Quando le donne sarde cominciarono a “banditare”
A Nulvi, in provincia di Sassari, una via è dedicata alla nobile dinastia Delitala e – sull’antico palazzo di famiglia- è visibile una targa in ricordo di Francesco, padre di Lucia, una delle protagoniste del banditismo sardo “al femminile”. Sono vicende poco conosciute, controverse ma affascinanti, che raccontano fatti sospesi fra leggenda e storia. Il testo è tratto dalla ricostruzione storica pubblicata in “Memorie” nel sito www.toponomasticafemminile.com I documenti di battesimo presentano Lucia come figlia legittima del nobile don Francesco Delitala Tedde e di donna Jana (Giovanna) Maria Tedde, ma non esistono testimonianze certe sulla sua morte né sulla sua tomba. Secondo alcune fonti sarebbe morta fra il 1755 e il 1767, secondo altre nel 1760; non ci sono lapidi né ricordi nel cimitero di Nulvi e nella chiesa di sant’Antonio Abate, divenuta nel tempo una sorta di tomba di famiglia. Qualcuno avanza l’ipotesi di un assassinio avvenuto a Chiaramonti dove si sarebbe nascosta e sarebbe stata sorpresa da un incendio nel sonno, mentre era abbracciata nel letto ad un uomo. La famiglia aveva ottenuto il cavalierato nel 1636 e la nobiltà nel 1641; si sa che erano ricchissimi grazie ad attività non sempre lecite, come il contrabbando e il brigantaggio; alcuni membri parteciparono ai moti del 1720 contro i Savoia, mentre altri si trasferirono stabilmente in Corsica. La casata si estinse nel corso del XX secolo. Lucia ebbe un’infanzia protetta, in un ambiente affettuoso e sereno, mentre il paese natale era insanguinato dalla rivalità fra i Tedde e i Delitala, divenuta una vera e propria faida. Si racconta che fin da bambina avesse un carattere ribelle e usasse spesso come arma le sue piccole forbici da ricamo contro le ragazze della parte avversa, ma soprattutto contro le donne che parteggiavano per i Savoia. Con le forbicine, usate in chiesa, a un ballo, durante una cerimonia pubblica, si potevano tagliare gli abiti, i nastri, i pizzi delle avversarie causando pochi danni ma grande imbarazzo per le malcapitate cui magari cadeva la gonna per strada. Molti la ricordano assai bella e somigliante come una gemella alla cugina Marietta, immortalata in un quadro nella parrocchiale di Nulvi. Il marchese Carlo Amedeo Battista di San Martino d’Agliè e di Rivarolo, Viceré di Sardegna, la descrive invece, senza averla mai vista, dotata di «due mustacchi da granatiere e usa le armi e il cavallo come un gendarme». Pare che fosse solita indossare una maschera quando voleva nascondere la sua identità e quando, ormai adulta, utilizzava lo schioppo ad arcione, con innesco a pietra focaia, oppure lo stocco, più leggero della spada, mentre percorreva la Gallura con il suo amato cavallo Tronu. Per contrastare il banditismo il Vicerè aveva inventato metodi violenti e fantasiosi, anche se poco efficaci: aveva infatti creato un corpo militare itinerante, a cui si univano giudici e una forca sempre pronta per mettere in atto spietate condanne; aveva poi utilizzato l’”importazione” di continentali per popolare vaste aree totalmente disabitate, in modo da renderle meglio controllabili e meno selvagge. Ebbe l’idea di sopprimere l’Università di Sassari e cercò in ogni modo di cancellare, negli abiti, nelle usanze e persino nell’architettura, le tradizioni spagnole radicate in quattro secoli di dominazione. Certo è che in Sardegna, nel Settecento, il governo piemontese appariva altrettanto straniero e ancora più avido e i banditi molto spesso si ammantavano di un’aura da liberatori e difensori dei diritti. Lucia, incoraggiata dal padre, fece propria questa battaglia e cominciò a servirsi di uomini armati al suo servizio per assalire le truppe sabaude, specie quando si trovavano isolate e in zone a loro poco familiari. Lucia ebbe un valido amico e alleato nel bandito Giovanni Fais che si era dato alla macchia con la moglie Chiara Unali e la figlioletta Mattea. Un fatto di particolare rilievo fu l’assalto ai soldati del distaccamento di Ozieri che finì in una vera e propria strage. Il Vicerè, che inventò un altro provvedimento curioso, ovvero l’obbligo per gli uomini di non portare la barba, arrestò Francesco Delitala e, prima di procedere contro Lucia, la invitò a Cagliari, nel suo palazzo. Dopo un breve e provvisorio arresto, la donna fu libera a condizione che non proseguisse le sue imprese contro il governo. Per Lucia questa fu quasi una provocazione: cominciò davvero a fare la vita della “bandita”, con un certo agio però, perché veniva ospitata, grazie alla sua casata nobilissima, in palazzi signorili ben protetti. Un altro episodio che si tramanda è l’assalto (a Montesanto) a una compagnia di dragoni che portavano con sé prigionieri e denaro. Questo massacro fece tanto scalpore che addirittura il gesuita padre Vassallo riunì a Nulvi i capi delle due fazioni, Giovanni Tedde e Antonio Delitala, per stipulare una pace duratura almeno fra di loro. Da allora Lucia maturò sempre più la convinzione di combattere per una giusta causa, da patriota contro gli invasori, ma il commissario governativo fece arrestare molti suoi seguaci che finirono impiccati o torturati con la lingua strappata. Anche l’amico Fais rischiò di essere catturato in un epico scontro che vide cadere al suolo duecento uomini fra soldati e banditi; Lucia, in modo avventuroso e romanzesco, riuscì ad arrivare in tempo con un manipolo di fedelissimi e a portare al sicuro Fais, con Chiara e Mattea. Fais però non rimase a lungo nascosto e si gettò di nuovo nelle imprese pensando di essere sempre protetto dai pastori, su montagne impenetrabili. Fu invece intercettato e sarebbe stato di nuovo arrestato se non fosse stato ancora una volta per l’aiuto di Lucia che ‒ si racconta ‒ arrivò sul suo cavallo Tronu indossando un mantello rosso, la maschera sul volto e l’elmo di cuoio. Fais con la famiglia fu fatto fuggire in Corsica, dove rimase quindici anni. Al ritorno era convinto che il suo passato fosse stato dimenticato e riprese con i sequestri, ma fu catturato e impiccato a Sassari nel 1774; il suo corpo fu smembrato e disperso perché non ne rimanesse alcuna memoria. Lucia nel frattempo non si sa se fosse ancora in vita, vista la mancanza di un atto di morte; certo è che non finì di stupire con il suo testamento lasciando diecimila lire in favore del collegio dei Gesuiti di Ozieri. Quando l’ordine fu soppresso, il parroco di Chiaramonti fece buon uso del denaro tanto che molti anni dopo poté essere costruita una nuova parrocchiale. Altri fondi furono generosamente lasciati alla Chiesa, a testimonianza di una devozione certo molto particolare in una donna spietata e senza paura, il cui nome è divenuto leggendario in Sardegna.