Il tema dell’accessibilità sta diventando sempre più presente nelle politiche cittadine tanto che a Milano il sindaco di Milano Giuseppe Sala ha affidato le deleghe alle Politiche per l’accessibilità a Lisa Noja che lavorerà in collaborazione con tutti gli assessorati interessati.
Del 1974, l’ avvocata milanese Lisa Noja è da sempre impegnata nella tutela dei diritti sociali, in particolare di quelli delle persone con mobilità ridotta. Per rendere Milano una città sempre più accogliente, internazionale e a misura di tutti l’Amministrazione comunale si sta impegnando in questo settore
Lisa spera di poter dare un piccolo contributo a Milano, la sua città da sempre. Asserisce ” la vita è una sola e voglio stare bene e non perdere tempo prezioso con la tristezza. Io non penso che essere felici sia uno status. E’ una scelta. Non significa non portarsi dentro i propri dolori e soffrirne. Vuol dire solo decidere di non farli diventare la propria identità, la propria essenza. E’ un esercizio quotidiano, molto più interessante che stare a pensare a quel che non si ha avuto e non si avrà mai.”
Lei è stata incaricata dal sindaco Sala a seguire le politiche per l’accessibilità della città metropolitana di Milano. Ma Milano è pronta ad accoglierle?
Penso proprio di sì. In questi anni, Milano è molto cambiata e credo sia maturata una convinzione diffusa che una città più accogliente e capace di consentire ad ogni persona di muoversi liberamente, partecipare alla vita collettiva, mettere a frutto i propri talenti e realizzare le proprie potenzialità sia una città più bella, semplice, prospera e, in ultima analisi, felice. Alla fine, le politiche per l’accessibilità servono a raggiungere questo obiettivo e Milano è pronta. Anzi, ha già iniziato negli anni scorsi, tanto da vincere l‘Access City Award per il 2016. Ora, serve proseguire il percorso, accelerando. Bisogna fare il salto, mirando in questo – come nel resto – a competere con le grandi metropoli internazionali come Londra, Berlino, New York, Los Angeles.
E’ sufficiente volerlo ‘’dall’alto’’ perchè i cittadini capiscano che un ‘’disabile’’ è diverso ma non un marziano?
A mio avviso, la gente non pensa che una persona disabile sia un marziano. Semplicemente, molti non si sono mai fermati a pensare alle difficoltà quotidiane che incontra una persona che ha difficoltà motorie, sensoriali o cognitive. Ad esempio, manca l’abitudine a guardare la città con gli occhi di chi sa che la presenza di una scala può fare la differenza tra poter entrare o meno in un luogo. Se chiede a una persona che si muove su una sedia a rotelle quanti gradini d’entrata ci sono per entrare in quel determinato negozio, le saprà rispondere con precisione. Chi può camminare, non si ricorderà nemmeno se ci sono gradini, perché non ci ha mai fatto caso. Per questo serve la politica. Per aiutare a guardare la città con occhi nuovi, per aprire sempre più spazi e rendere una consuetudine vedere quegli spazi percorsi, vissuti da tutti. Tanto più saremo capaci di accrescere quella consuetudine, tanto più eviteremo il rischio dell’”effetto marziano”
Cosa è stato già fatto a Milano per i disabili? Ce ne può parlare?
Il mio compito non è di occuparmi di disabilità in senso generale. Si tratta di una competenza che spetta all’Assessore Majorino, che in questi anni ha lavorato benissimo, dimostrando sempre di avere una profonda attenzione ai bisogni delle persone con disabilità, e che sono certa continuerà a impegnarsi su questo, mantenendo il confronto costante coltivato anni mondo delle associazioni e con tutto il terzo settore. Il mio incarico riguarda attiene le politiche per l’accessibilità, che dovrebbero essere percepite come un tema trasversale che riguarda tutti e non solo le persone disabili. Come dicevo, è stato fatto molto in questi anni ed Expo ha dato una profonda spinta. Un numero maggiore di mezzi pubblici oggi è accessibile, è stato avviato il lavoro del PEBA, che ha prodotto un primo documento preliminare di grande qualità, nel nuovo regolamento edilizio sono state inserite disposizioni molto importanti che impongono l’obbligo per gli esercizi commerciali di essere accessibili. Occorre, però, assicurarsi che tutti rispettino le regole, che gli strumenti che oggi esistono siano messi in campo tutti e da tutti e che si diffonda una cultura diffusa dell’accessibilità sia nel pubblico, sia nel privato; sia nella fase di progettazione, sia in quella di realizzazione. Il senso della mia delega è proprio questo: lavorare in stretto coordinamento con gli assessori, a partire da Pierfrancesco Majorino, per rendere l’accessibilità universale una priorità per la Milano dei prossimi anni.
Le nuove strutture vengono pensate per essere anche accessibili, ma le quelle vecchie e storiche? Sono pronte ad eliminare e barriere architettoniche?
Costruire accessibilità sul nuovo è certamente più facile, ma anche negli edifici storici è possibile. Occorre la volontà e uno sforzo creativo. Hanno reso accessibile la Cappella Sistina, non vedo perché non si possa fare ovunque. Certo, è un percorso lungo e occorre pazienza. A volte, poi, si tratta di interventi molto meno complicati di quel che si pensi. Occorre, però, che i progettisti e i loro committenti abbiano la cultura e l’attenzione necessaria.
Si è sempre dedicata alla politiche sociali ?
Per vivere faccio tutt’altro. Sono un avvocato specializzato in diritto antitrust. Sono, però, cresciuta in una famiglia in cui è profondamente radicata l’idea che ciascuno debba contribuire, per quel che può, al benessere della propria collettività. E prima ancora che per un motivo etico, perché tanto più la serenità è diffusa, tanto più ciascuno di noi vivrà meglio. Penso, poi, che proiettarmi al di fuori di me sia anche un po’ terapeutico. Credo che quando la propria vita è oggettivamente abbastanza difficile, condividere uno sforzo comune per costruire un sentimento di solidarietà umana aiuti a sentirsi meno soli e fragili. Insomma, lavorare per provare a contribuire al miglioramento della vita delle Lise del futuro fa star meglio anche la Lisa del presente.
Per capire i problemi dei disabili bisogna essere ‘disabile’ Un non-disabile, fa fatica a comprendere che per un disabile è tutto più difficile ma che conserva dentro di sè la voglia di vivere e di fare?
È una domanda difficile. Come è sempre difficile dire se per capire fino in fondo un dolore occorra averlo provare. Sarei una matta se pensassi di poter comprendere appieno la sofferenza di chi non può vedere o sentire, o di chi ha affrontato altre perdite, diverse da una disabilità, perché in esperienze di dolore così intense c’è una parte intima, individuale, unica e irraccontabile con le parole. Però, i desideri umani sono uguali per tutti e chiunque può comprendere le difficoltà pratiche che chi ha una disabilità deve incontrare quotidianamente per realizzarli. Chiunque può farsene carico, condividerli e fare di tutto per eliminare o ridurre le fatiche. Il dolore non si può abolire perché non dipende dall’uomo. Tutto il resto, sì. E non fare di tutto per far venire meno gli ostacoli che dipendono dalla volontà umana è inammissibile.
Lei ha parlato alla festa dell’unità di una festa per disabili. Ma ai disabili non piace stare solo tra disabili, ma essere considerato ’’normale’’ Come pensa sia possibile soddisfare entrambe le esigenze?
No, per carità. Io non penso a una festa per i disabili. La sola idea mi fa orrore. Penso a una festa che celebri l’accessibilità come bene comune di tutti i cittadini, di cui ognuno – a prescindere dalle proprie condizioni – debba prendersi cura e sentirsi responsabile. E non solo perché è giusto e doveroso, ma perché è più vantaggioso. Se pensiamo a tutte le grandi metropoli internazionali che in questi anni hanno dato prova di capacità di rigenerarsi, si vedrà come in esse il criterio dell’accessibilità universale sia presente. Non esiste una grande città internazionale in cui la crescita economica, lo sviluppo sociale, l’innovazione tecnologica non siano andate di pari passo con una capacità di progettazione universalmente accessibile. Non c’è mai l’uno senza l’altra.
Cosa fare quando si trova un gradino troppo alto, un ascensore che manca o una strada non accessibile? Rinunciare ad andarci?
Bisogna andarci e rompere le scatole, togliendo ogni alibi e rivendicando il diritto di tutti di entrare in ogni spazio e di usufruire delle stesse opportunità. La presenza spesso è un’arma potente, perché rende le altre persone scomode. Pensi un po’ se Rosa Parks si fosse alzata dal posto in quell’autobus come sarebbe stata diversa la storia. La presenza e la motivazione cambiano il mondo.