USA. DIRITTI CIVILI A RISCHIO: ATTIVISTE IN ALLARME DOPO LA SCONFITTA DI HILLARY
E’ davvero triste dover constatare la forte incidenza del voto femminile sull’incomprensibile ascesa del conservatore Donald Trump all’apice dell’amministrazione Usa. A distanza di qualche giorno dallo sconfortante esito emerso dalle urne è inevitabile cercare di intuire le ragioni che hanno indotto il 53% delle cittadine bianche a privilegiare tacitamente un personaggio notoriamente misogino, molestatore, antiaborta, razzista, omofobo e volgare anzichè agevolare l’accesso inedito di una donna altamente qualificata allo Studio Ovale.
Incapaci di ovviare ai miti imposti dalla cultura patriarcale, molte (a differenza delle afroamericane apertamente schierate al fianco della democratica Hillary Clinton) potrebbero aver individuato in lui la presunta continuità naturale di una leadership tradizionalmente maschile. Per altre invece sarebbe stato l’impatto positivo con la sua retorica demagogica, distorta e aggressiva (pervasa da principi etici peraltro contradditori) ad aver influito sulla scelta conclusiva.
Eppure i presupposti di una campagna presidenziale all’insegna della parità di genere erano trapelati sin dall’inizio: per la prima volta dal 1776 un uomo e una donna si ritrovavano a concorrere in una competizione politica di valenza planetaria. Quella virtuale cupola di cristallo che ancora separava l’universo femminile dalle sfere del potere stava forse per essere definitivamente infranta.
L’ex first lady era infatti riuscita a trasformare la tendenziosa narrativa avversaria in uno strumento di lotta per l’uguaglianza, tanto che lo stesso magnate newyorkese si era affrettato ad accusarla di “voler giocare la carta della femminilità” in un contesto politico poco generoso con l’altra metà del cielo (“Se combattere per la salute delle donne e inseguire l’equiparazione salariale significa far leva sull’appartenenza sessuale, allora mi ritengo esente da colpe“, aveva prontamente replicato l’interessata).
Ma molte (intenzionalmente o meno) non hanno affatto percepito il messaggio. Del resto, sebbene i movimenti di rivendicazione risalgano al lontano 1848 (occorrerà tuttavia attendere l’emendamento costituzionale del 1920 per assistere al suffragio universale), il percorso emancipatorio delle statunitensi (e per estensione delle loro simili sparse ai quattro angoli del globo) non ha prodotto risultati eclatanti. Fino all’esordio clintoniano sulla scena elettorale ( e a fronte di una partecipazione sempre più attiva attiva alla vita politica locale) solo due donne (aspiranti vicepresidenti) si erano ritrovate coinvolte nella corsa alla Casa Bianca: l’esponente dell’Asinello Geraldine Ferraro nel 1984 e la repubblicana Sarah Palin, 24 anni dopo.
L’Election Day del 2016 avrebbe potuto sventare i pregiudizi sessisti e abbattere le barriere discriminatorie che ancora insidiano la quotidianità fenmminile. Lo scetticismo generale ha invece prevalso sulla razionalità. “Non è certo questo l’esito sperato“, ha commentato l’ex Segretario di Stato. “E’ una sconfitta dolorosa che ci accompagnerà a lungo. Voglio confermare a tutte, le ragazze in particolare, che nulla mi rende più orgogliosa della consapevolezza di aver rappresentato un modello. Anche se io non non ci sono riuscita, qualcuna un giorno raggiungerà la vetta. E mi auguro che accada presto. Non dubitate delle capacità che possedete: cercate di cogliere ogni opportunità in modo da realizzare i vostri sogni“.
Sono in parecchie ora a paventare le ripercussioni che l’alternanza ai vertici statunitensi potrebbe comportare a livello sociale. “Non è tanto la vittoria del tycoon ad allarmarci. E’ il controllo totale che i membri del Grand Old Party eserciteranno sia alla House of Representatives che al Senato. conosciamo a priori la loro reticenza a varare riforme progressiste in materia riproduzione, violenza, unioni civili, sanità “, ha osservato Sujata Moorti, attivista e docente presso il Vermont’s Middlesbury College. “L’avversione nei nostri confronti diventerà il tema conduttore della linea istituzionale“.
Analoga preoccupazione è stata espressa dalla scrittrice Amy Richards, femminista convinta: “Dall’identità dei collaboratori selezionati si evince che la strategia del nuovo leader verterà sulla regressione relativamente ad aborto, accesso indiscriminato ai servizi trapeutici, educazione, lavoro. Le noste gloriose battaglie rischiano di essere inficiate. Non dobbiamo dimenticare che a dispetto della nomina di Trump da parte del sistema la maggioranza dei consensi popolari depone a favore della Clinton. E’ stata fonte di ispirazione per noi e per l’intero paese. Le potenzialità personali che ha evocato ci incentiveranno a proseguire verso la giusta direzione. Le donne non cambieranno, ma il neopresidente ha regalato tante promesse e ciò che farà resta un mistero“.
La rappresentante del National Organisation for Women Terry O’Neill è letteralmente inorridita: “Onestamente credo che abbiamo fallito. Non stiamo state in grado di far breccia nel cuore femminile della nazione. Non so cosa ci riserverà il futuro. Dovremmo seguire un itinerario comune cercando di essere più solidali“.
Profondamente delusa anche la pop star Cher (“Se Hillary perderà sarò costretta ad abbandonare il pianeta“, aveva ironicamente preannunciato in vista della sfida decisiva dell’8 novembre scorso), per la quale “servirebbero giovani carichi di energia con idee innovative,dal momento che ci stiamo lentamente dissolvendo“.