LIBANO. MOLTI DOGMI E NESSUN DIRITTO NELL’ITER DIVORZILE DELLE DONNE
La realtà multiconfessionale del Libano, proverbialmente incline al settarismo, non ha certo contribuito al livellamento delle procedure divorzili. Le 18 congregazioni religiose formalmente ammesse dallo stato godono infatti di ampia autonomia decisionale sul piano civile. Per dirimere controversie inerenti matrimoni, separazioni, custodia dei minori, versamento degli alimenti all’ex coniuge, ciascuna corte competente (sebbene vincolata agli organismi istituzionali per questioni esulanti la sfera familiare) è sostanzialmente libera di ricorrere alle norme giuridiche ispirate dai rispettivi testi sacri di riferimento.
L’effetto maggiormente evidente di tale complessa situazione è il diverso trattamento riservato in aula alle libanesi che intendono lasciare il marito: ai privilegi economici assicurati alle adepte dei culti teoricamente più evoluti, si contrappongono le indubbie penalizzazioni subite dalle altre, che persino a fronte di comprovata violenza domestica non riescono a ottenere giustizia.
“Dopo nove mesi di udienza i giudici islamici mi hanno concesso sia il divorzio che l’affidamento dei figli. Ma se dovessi risposarmi, la sentenza decadrebbe. Nessuno ha pensato al mio futuro“, si è lamentata Dina Semaan, cristiana maronita reduce da un fallito legame con un musulmano.
Ai cavilli burocratici e legali connessi alla coesistenza di molteplici (e spesso contraddittori) precetti religiosi va tuttavia aggiunta la tradizionale riluttanza governativa al debito riconoscimento dei diritti femminili. Emblematico, in tal senso, il caso della drusa Majida Faour: “Per evitare di essere stigmatizzata dalla società mi sono gettata a capofitto in una seconda avventura matrimoniale, commettendo un errore madornale. Credevo di poter frenare i pettegolezzi; non sopportavo più gli sguardi di commiserazione della gente. Invece non è stato così”.
Di diverso avviso Nadine Mchantaf, insegnante di professione e ottimista per natura: “La separazione non mi ha affatto precluso l’attivismo sociale: dopotutto l’esistenza continua. L’importante è che le donne siano sufficientemente addestrate alla sopravvivenza, a prescindere dal loro credo“. Resta il fatto che, purtroppo, poche lo sono davvero.
“Il vero problema di questa nazione esula dalla pluralità dei dogmi da cui è contraddistinta“, ha obiettato Sheik Hussein al-Qassas, magistrato sciita appartenente alla corrente giurisprudenziale Jafari. “La popolazione sta soffrendo a causa del contesto circostante, scandito da un fanatismo teologico, intellettuale e razziale completamente estraneo alle leggi universali“.
Per ovviare ai molteplici inconvenienti insiti nelle sentenze emesse dai tribunali clericali (fattore che non ha comunque impedito alla United Nations Economic and Social Commission for Western Asia di registrare, tra il 2000 e il 2013, un incremento dei divorzi pari al 55%) parrebbe d’altronde che sempre più coppie tendano a optare per le unioni laiche, il cui scioglimento è indubbiamente meno problematico, anche se spesso assai costoso.
“La moderna repubblica istituita dalle generazioni precedenti è uno dei pilastri della convivenza religiosa“, ha precisato il vescovo Hanna Alwan, vicario patriarcale maronita per questioni di carattere legale. “Se il matrimonio civile è osteggiato da alcune comunità, non può essere imposto dal governo“.
Uno dei più accesi fautori del libero arbitrio individuale è Imad Bazzi, popolare blogger locale: “Le divisioni settarie si verificano quando i cittadini vengono costretti dai vari leader spirituali ad accettare determinati schemi politici e ideologici. Se prevalesse il laicismo ciò non avverrebbe. Sono fermamente convinto che ognuno debba poter scegliere il rito nuziale che preferisce, senza costrizioni né condizionamenti esterni”.