La reazione della Casa Bianca alla Sister March, l’imponente corteo di protesta al quale – il 21 gennaio scorso – avevano aderito oltre cinque milioni di donne nel mondo, non ha tardato a manifestarsi
A sole 48 ore da quell’evento pressochè inedito nella storia locale, il presidente Donald Trump ha provveduto a ripristinare il controverso global gag rule (alias Mexico City policy), volto a vietare tassativamente qualsiasi discussione o iniziativa propagandistica in merito a questioni inerenti l’interruzione di gravidanza.
Un provvedimento particolarmente consono alle convinzioni conservatrici, che istituito nel 1984 da Ronald Regan appositamente per scongiurare la perorazione della causa femminista da parte delle organizzazioni non governative di valenza internazionale – è stato alternativamente revocato da Bill Clinton nel 1993, reintrodotto nel 2001 da George W. Bush e infine bandito nel 2009 da Barack Obama. Inevitabile che venisse riesumato anche dal tycoon, strenuo fautore del diritto all’esistenza e notoriamente determinato a ricusare l”intero operato dell’amministrazione precedente.
“La salute e i diritti femminili sono soltanto alcuni tra i più rilevanti obiettivi attualmente nel mirino del nuovo leader“: nessun dubbio, per Serra Sippel, alla guida dl Center for Health and Gender Euality di Washington. “La connessione tra il rapido incremento del ricorso a pratiche clandestine e l’obbligo di riservatezza appena tornato in vigore è stata ripetutamente attestata e adesso temiamo che la vita di molte possa essere in pericolo“.
Una sorta di recessione idelogica che rischia letteralmente di inficiare i risultati conseguiti dall’altra metà del cielo in tanti anni di lotte emancipatorie all’insegna della speranza. A essere maggiormente penalizzate dalla rivoluzionaria strategia trumpiana saranno i molteplici nuclei associativi finanziati direttamente dall’Agency for International Development, a prescindere dalle diverse finalità (mediche o legali) attribuite ai fondi stessi.
“E’ una decisione davvero allarmante, dal momento che ci impedirà di investire nella campagna informativa sulle problematiche legate alla fertilità“, ha osservato Nancy Northup, responsabile del Center for Reproductive Rights con sede a New York. “La linea politica del governo renderà insostenibile la tutela sanitaria della cittadinanza femminile“.
Per Brian Dixon, membro del Population Connection Action Fund, “gli attivisti dovranno quindi sceglire se accettare o meno le restrizioni imposte dai vertici oppure rivendicare piena autonomia d’azione, con il rischio di dover però rinunciare alle elargizioni ottenute finora. Comunque sia, le donne rimarranno deluse“.
Resta il fatto che l’adozione del gag rule non implica affatto una drastica riduzione del numero di aborti. “Lo stanziamento di somme destinate a progetti di importanza vitale non è un match istituzionale“, ha commentato Ann Starrs, rappresentante del Guttmacher Institute, organismo statunitense di ricerca sulla salute riproduttiva. “La carenza di denaro a disposizione renderebbe infatti impossibile l’attuazione dei progetti di pianificazione familiare su scala globale. Ne deriverebbe la difficoltà di prevenire gravidanze non desiderate. Ciò significa che le donne escluse dall’assistenza medica o sprovviste di copertura assicurativa si ritroverebbero costrette ad abortire in condizioni igieniche spesso riprovevoli e talvolta letali“.