Tutte/i sanno cos’ è la Costituzione italiana e i valori su cui si basa. Ognuna/o sa che andremo, il prossimo 4 dicembre, a votarne la modifica.
C’è da sperare che tutte/i abbiano compreso che la Costituzione non è come un cosmetico che si può ritoccare a piacimento. Che, se è rimasta tale dal 1946 ad oggi, la sua riforma, buona o cattiva, potrebbe presumibilmente durare altrettanto. Che da essa partiranno cambiamenti che andranno a modificare gli assetti politici ed elettivi. Che perciò l’orientamento di voto ha assunto toni che vanno al di là di una campagna referendaria nel merito.
Il Referendum popolare, come diritto di partecipazione alle scelte, è contemplato proprio in essa. Dunque partecipare è dovere di tutti i cittadini che hanno “pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (artic. 3).
Ciononostante, il voto delle donne ha determinato, a volte, un risultato fuori da ogni schema politico. Fu così per i referendum costituzionale del 1946, sul divorzio del 1974 e quello sull’aborto del 1981. Cosa faranno le donne nel 2016?
Tra ieri ed oggi ci sono differenze sostanziali.
Rispetto a quegli anni esse hanno conquistato in parte spazi di rappresentanza e di ruolo mentre, contemporaneamente, si sono allargati fenomeni degenerativi derivanti in parte da una cattiva e stereotipata cultura di genere.
All’uscita della donna dall’esclusività del ruolo familiare, santificante e portatore di una cultura ipocrita, ha corrisposto infatti una visione dell’universo femminile destabilizzante quello maschile. Il che ha contribuito ad ingenerare un aumento della violenza familiare e di genere.
Apparentemente, parrebbe che esse non abbiano bisogno d’altro che d’una guardia del corpo.
Dimenticando che ancora oggi permangono pesanti disparità tra generi che ne mantengono la disuguaglianza. Il percorso intrapreso decenni addietro per la conquista della parità è ancora da concludersi.
Per questo è molto importante come esse voteranno.
Il panorama a cui si rivolge l’attenzione mediatica-referendaria ha alcuni coni d’ombra.
Il primo è la scelta iniziale, e solo successivamente strumentalmente ritirata, di personalizzare politicamente il voto referendario subordinandolo alla caduta o meno del governo in carica, portando il dibattito fuori dai contenuti referendari e provocando una spaccatura marcatamente politica nel corpo elettorale.
Il no o il si ad una questione referendaria dovrebbe invece basarsi su convinzioni e valutazioni individuali sul contenuto del quesito e non su chi lo propone.
Per il referendum sul divorzio, si mossero masse di cittadini di ogni schieramento politico, di ogni sesso ed anche, in molti casi, di diversa religione.
Nel caso del referendum sull’aborto, a cui si pensava avrebbero partecipato solo gruppi di donne malvagie e di facili costumi, ci fu una consapevole partecipazione di tutti. I risultati ottenuti hanno dimostrato successivamente che quelle del popolo furono scelte sagge.
Dunque perché oggi ci si dovrebbe sentire in difetto a votare non in conformità alle indicazioni del governo ma in modo libero quanto democratico?
Nell’area femminile, forse perché questa indicazione a volte è apparsa minacciosa nei suoi successivi risvolti, gli schieramenti per il no sono più sommessi, più pudichi, mentre sono presenti molti “si”. Forse la prudenza femminile porta a non esporsi? A ponderare fino all’ultimo?
Certo gli elementi di confusione in questo dibattito sono molti. Tutto si confonde in un attivismo frenetico del governo, nell’approvazione di decreti immediati, di leggi economiche alle quali si lega, per uno strano intreccio, il referendum, dove ogni cosa dipende vicendevolmente e non si comprende più dove inizia l’una e finisce l’altra.
Come un caldo minestrone che fa bene agli stomaci disturbati, il messaggio inviato appare luminoso ma, come ogni cono di luce, ad esso corrisponde un cono d’ombra.