Nesuna forma di violenza. Contrariamente ad alcuni gruppi di attivisti che per contrastare l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca non hanno esitato a rompere vetrine e incendiare veicoli (i danni cauati ammontano a circa 100mila dollari), le donne hanno saputo focalizzare l’attenzione generale senza dover ricorrere agli eccessi.
E’ bastata la loro presenza (nettamente superiore persino alle rosee aspettative delle organizzatrici) a scuotere la coscienza della collettività.
Al grido di “Abbiamo bisogno di un vero leader, non di un twitter raccapricciante“, “Quelli femminili sono diritti umani“, “I muri vanno abbattuti, non eretti“, “Più amore, meno paura” e “L’inferno non è paragonabile a una donna ‘cattiva’ e arrabbiata“, 500mila agguerrite cittadine – confluite a Washington dagli angoli più remoti degli Stati Uniti appositamente per partecipare alla Sister March – hanno letteralmente invaso le strade intorno a Capitol Hill.
“Si tratta di un’esperienza inedita per me“, ha ammesso la 69enne Linda Lasella, insegnante in pensione proveniente da Metuchen (New Jersey). “Mi sono sentita in dovere di sfilare perché troppe nazioni stanno adottando atteggiamenti odiosi ed è necessario imporre un ritorno ai livelli precedenti“.
Coese e finalmente solidali. Determinate a ostacolare l’operato del 45° presidente, proverbialmente misogino e assai poco sensibile allle molteplici rivendicazioni delle minoranze. “Ho il ritrovato il clima di lotta degli anni 60-70“, ha osservato Pam Foyster, residente a Ridgway (Colorado). “Io ho 58 anni e francamente non credevo di poter rivivere simili emozioni“.
A prescindere dal raduno indetto nel 1969 contro la guerra in Vietnam e dalla Million Men March del 1995 ( estesi rispettivamente a 600mila e 400mila partecipanti), un’adesione così massiccia a un’iniziativa di protesta non era mai stata attestata, soprattutto in concomitanza con l’Inauguration Day, che rispetto al corteo femminile svoltosi nella capitale ha registrato un’affluenza di pubblico decisamente inferiore.
Nemmeno gli oppositori di Richard Nixon (6omila) erano infatti riusciti, nel 1973, a destare tanto clamore. Tuttavia il palese malcontento che anima le numerose antagoniste del tycoon esula completamente dagli intenti meramente pacifisti dei contestatori di allora.
“Siamo qui per avversare l’odio e le divisioni settarie alimentate da una linea politica inaccettabile“, ha ricordato Sophie Walker, responsabile del Women’s Equality Party. “Stiamo marciando per scongiurare la diffusione della xenofobia, la normalizzazione di razzismo e sessismo“. E memori della tracotanza con cui il nuovo occupante dello Studio Ovale ha ripetutamente ammesso di aver molestato le donne (“Le afferravo subito in mezzo alle gambe anche se non volevano“) molte (alcune con relativi familiari al seguito) si sono presentate all’appuntamento indossando i cosiddetti pussy (espressione gergale sessualmente allusiva) hats, cappellini realizzati a maglia a guisa di orecchie di gatto.
“Non è escluso che adesso i fondi riservati al Violence Against Women Act (legge varata per sostenere le vittime di stupri, maltrattamenti domestici e soprusi psicologici, n.d.r.) possano essere tagliati“, ha azzardato Monica Moran, giunta dal Massachussetts insieme alla figlia adolescente. “Una donna su tre o quattro si ritrova quotidianamente a fronteggiare situazioni allarmanti e a quanto pare il progetto stava funzionando. Se non ci saranno più soldi, il numero dei femminicidi aumenterà vertiginosamente“.
Del resto è proprio l’incertezza legata al futuro ad assillare maggiormente l’altra metà del cielo: all’ascesa del controverso miliardario al vertice della maggior potenza globale parecchie hanno attribuito una valenza estremamente negativa. La svolta protezionistica e discriminatoria preannunciata dalla nuova amministrazione potrebbe infatti inficiare i risultati faticosamente ottenuti a livello sociale e politico, diritto di aborto incluso. Un timore (ampiamente condiviso ovunque) che trascende oceani e frontiere geografiche per spaziare in una dimensione quasi irreale, al limite dell’assurdo.
Non a caso l’ondata del dissenso ha simultaneamente investito le principali metropoli del paese (Los Angeles, San Francisco, Chicago, Dallas, Denver, Boston, St. Louis), con effetti evidenti anche in località di minor rilevanza quali Seattle, Portland, Oregon, Madison, Wisconsin e Bismark. A sostegno delle statunitensi sono inoltre scese in piazza europee (Parigi, Londra, Stoccolma, Vienna e Berlino le città maggiormente interessate), asiatiche (Tokyo), africane (Nairobi) e persino autraliane (Sydney e Melbourne).
Un esercito di paladine (complessivamente cinque milioni) che marciando all’unisono (670 le manifestazioni simultanee promosse internazionalmente) hanno inteso lanciare un preciso monito all’establishment. “Malgrado la tragicità del momento mi reputo ottimista, Credo fermamente nella potenzialità femminile “, ha puntualizzato la newyorjkese Madeline Schwartzman. “Il leader ci ha dichiarato guerra attentando alla nostra disgnità. Dal 20 gennaio scorso ci riteniamo sotto attacco. Ma gli Usa siamo noi, non lui. Quindi non ci muoveremo da qui“, ha tuonato l’attrice America Ferrera.
Casalinghe, lavoratrici, immigrate, disoccupate, intellettuali, professioniste: donne di qualsiai età e ceto sociale accomunate dalla medesima ostilità nei confronti di colui che è stato incautamente insignito della massima carica statale. Ad affiancarle, svariate personalità del mondo cinematografico e musicale: Charlize Theron, Helen Mirren, Cynthia Nixon, Whoopi Goldberg, in primis.
E se Alicia Keys si è limitata a intonare “Girl on Fire“, Madonna non ha lesinato ingiurie. Più pragmatica la pop star Cher: “L’elezione di Trump ci ha reso indubbiamente più vulnerabili rispetto al passato“. A fronte di una tale mobilitazione di massa, la stess senatrice democratica Hillary Clinton (vincitrice sul piano popolare ma penalizzata dai Grandi Elettori) non ha saputo esimersi dall’esprimere la propria gratitudine per coloro che “persistono nella difesa dei valori femminili“.
Resta il fatto che Trump non sembra affatto disposto ad assecondare le rivendicazioni delle donne. “Contrariamente ai membri del Congresso, lui non si è mai preoccupato dei nemici e probabilmente non lo farà neppure adesso. In tal modo però rischia davvero di ritrovarsi isolato“, ha laconicamente commentato Neil Levesque, direttore esecutivo dell’Institute for Policy presso il Saint Anselm College di Manchester (New Hampshire).
Hundreds of thousands march down Pennsylvania Avenue during the Women’s March. REUTERS/Bryan Woolston