Una scuola materna sui fa complice di uno spettacolo che incarna emblematicamente i due stereotipi in cui si racchiude la figura femminile: mamma o giovane pezzo di carne in mostra.
Vivo in un comune della Brianza, dove, ogni estate, la proloco organizza un concorso di bellezza, squallido come tutti i concorsi di bellezza. Nel tentativo di nascondere il becero maschilismo che contraddistingue questo tipo di spettacolo, gli organizzatori lo mascherano da “festa”, organizzando anche una bella sfilata mamma e figli, con relativa fascia “ironica” di Miss Mamma.
Insomma, l’apoteosi del paternalismo-finto-ironico-provinciale.
L’estate scorsa però hanno esagerato col cattivo gusto: al concorso è collegata una sottoscrizione a premi e gli organizzatori hanno deciso di devolvere il ricavato a una scuola materna del territorio.
In “cambio”, la scuola materna ha incentivato la partecipazione alla sfilata mamma/figli, facendosi parte attiva dello spettacolo.
Ho trovato tutto questo intollerabile. Una scuola materna non può assolutamente farsi complice di uno spettacolo simile, che incarna emblematicamente i due stereotipi in cui si racchiude la figura femminile: mamma o giovane pezzo di carne in mostra.
Così ho reagito. Inizialmente arrabbiandomi con la scuola materna e protestando anche sui media locali, ma poi riflettendo più in generale: se la Direttrice di questa scuola dell’infanzia, che conosco personalmente e stimo moltissimo, non è riuscita a capire immediatamente la negatività dell’iniziativa, c’è molto da lavorare.
E così ho pensato che il primissimo passo da fare sia introdurre l’educazione di genere nelle scuole. Perché investire in cultura, a livello singolo e locale, una cultura che cambi la visione globale delle persone anche già adulte, è troppo impegnativo e al di fuori della mia portata, come singola.
Ma chissà, la scuola…
MI sono messa dunque in rete e ho trovato il progetto ImPARI a Scuola (www.impariascuola.it) promosso dalle consigliere per le pari opportunità di Milano e Monza e Brianza in collaborazione con Afol.
Ho contattato la referente del progetto, apprendendo che è esattamente quello che andavo cercando. Un corso di formazione per insegnanti e genitori, con applicazioni poi pratiche in classe, ma con modalità lasciate all’esperienza e sensibilità degli insegnanti. Un perfetto modo di investire nel futuro, una formazione che rimane a chi ne usufruisce, consentendo un cambiamento della prospettiva.
Inizialmente avevo pensato di proporre il progetto solo a una scuola, quella frequentata da una delle mie figlie, pensando anche di finanziarlo di tasca mia, però non avrebbe risposto appieno alla mia urgenza educativa, così pressante dopo l’episodio del concorso di bellezza. La soluzione migliore sarebbe stata un finanziamento del Comune, all’interno del Piano per il Diritto allo Studio, in modo da portare il progetto in tutte le scuole del territorio.
Sono stata fortunata, perché l’Assessora alla Pubblica Istruzione, Avv. Elisa Grosso, è una persona intelligente e sensibile alle tematiche e ha subito accolto la mia richiesta. Il progetto ImPARI a Scuola, tra scandalose difficoltà dovute allo spettro “Gender”, è stato inserito nel piano comunale per il diritto allo studio.
Peccato che l’istituto comprensivo della scuola frequentata da mia figlia non abbia aderito, a causa di una colpevole miopia del Consiglio di Istituto. Per fortuna, grazie all’intelligenza del Dirigente Scolastico e di alcune insegnanti, è stato possibile ugualmente partecipare, pur se in maniera minore e non sistematica.