In una notte di marzo del 2016 una non meglio identificata bandilla ha colpito e ucciso BERTA CÁCERES FLORES ecoattivista honduregna
BERTA CÁCERES FLORES
(HONDURAS 3/3/1971-2/3/2016)
È la notte tra il 2 e il 3 marzo 2016 quando due ignoti fanno irruzione nella casa di Berta Cáceres, a La Esperanza, uccidendola con quattro colpi di pistola mentre dorme. Il 3 marzo sarebbe stato il suo quarantacinquesimo compleanno. In casa insieme a lei era presente il suo amico messicano Gustavo Castro Soto, rimasto ferito.
La situazione politica e sociale in Honduras è spaventosa: corruzione e abusi di potere sono all’ordine del giorno, la popolazione è preda dei continui attacchi di bande paramilitari armate e finanziate dalle multinazionali e dai narcotrafficanti. Il golpe del 2009, riuscito grazie all’appoggio USA, ha gettato il paese nel più sfrenato neoliberismo: totale libertà di azione e di devastazione alle imprese e fortissima repressione contro chiunque tenti di ostacolarne i profitti.
Una sfilza di recenti decreti governativi ha autorizzato la costruzione di enormi impianti turistici e petroliferi persino su aree naturali protette; solo negli ultimi 5 anni sono stati privatizzati 47 fiumi e costruite 27 dighe, per non parlare delle almeno 470 concessioni minerarie che hanno svenduto una superficie pari al 31% dell’intero territorio del paese. Dico “almeno” perché non tutte le concessioni sono date in forma ufficiale, quindi molte di queste non risultano nei documenti. Le restanti zone coltivabili sono ormai danneggiate da mercurio arsenico e cianuro usati negli impianti.
A questo punto agli abitanti di quelle terre, schiacciati tra povertà e disoccupazione da un lato ed esercito e bande dall’altro, non resta che la fuga verso Nord, a ingrossare le fila dei migranti clandestini che affluiscono verso gli Stati Uniti.
Chiunque in Europa avrà sentito parlare, più o meno approfonditamente, di civiltà precolombiane come quella Azteca, Maya o Inca. Forse anche dei Sioux, dei Cheyenne e persino dei Mapuche. Ma quante persone nel “mondo civilizzato” conoscono il popolo Lenca? È già di per sé significativo il fatto che nessuno ne abbia mai parlato.
Si tratta di un’antichissima civiltà che popola i boschi e i monti dell’America Centrale vivendo prevalentemente di agricoltura caccia e pastorizia. Ne consegue, ovviamente, che per loro è vitale il rispetto della Terra: l’inquinamento dell’acqua fluviale e la distruzione delle foreste sarebbero per questa gente fonte di estinzione. I beni comuni della Natura sono i diritti basilari di quei popoli.
A tutto ciò bisogna aggiungere che per le tribù Lenca, come per tutte le popolazioni indigene americane, l’acqua non è soltanto fonte di vita biologica. La Cosmogonia andina vede l’Acqua come qualcosa di sacro, più di un semplice essere vivente: è il sangue della Pachamama, la Madre Terra tradizionalmente venerata in tutti i culti locali; sottrarre o inquinare l’acqua è un crimine contro il mondo e il suo Spirito, contro la Natura e le persone, molto più grave dell’idea cristiana di peccato.
In particolare, il fiume Gualcarque, oltre a dare sostentamento ad almeno 600 famiglie nella zona di Rio Blanco, è da sempre considerato un luogo sacro e un punto di incontro di tutti gli spiriti della Terra e dell’Acqua presenti nella regione. “En nuestras cosmovisiones – spiega Berta – somos seres surgidos de la Tierra, del Agua y del maís; de los ríos somos custodes ancestrales el pueblo Lenca.” Difficile che una diga possa scardinare credenze così tanto radicate.
In difesa della Terra e delle persone nel 1993 era stato fondato il Consejo de las Organizaciones Populares e Indígenas de Honduras (COPINH), il quale negli anni aveva ottenuto svariate vittorie in materia di ecologia e sviluppo sostenibile. Ma subito dopo il colpo di stato del 2009 è iniziata una pioggia di permessi per costruire enormi impianti minerari e idroelettrici con annesse dighe. Titolari dei progetti sono imprese cinesi e nordamericane con capitali anche europei. Tali appalti sarebbero formalmente vietati dalla Convenzione ONU 169 del 1989 sul diritto all’autodeterminazione dei popoli indigeni, secondo la quale grandi opere di questo tipo necessitano del consenso della popolazione locale. Per ottenere diritti che formalmente non avrebbero, le grandi multinazionali fanno ricorso alle cosiddette “squadre della morte”, bande armate del tutto indisturbate che uccidono chi difende l’ambiente, stuprano le donne e incendiano i villaggi saccheggiandone le terre e devastandone le coltivazioni. Non sono mai stati trovati né gli esecutori né i mandanti, eppure dal 2010 a oggi sono stati assassinati ben 101 ecoattivisti (se contiamo solo le statistiche ufficiali).
È in questo contesto che si colloca la figura di Berta Cáceres Flores, ambientalista, attivista per i diritti umani e portavoce del COPINH. Proprio sotto la guida di questa donna, la comunità di Rio Blanco ha ottenuto la più grande vittoria della sua storia: dopo tanto sangue versato, è riuscita a far estromettere dalla zona i maggiori costruttori di dighe al mondo, l’americana Desa (di cui una parte dei profitti sarebbero andati al governo postgolpista dell’Honduras) e la cinese Sinohydro, bloccando così la costruzione del gigantesco complesso idroelettrico Agua Zarca, composto di più dighe sul Rio Gualcarque. Sarebbe dovuto essere l’impianto idroelettrico più grande del mondo.
I blocchi e gli atti di resistenza passiva portati avanti dai Lenca sotto il suo coordinamento sono stati molto efficaci, ma la reazione dei militari statunitensi e dei paramilitari onduregni non si è fatta attendere.
In seguito all’ennesimo omicidio di un indio, Berta Cáceres ha fatto ricorso alla Banca Mondiale, ha presentato denunce per la situazione al Congresso degli Stati Uniti, alla Casa Bianca, al Dipartimento di Stato e alla allora segretaria di Stato Hiilary Clinton… e ha ricevuto ben poco ascolto.
Per questo nel suo Paese è stata accusata di terrorismo. Più volte ha subito anonime minacce di morte e ha dovuto mandare le sue tre figlie e il figlio in Argentina per paura di sequestri o ritorsioni.
Ha portato la voce degli Indios, senza voce da più di 5 secoli, alla Corte europea di Strasburgo, al Tribunale dei Popoli, alla Corte interamericana per i diritti umani e persino in Vaticano, sperando nell’aiuto del pontefice latinoamericano in difesa da ciò che lei definisce “el sistema capitalista, racista y patriarcal, responsable de la depredación de la Tierra y de la explotación de las indígenas”. Ma niente da fare, nessuno può ostacolare il “progresso”.
Finalmente, nel 2015 il suo impegno è stato riconosciuto con il Goldman Environmental Prize, il premio più prestigioso al mondo in difesa della Terra e dell’Acqua, una specie di premio Nobel per l’Ambiente, concessole con questa motivazione:
“In a country with growing socioeconomic inequality and human rights violations, Berta Cáceres (d. 2016) rallied the indigenous Lenca people of Honduras and waged a grassroots campaign that successfully pressured the world’s largest dam builder to pull out of the Agua Zarca Dam.”
In una notte di marzo del 2016 una non meglio identificata bandilla ha colpito anche lei. Bandilla è il termine spagnolo usato per indicare i gruppi criminali armati, l’equivalente dell’inglese gang.
La famiglia chiede giustizia e accusa: in Honduras pagare dei sicari è molto facile e sarà impossibile trovarli, ma la responsabilità è chiaramente della Desa; ne sono certamente coinvolti, secondo le parole delle figlie, anche i finanziatori europei del progetto, la banca olandese e quella finlandese.
L’eco della notizia si è sentita in tutto il mondo, tanto che, per lo scandalo, l’International Finance Corporation (IFC), braccio privato della Banca Mondiale, ha ritirato i fondi per il progetto di Agua Zarca. Il governo dell’Honduras ha formalmente promesso protezione al suo compagno di lotte Gustavo Castro Soto, presente in casa sua al momento dell’omicidio, ma in realtà gli ha soltanto impedito di uscire dal Paese (nel quale difficilmente sarà al sicuro) e sospeso il suo legale di fiducia.
Il funerale di Berta Cáceres è stato seguito da una folla imponente. Ma ora le tribù Lenca sono povere, divise e non certo colte, senza di lei non sarà difficile aggirarle in cambio di denaro e riprendere i lavori. Intanto, in Honduras continua ad aumentare il numero di attivisti e contadini assassinati nel totale silenzio delle istituzioni e senza che nessuno faccia giustizia.
“Construyamos sociedades capaces de coexistir de manera justa y digna por la vida. ¡Despertemos humanidad!”.
Così Berta conclude il suo ultimo discorso pubblico: non si rivolge solo ai Lenca o agli Indios o all’America Latina ma all’umanità tutta, perché la violenza che sta colpendo l’Honduras e l’America può da un momento all’altro colpire il mondo intero o qualunque sua zona.