Meno 4,3,2,1 e botto! Con questo semplice, rumoroso, pericoloso gesto pirotecnico viene accolto infine e finalmente il tanto atteso nuovo anno.
Sia che sia andato male, bene, discretamente o in tutte le variazioni declinabili, la fine di un anno viene attesa come liberatoria , vissuta quasi come portatrice di un ciclo altrettanto lungo ma all’insegna del rinnovamento, della realizzazione delle proprie speranze, progetti e buoni propositi.
E’ la celebrazione collettiva della fine di una sezione di tempo, un arco di 365 giorni, che ha visto il segnare delle stagioni climatiche ed umane.
“Quattro stagioni fanno intero l’anno, quattro stagioni ha l’animo dell’uomo” (John Keats).
L’avvento del Capodanno assume diversi risvolti. Sicuramente quello climatico; capita nei giorni “della merla”, ovvero i giorni che dovrebbero essere i più freddi dell’anno. Percepito dall’immaginario collettivo come un evento, esso accomuna tutti i gruppi umani (che facciano riferimento allo stesso calendario) in un festeggiamento scaramantico contro un passato insoddisfacente da cancellare sancendone la fine. Una separazione inevitabilmente consensuale, quella che avviene, da un presente che lo si vuole collocare già nel passato, in cui gli unici accordi previsti sono speranze di cambiamento e auspici di felicità. Per il divorzio definitivo o riconsiderare se qualcosa di quello che è successo andava salvato, si può attendere di vedere come sarà il futuro.
Anno nuovo, vita nuova! Oroscopi, promesse, progetti ed ogni altro cambiamento alla propria vita viene rimandato alla Dea Fortuna che si spera bacerà esattamente gli astri sotto cui si è nati.
Questa la tradizione ma il contesto storico e ambientale fa la differenza.
Nei primi Capodanni del dopoguerra, la reazione delle famiglie italiane, uscite stremate e impoverite, fu di gettare dalla finestra tutto quello che di vecchio, rovinato, brutto avessero nel proprio appartamento. Uscire nella notte del 31 Dicembre avrebbe messo a repentaglio la vita dei passanti e le strade si riempivano di water, ferri vecchi, piatti, materassi, ferri da stiro ma anche di maioliche, infissi e porte. Gettare quello che ricordava loro uno stato d’indigenza, di povertà e di rinunce diventava una sorta di liberazione. Un fardello di cui disfarsi. Il riscatto sarebbe stato quello di aderire ai modelli importate da altre società, in particolare americana, intravista già con la presenza delle truppe alleate.
I grandi cambiamenti nel mondo, le economie in ripresa diedero il via ad una nuova stagione che nelle case erano rappresentate dalla presenza di nuovi oggetti che s’installavano al posto di quelli vecchi. Nella stagione degli elettrodomestici niente sembrava più valesse la pena essere conservato; gli appartamenti si ristrutturavano, gli arredi mutavamo stile, la società era in preda ad una voglia di riscatto.
Eppure, dopo tanti decenni, quest’ abitudine di gettare roba in strada viene ancora mantenuta e non solo in zone degradate e, anche nel nuovo Millennio, le cattive abitudini ci fanno compagnia.
Tanto resistenti da essere diventate consuetudini che travalicano quel significato liberatorio del Capodanno del dopoguerra.
Ogni giorno è possibile vedere spazi urbani disseminati di discariche a cielo aperto, cumuli di materiale inquinante, frigoriferi e televisori a bordo fiume, nascosti in ogni posto verde e purtroppo agibile da tutti.
Perché al contrario della simbologia, anche di un gesto in sé deprecabile come quello di gettare oggetti dalle finestre, lo scarico di questi materiali lo si fa di nascosto, consapevoli del dolo ambientale che si provoca.
D0altra parte comprare oggetti sempre più soddisfacenti non ha bisogno di una ricorrenza particolare e la quantità di cose esistenti sul mercato sono tali che rinnovare a volte più che un esigenza è un vizio e uno spreco.
Meno 4,3,2,1 e botto! Con questo semplice, rumoroso, pericoloso gesto pirotecnico viene accolto infine e finalmente il tanto atteso nuovo anno. Luccicante e promettente ha bisogno di allegria, di bagliori e del colore rosso, come facevano già nella Roma imperiale, in cui le donne per celebrare l’avvento del nuovo anno si vestivano di porpora.
Rosso è il colore che gli antichi hanno affidato all’amore, alla vitalità, alla passione, alla fierezza ma anche del fuoco, del sangue, degli slanci vitali e dell’azione. Il colore rosso è anche accostato al pericolo, alle emergenze, alle violenze e agli omicidi.
Meno 1,0 e botto!
Vorremmo gettare dalla finestra “violenza, guerre, abusi, fame, privazione di diritti, infanzia abbandonata, poteri corrotti, istituzioni inadeguate, cattivi governi, regimi, emigrazione, terrorismo, distruzione ambientali, sterminio di animali” ma sappiamo che è tecnicamente impossibile.
Continueremo a fare buoni propositi, è semplice, mantenerli farà la differenza con cui faremo i conti il prossimo Capodanno.