal contesto socio-economico?
Eppure proprio le politiche di prevenzione della salute sottolineano la rilevanza dei determinanti socioeconomici, che dopo l’età sono il singolo determinante più importante delle differenze di salute in una popolazione.
Occorrerebbe quindi un’azione integrata delle politiche del lavoro, sociali, e di salute, cercando di non sbagliare di nuovo la campagna di comunicazione.