La violenza sulle donne, in tutte le sue forme, accomuna tutto il mondo. E che tu abbia la pelle bianca, gialla, nera, arancione o fucsia, se stupri una donna sei lo stesso criminale, che tu sia di Algeri o Domodossola, non fa differenza.
Esistono luoghi al mondo dove degli uomini infilano il proprio pene in un buco nella parete al di là del quale c’è qualcuno che lo muove su e giù fino a che non ne esce lo sperma liberatorio. Lo descrive molto bene il film Irina Palm, storia di una pensionata che per sostenere economicamente il nipote ammalato si scopre masturbatrice talentuosa.
L’idea del buco in cui infilare il pene viene confermata dal detto “basta che respiri” e dal florido mercato delle bambole gonfiabili i cui modelli più costosi non solo respirano, appunto, ma si riscaldano per farti godere al caldo. Bambole che oggi si trovano anche nella versione bambine, perché si sa che il mondo è vario come vario è “l’ utilizzatore finale”.
Bambole che oggi si stanno trasformando in veri e propri robot di cui, se ti basta un pompino, con 10.000 dollari potrai comprare solo la testa.
Il mercato -perchè di corpo-merce si tratta anche quando non è in silicone- della prostituzione non conosce crisi, e l’idea di potersi comprare un corpo altrui rafforza quell’altro detto, “o sante o puttane” che distingue le donne tra quelle da sposare e far figliare e quelle da scopare quando hai bisogno di “sfogarti” e di sentirti potente in virtù delle banconote che hai in tasca.
Anche l’idea di riaprire i bordelli, apparentemente orientata a colmare carenze di igiene o equilibri fiscali, non fa altro che cercare di istituzionalizzare quella distinzione nonchè rafforzare quel potere di sfruttamento che coinvolge vittime sempre più giovani. Uso il termine vittime nel caso non sia chiaro che non occorre che le vittime gridino per definirla violenza. Le vittime della tratta ad esempio hanno gridato prima di finire in strada.
Sembrano saperlo meglio dei loro padri i ragazzi che incontro nelle scuole, come il 18enne che prese il microfono per dire ai suoi compagni che “Se vai con una prostituta sai che sta su quel marciapiede perché è stata stuprata prima di farla prostituire, e allora sei complice anche tu di quegli stupri”.
Tutti sanno e nessuno sa, e intanto la Spagna diventa il nuovo “paradiso sessuale” per gli europei (e lo chiamiamo anche noi paradiso, come quello che garantiscono sia popolato di 72 vergini) dove la mafia controlla un giro di prostituzione che coinvolge ragazze sudamericane, africane e dell’est europeo. Tutti sanno e nessuno sa ma molti clienti sono sposati in famiglie cosiddette “tradizionali” con cui a volte santificano le feste, compresi quelli che in Thailandia o Indocina vuoi per vacanza o per viaggio aziendale si ritrovano a girare nei “quartieri giusti” alla ricerca di ragazze minorenni o addirittura bambine.
Quando di fronte alle “spose bambine” ci indigniamo condannando giustamente le culture dei paesi che lo permettono, dimentichiamo che Europei e italiani in quegli stessi paesi pagano per avere a disposizione bambine -e bambini- anche di nove e dieci anni nei cui piccoli buchi -o meglio fessure- infilare il proprio pene, che a quelle bambine deve sembrare davvero gigantesco.
Nel luglio 2014 un rapporto dell’ Onu testimoniava violenze sessuali e abusi su bambini da parte dei soldati francesi in missione di pace nella Repubblica Centrafricana. In questi giorni il progetto Zero Impunity ha lanciato una petizione per chiedere a Hollande di intervenire contro l’impunità dei soldati francesi entro la fine del suo mandato.
Indro Montanelli, indubbiamente uomo di grande cultura, disse che “In Africa è un’altra cosa”, a proposito della sua “sposa bambina” 12enne in Abissinia (è possibile ascoltare Montanelli che racconta del suo “animalino docile”, “comprato regolarmente”, dal minuto 10.20 di questo video); sembrava non capire che a 12 anni sei una bambina in tutto il mondo.
E il mondo è pieno di bambine che non hanno scelta, perché quei pochi soldi da portare a casa significano sopravvivenza.
Gli uomini che partono dal lindo occidente si comprano le bambine come schiave per un’ora, per una mezza giornata, per il tempo di un viaggio di piacere, magari tra colleghi, magari pagato da una società per la quale hai raggiunto un fatturato e allora ti meriti un premio proprio come lo jhiadista che in battaglia si è comportato bene. E’ sempre uno stupro di guerra, è sempre un bottino da spartirsi, fatti di donne e bambine.
Oggi si parte -anche- armati di euro e dollari, con la camicia ben stirata e un ghigno di onnipotenza da dimostrare al mondo attraverso un corpo in pubertà che piange in silenzio e ti lascia finire.
Sia i dati del turismo sessuale – Italia ai primi posti delle classifiche con “viaggiatori” sempre più giovani, che non è più roba da vecchi sporcaccioni- sia quelli della pedofilia e degli abusi sessuali in famiglia ci dicono che forse certa indignazione per le “spose bambine” porta con sé una sorta di invidia per chi di fatto può stuprarsi una bambina tutte le sere senza tanti sotterfugi.
Non si può certo generalizzare ma le cifre sono esorbitanti e nessuno se le inventa e dovremmo leggerle nonostante il malessere e la nausea che provocano. Così, per ricordarci che tutto il mondo è paese quando si parla di sesso e sfruttamento e violenza e non sono soltanto i cattivi dell’ Isis a considerare le donne delle schiave a disposizione, ma anche tanti Signor Rossi, anonimi e insospettabili, che chiedono bambine vergini per una notte di sesso o per girare un filmino porno o anche per farle sparire, perché è solo questione di prezzo (se state pensando che stia esagerando guardate qui e qui).
Non me ne vogliano i signori Rossi sparsi in tutta Italia, ma sono nata negli anni sessanta e per me l’italiano qualunque si chiamerà sempre così.
Il Signor Rossi è quell’operatore dei servizi sociali, oggi in carcere, che si è portato nel letto per mesi la bambina di 11 anni che gli avevano affidato, e non viveva in Africa né in Turchia, ma a Catanzaro.
Il signor Rossi è il suo avvocato quando scrive che quella bambina era in relazione amorosa con il suo abusante, il signor Rossi sono i giudici quando trascrivono quelle parole in una sentenza di cui mi vergogno perché l’hanno scritta degli adulti in posizioni istituzionali in un paese che è il mio.
Il signor Rossi è il sacerdote coinvolto nel giro di prostituzione minorile alla stazione Termini di Roma, 11 anni le vittime più giovani.
Il signor Rossi sono tutti coloro che ai Parioli pagano delle 14enni per fare sesso perché il denaro glielo consente, al di là della legge, legge che gli permette comunque di non andare in galera versando semplicemente altro denaro.
Il signor Rossi sono tutti quegli uomini qualunque, delle nostre porte accanto, o nelle nostre case, che se avessero del denaro a disposizione farebbero altrettanto, e che di fronte al caso Ruby dicevano che chiunque, potendo, vorrebbe a disposizione corpi sempre più giovani, che chiamano “carne fresca”.
Come Marco, 35 anni, che ho intervistato in carcere e che mi disse “Vuoi mettere il corpo di una ragazzina?”. Lui ci ha messo 2 minuti ad avere un orgasmo costringendo una 15enne a masturbarlo. 2 minuti e poi di corsa in ufficio, non pensava nemmeno fosse violenza, sapeva di essere in torto solo perché lei era minorenne.
Il sesso per lui era tutto lì, possesso, dominio, potere.
E Marco era milanese, bianco e cattolico.
Di fronte agli stupri di Colonia un anno fa non sono mancate le speculazioni razziste sulla malvagità dei musulmani, ma la questione è molto più banalmente orribile: la violenza sulle donne, in tutte le sue forme, accomuna tutto il mondo. E che tu abbia la pelle bianca, gialla, nera, arancione o fucsia, se stupri una donna sei lo stesso criminale, che tu sia di Algeri o Domodossola, non fa differenza.
In una recente cena di Natale ho discusso con un’amica sulle ragazzine che indossando gli shorts comunicano -secondo lei- una propria “disponibilità” giustificando -sempre secondo lei- una certa disinvoltura dell’approccio maschile. “Non sto giustificando lo stupro” diceva, ma nella realtà lo stava facendo, senza rendersene conto, attribuendo all’oggetto del desiderio -oggetto, appunto- la colpa di rendersi desiderabile e quindi fornendo un’attenuante alla gravità di un eventuale crimine come se nell’uomo ci fosse qualcosa di irrefrenabile nel pene completamente scisso dal raziocinio.
Dimenticando inoltre che si stuprano le ragazze con gli shorts come quelle col burqa e avallando l’assunto del bisogno maschile di sfogarsi, che tu sia un ventenne in discoteca o un manager stressato o un mite impiegato solo e infelice.
Nessuna parità nella relazione sessuale, domanda, offerta, consumo, tutto finisce qui.
Un pensiero strisciante che incontro anche tra i banchi di scuola, anche per bocca delle stesse ragazze, perché la cultura in cui cresciamo è la stessa per tutti e tutte noi. Ed è proprio per questo che si incontrano tante donne anche nei gruppi Facebook che in questi giorni fanno scandalo come se “stuprare virtualmente” una donna fosse qualcosa di estraneo alla nostra condotta sociale.
Invece di chiederci perché una ragazza indossa gli shorts o di meravigliarci per tanta social-violenza, proviamo a chiederci perché lo stupro, lo stupro di gruppo, lo stupro di guerra, non sono MAI argomento per riempire i talk show. Eppure i casi nei telegiornali non sono mancati, non mancano mai. Perché la violenza sessuale è un tabù a reti unificate? Forse perché la sessualità è un tabù, in un paese che usa il sesso quotidianamente e morbosamente per richiamare attenzione e mercificare e vendere qualsiasi cosa e dove una barzelletta sul sesso fa ridere indistintamente dei dodicenni come dei settantenni.
Urge riflettere sulla fragilità degli uomini camuffata da forza attraverso potere e denaro che compromettte in primis proprio la loro sessualità mortificata da una perenne ansia da prestazione; quante volte l’identità maschile sembra affermarsi -Ancora?!- sfidandosi a chi ce l’ha più duro o grida più forte?
A chi si può permettere di comprarsi le donne più belle e più giovani?
L’unico programma che ha provato a raccontarci la prostituzione in Germania, dove è stata legalizzata, è stato Presa diretta di Riccardo Iacona, su Rai3. Un ottimo lavoro dall’unico giornalista che anche con i suoi libri si è posto delle domande sul maschile, ma a cui non sono seguiti simili approfondimenti, come se non fosse urgente capire che significa essere uomini, cosa si cerca per essere felici. La Rai ripropone invece ogni anno “amore criminale”, programma che racconta di femminicidio con modalità contraddittorie quanto il titolo.
Se nelle scuole si è cominciato -tiepidamente e con ridicola prudenza- a parlare di stereotipi e violenza, alla tivù tutto tace e quando qualcosa affiora lo sguardo non cambia, non è lo sguardo delle donne. E’ lo sguardo patriarcale (che non è un termine vintage come ci fanno credere) che detta ancora le regole in questa società apparentemente emancipata ma tutt’ora ancorata al delitto d’onore, alle sante e puttane, alla “regina” della casa a cui “concedere delle libertà” anzichè rispettarne i diritti.
La violenza contro le donne ha tanti volti, sono tanti pezzi di un puzzle che dobbiamo cercare di ricomporre.
Sono molti i ragazzi ma soprattutto gli uomini adulti impauriti anziché affascinati dalla forza delle donne, lo vediamo anche dalle piccole cose, come quando rifiutano di adeguare il linguaggio alla lingua italiana e chiamare sindaca una donna che ricopre il ruolo di prima cittadina o chirurga colei che opera in ospedale. Può sembrare una sciocchezza ma non lo è perché anche in questo rifiuto (“Oh, come suona male!” dicono) c’è il timore di perdere uno scettro tutto al maschile, che non si vuole mollare in modo più o meno patetico, più o meno subdolo, più o meno violento. Invece le cose possono cambiare e il fatto che la violenza -come lo sfruttamento delle donne- sia sempre esistita non significa che debba esistere per sempre.
Siamo una società di uomini e donne e gioverebbe a tutti riequilibrare la disparità di ruoli, in ogni ambito.
Il patriarcato è una gabbia anche per gli uomini. Nell’abc delle relazioni c’è il riconoscimento dell’altro, del suo valore in quanto essere umano, persona. Ma in questa cultura dove sta la persona, dove stanno i diritti umani? Chi ci insegna a prenderci cura gli uni degli altri?
La cultura si cambia in un solo modo, con l’educazione, a scuola come a casa.
La tivù è un mezzo potente, nelle case entra e parla alle persone, a milioni di persone; gioverebbe a tutti che ci parlasse di sesso e relazioni e violenza in termini non spettacolari o vojeristici ma approfonditi e costruttivi, e non soltanto quando gli autori della violenza sono musulmani, e non soltanto con interviste e interventi che anziché smantellare gli stereotipi li solidificano.
E’ notizia di questi giorni che la Rai ha chiuso il 2016 con un calo di ascolti.
Il “servizio pubblico” potrebbe rilanciare il proprio ruolo con proposte rivoluzionarie, nuovi programmi, un diverso modo di raccontare la vita e le persone. Nei talk show, ad esempio, potrebbe invitare in studio donne e uomini che non gridino ma siano capaci di confrontarsi e ascoltarsi. Nel nostro paese risorse ed esperienze non mancano.
Ci vuole coraggio, ma si può fare. Si deve fare. Perché con Irina Palm abbiamo anche riso, ma se così continua ad andare il mondo non c’è niente da ridere.
http://www.lettera43.it/it/articoli/societa/2017/01/24/quegli-uomini-che-odiano-lislam-ma-con-le-donne-sono-peggio-dellisis/208007/