Donne musiciste e il museo della Scala in mostra.
Prima di visitare il Museo della scala, ci fermiamo a leggere una locandina che annuncia un ciclo a cura di Armando Torno:
“Letture e note al Museo”, in programma da dicembre ad aprile, dedicato a compositori e personaggi legati al mondo del melodramma, come il celebre impresario Domenico Barbaja.
Vi segnaliamo la serata del 18 gennaio (alle ore 18:00) in cui sarà presentato il carteggio fra Verdi e la famiglia Morosini, nella quale vi furono donne che ebbero grande rilievo nella vicenda biografica del compositore: per esempio la contessa Giuseppina Negroni Prati Morosini (1824 – 1909), “tra le prime e più ferventi sacerdotesse del mito verdiano”. Le donne non sono state certo soltanto comparse nella storia dell’Opera italiana.
Andiamo al museo per scoprirle, in una Milano ancora quieta dopo i festeggiamenti di inizio anno, per trovare un luogo emblematico della storia e dell’influenza delle donne milanesi nella cultura.
Il museo comprende anche i testi di una biblioteca di centocinquantamila volumi, un archivio straordinario di bozzetti, figurini, locandine teatrali, libretti d’opera, lettere autografe e manoscritti musicali, fotografie e incisioni. Tutto consultabile su appuntamento. E custodisce un meraviglioso pianoforte appartenuto a Liszt, un ritratto giovanile di uno Schumann davvero ardente, il pianoforte su cui ha studiato Verdi, e un dipinto davvero espressivo di Mascagni, con sigaro! Ma oggi non siamo qui per loro.
Passiamo rapidamente nell’incantevole foyer, gettando un’occhiata al teatro vuoto, cosa davvero da non perdere e immancabilmente suggestiva, e corriamo diritto fino all’ultima sala dove un po’ nascosto, in fondo a sinistra, c’è il piccolo ritratto di Maria Teresa Agnesi, la grande compositrice milanese.
Vedete come tiene nella mano destra la penna, a simboleggiare l’autorevolezza della scrittura, mentre l’altra, adagiata sulla tastiera, racconta della sua abilità di esecutrice; le ricche maniche dicono dell’agiata condizione di vita e la luce soffusa intorno alla persona l’alata ispirazione.
La cornice recita: “Maestra compositrice e clavicembalista”. maestra, non maestro come capita molto sovente di leggere su programmi di sala e siti dei conservatori italiani, riferendosi anche alle donne.
“L’artista di canto” Maria Caterina Sgrassi, in posa piuttosto disinvolta… la vedete laggiù in fondo? Ma cos’ha nella mano? E chi era? Quale voce corrisponderebbe ai ricchi panneggi della sua veste?
Caterina Biancolelli ha uno spartito fra le mani e un’elegante copricapo rosso… meglio non farla arrabbiare, a giudicare dallo sguardo.
Anche un’altra celebre cantante, Giuditta Pasta, è ritratta con lo spartito nella graziosa mano mentre con l’altra sfiora il pianoforte. Gli occhi ardentemente rovesciati verso l’alto, come una Maddalena penitente o una Santa Cecilia. Il carattere iconografico dell’ispirazione musicale e della celebre penitente sono un tutt’uno nella storia dell’arte. Segno certo che chi canta, chi fa arte, ha certamente molto di cui farsi perdonare. Soprattutto la libertà.
Il busto della Malibran (1808 – 1836) è solo uno degli omaggi del museo a questa grande cantante, che dicono cantasse da contralto, da soprano e persino da tenore, al cui nome notissimo, sono stati dedicate musiche e film. Quando le intitoleremo una via anche qui a Milano?
Poi c’è Giulietta Grisi (1811 – 1869) nata a Milano da una famiglia di musiciste, Isabella Colbran che ha la lira e il peplo di quando cantò la Saffo di Mayr e Fanny Elßler, celebre ballerina, che fu alla Scala dal 1843 al 1848…
Naturalmente ci sono i ritratti di Callas e Tebaldi.
Acconciature, nastri, gioielli, colori scintillanti o elegantemente sobri, pose eloquenti; i veli sui capelli, il vitino di vespa, i guanti, i fiori. I ventagli. E gli occhi. Che occhi! Come ci guardano queste donne, incarnazioni del gusto e degli ideali di vita di un’epoca così importante per la nostra storia.
Il museo conserva anche un ritratto eseguito dalla mano della pittrice Elisabeth Vigée-le Brun (1755 – 1842). Mademoiselle, prego.
Artista, come lo furono queste donne ritratte così favolosamente. Non solo vecchie glorie di un’epoca lontana, ritratti di nonne in crinolina, ma rappresentanti di un’arte che commosse pubblici di tutto il mondo.
Voi non vorreste tornare a udire le loro voci? Non seguireste una visita guidata che vi racconti di loro?
Non vorreste frequentare un ciclo di conferenze dedicato anche a loro?
A Marietta Brambilla, Teresa Stolz, Virginia Ferni Germano…
Non comprereste un catalogo che racconti delle imprese, dei disagi e degli splendori delle loro vite? Dei percorsi della loro arte?
Credete ci sia un catalogo così al museo? Noi non lo abbiamo ancora trovato.