Le Social street sono gruppi informali, formati da vicini di casa che hanno deciso di connettersi e socializzare a partire dal social network più diffuso. Ne parliamo con Cristina Pasqualini ricercatrice e sociologa alla Cattolica di Milano
Cristina è nata a Senigallia nel 1975, sposata e madre di due bimbe.
Sei una ricercatrice alla Cattolica, di cosa ti occupi principalmente?
Sono una sociologa, ricercatrice e docente di Sociologia dei fenomeni collettivi all’Università Cattolica di Milano. Dal 2011 collaboro all’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo, Ente Fondatore dell’Università Cattolica, che cura annualmente il Rapporto Giovani. Dal 2014 ho avviato e coordino l’Osservatorio sulle Social Street, che nasce da una ricerca auto-promossa, auto-finanziata e partecipata, realizzata con colleghi ricercatori e giovani studenti assieme alle social street di Milano e provincia.
Hai partecipato alla manifestazione Crescita Felice a Milano parlando di Social Street.- Cosa sono e quando sono nati?
Le Social street sono gruppi informali, formati da vicini di casa che hanno deciso di connettersi e socializzare a partire dal social network più diffuso attualmente, ovvero Facebook. In un primo momento i vicini si conoscono nei gruppi Facebook, che sono gruppi chiusi e amministrati, e progressivamente possono decidere di scendere in strada e conoscersi anche nel reale. Dalla frequentazione online e offline possono nascere idee e progetti di condivisione, come ad esempio prendersi cura di alcuni vicini in difficoltà oppure della città, intesa come bene comune. Il tutto avviene all’insegna dell’economia del dono, della gratuità. Quest’ultima è alla base delle relazioni di vicinato e rinforza, in una sorta di circolo virtuoso, i legami sociali di prossimità.
Perchè hai affermato ‘’ “l’economia collaborativa, che è arrivata in Italia soltanto da pochi anni, ha alcune criticità perché nel nostro Paese manca la cultura della condivisione; sono però molto interessanti gli esempi di coworking e cohousing”.? Eppure molte modalità di condivisione hanno preso piede in Italia.
Gli studiosi di sharing economy sottolineano che in Italia ci sia ancora una scarsa cultura della condivisione. L’idea che per i consumatori “l’accesso è più vantaggioso della proprietà” è interessante. È vero però che può suonare anche come una magra consolazione in tempo di crisi, poiché è evidente che alla base restano delle differenze, oltre che delle disuguaglianze tra chi possiede un bene/servizio e chi lo può soltanto condividere. Mi sento tuttavia di fare una distinzione tra la sharing economy delle piattaforme collaborative e quella che si attiva in alcune situazioni offline tipo i cohousing, i condomini collaborativi e gli spazi coworking. Quest’ultima mi sembra una sharing economy dal volto umano. Probabilmente il fatto che le persone si frequentino nei luoghi fisici, abbiano un volto, un nome, una storia, attiva la fiducia che spesso manca in Rete, relazioni sociali di scambio economico ma anche sociali in senso più ampio.
Pensi davvero che la virtualità e globalizzazione rendano l’uomo più solo?
Credo che non si possa vivere completamente sradicati dai territori. Le relazioni sociali che si creano nei luoghi fisici reali, in cui abitiamo, sono profondamente differenti da quelle virtuali – che come afferma anche l’antropologo Marc Augé sono piuttosto promesse di relazioni – o da quelle che attiviamo negli spazi di attraversamento, nei tanti non-luoghi globalizzati e anonimi che attraversiamo quotidianamente. L’ideale sarebbe poter far esperienza di tutte queste relazioni, essere globali e al contempo locali.
E i Social street aiuterebbero ad uscire fuori?
Le social street sono un fenomeno interessante in questo senso. Le persone che abitano la strada sono chiamate a connettersi e conoscersi. Ognuno resta libero di aderire o meno. Ma di certo la social street è per definizione e nelle sue intenzioni massimamente inclusiva, ovvero aspira concretamente a coinvolgere tutti: giovani e anziani, italiani e stranieri, persone che hanno un capitale culturale, sociale ed economico differente. Se alla fine ti senti rappresentato e interpellato, esci dal nido e partecipi. Non hai nulla da perdere. Anzi.
Cosa ne pensi degli anziani che non sono interconnessi e soffrono la solitudine? Un social media anche per loro?
Le social street, per essere inclusive, si scambiano informazioni e favori comunicando sia attraverso il social network dedicato sia attraverso bacheche presenti in strada o locali ad hoc. È interessante che in alcune social street di Milano sono stati attivati dei corsi di alfabetizzazione informatica, che hanno coinvolto proprio gli anziani della strada. Alta è stata la partecipazione e soprattutto l’utilità. Ci sono anziani che adesso sanno usare il pc e, per godere meglio della social street, si sono anche aperti un profilo su Facebook. Accade anche questo. Soprattutto a Milano.