Appassionata amante del territorio toscano, Paola vive a Livorno ma svolge il suo lavoro coniugando gli studi ed i progetti sul paesaggio e sui giardini storici con l’attività progettuale più squisitamente dedicata ai progetti edilizi. La sua progettazione architettonica non è mai disgiunta dallo sguardo attento all’ecosistema e agli aspetti microclimatici del territorio.
Giugno 2015: inaugurazione della mostra dedicata ai miei collages nella cornice della affascinante Villa Cassuto a Livorno; tra le ospiti di Ariela, la padrona di casa, incontro Paola, architetto e paesaggista.
Appassionata amante del territorio toscano, Paola vive a Livorno ma svolge la sua attività sguinzagliandosi su e giù per il nostro Bel Paese, coniugando gli studi ed i progetti sul paesaggio e sui giardini storici con l’attività progettuale più squisitamente dedicata ai progetti edilizi.
Mi interessa il punto di vista di Paola perché la sua progettazione architettonica non è mai disgiunta dallo sguardo attento all’ecosistema e agli aspetti microclimatici del territorio.
Sei stata incoraggiata dalla tua famiglia nella scelta di studiare architettura?
Beh, anche se il cammino prima di giungere alla convinzione di cosa vogliamo fare da grandi è lungo, devo dire che la mia famiglia mi ha incoraggiata. Anzi è proprio crescere nella mia famiglia che mi ha incoraggiata a diventare architetto e paesaggista… perché non solo i miei hanno sempre pensato che mi sarei realizzata a fare l’architetto (anche se ad un certo punto mio padre quasi quasi sperava che seguissi le sue orme di farmacista), ma perché mi hanno fatto amare le cose belle, la natura, l’arte e l’estetica dell’architettura, facendomi sempre viaggiare con loro, soprattutto lungo tutta l’Italia….E poi mia madre ha sempre voluto costruire, cambiare e portare avanti le trasformazioni delle nostre case a Livorno e in Salento coinvolgendomi direttamente fin da piccola. Il ricordo di cartoncini tagliati delle dimensioni di un tavolo, un divano, un letto che mi veniva chiesto di disporre a mio piacimento nel perimetro della casa disegnata su un foglio rosa di carta millimetrata mi fa sorridere… ma è cominciato tutto da li!
Aprire il cassetto dove erano conservati svariati numeri di ‘Art & Decoration’ e di ‘Il rustico’ era per me ragazzina alla fine degli anni Settanta un vero divertimento e passatempo.
Mi hanno sempre dato tantissima fiducia e tenuto in considerazione ogni volta che si parlava di case a prescindere dalla mia età…. più incoraggiata di così!
Architetto o architetta?
Ma diciamo pure architetto; suona meglio, non ammicca….La professionalità, l’architettura e persino l’arte non sono una questione di genere: di questo ne sono convinta, e poi casomai architettora come la celebre figura barocca di Plautilla Bricci.
Cosa significa per te “fare architettura” oggi?
La mia esperienza non mi fa rispondere con certezza a questa domanda; posso azzardare a dire che è una ricerca continua di complessità ed insieme essenzialità, è divertimento ed estrema serietà, è l’impegno a contestualizzare, a rendere unica e specifica l’identità di un luogo o di un contesto: ogni costruzione, sia che si tratti di una casa, un giardino o uno spazio pubblico.
A chi ti ispiri?
Mi ispiro molto spesso alla tradizione e ai maestri dell’architettura e della paesaggistica del Novecento, ma cerco di trarre fonte di ispirazione per i miei progetti da quante più cose possibili. Tutto può aiutarmi a rispondere alle specifiche esigenze progettuali del caso: a volte anche un film, una foto, un’opera d’arte, ma anche un racconto o un fatto reale. Non esiste un codice o un modello a cui ti riferisci sempre perchè, in effetti, ogni nuova situazione è inedita e merita un approccio completamente dedicato… sì, quando comincio un progetto perdo sempre un bel po’ di tempo ad inquadrarlo.
E cos’è per te la Bellezza?
La mia idea di bellezza è insieme concettuale ed emotiva; in architettura e nei giardini la bellezza è la consapevolezza di una sensazione decisamente gioiosa, quella gioia che si prova nel riconoscere bella una cosa, grazie o malgrado agli esiti di un progetto oppure spontaneamente così.
Come contestualizzi la sensibilità femminile in architettura?
Credo che la sensibilità femminile in architettura si possa esprimere nell’attitudine all’ascolto e di conseguenza nell’impegno a dar conto a questioni anche apparentemente secondarie, che spesso peraltro non lo sono affatto.
Affermarsi professionalmente è più difficile per le donne architetto?
Purtroppo sì, è più difficile e questo un po’ per questioni culturali e un po’ per difficoltà oggettive. Per esempio basti pensare alla complessità della gestione della propria presenza in famiglia a meno di non fare la scelta di essere completamente libera da legami (rinunciando ad avere figli o ad assistere i propri genitori anziani, o ad avere un marito con una personalità almeno forte quanto la nostra e così via….in sostanza rischiando la totale solitudine). Così non volendo rinunciare a tutto questo vivo la mia condizione di donna architetto in maniera incontentabile, tuttavia gratificante, sicuramente molto faticosa, una sorta di alpinismo esistenziale.
Sei mai stata discriminata durante la tua carriera?
Non ricordo in particolare di essere stata discriminata durante la mia carriera. Se è successo l’ho dimenticato!
Qual è stato il progetto architettonico che ti è rimasto nel cuore?
Una villa nella pineta di Roccamare sulla costa Maremmana. Ne ho curato il restyling nei minimi dettagli trasformando i ruderi di una architettura degli anni Settanta ormai distrutta in un ambiente in cui gli spazi domestici si confondono letteralmente con la natura della pineta. La struttura in acciaio e l’involucro completamente in cristallo, il gusto e le intenzioni del nuovo proprietario, il bellissimo paesaggio circostante hanno reso questo lavoro una sfida tecnicamente impegnativa ma altrettanto affascinante.
Cosa pensi dell’attuale situazione professionale delle donne architetto?
Credo che nel nostro paese ci sia ormai da troppo tempo una diffusa crisi dell’architettura e delle scuole di architettura. Il fatto che invece le donne architetto siano sempre più prese in considerazione è un’occasione per esprimerci con successo a tutti i livelli, perché la professione di architetto è prima di tutto poliedrica: direi che è il nostro momento!
Che rapporto hai, nel tuo lavoro di architetto e nel quotidiano, con la tecnologia?
La tecnologia è uno strumento straordinario, azzera le distanza. Ne faccio ampio uso, anche se anagraficamente faccio parte di quegli architetti che si sono formati con la penna a china e la carta da spolvero.
Come è organizzato il tuo lavoro, cosa riesci a delegare e cosa segui personalmente?
Seguo tutto personalmente anche se ritengo indispensabili e utilissime le collaborazioni che nascono nei gruppi di lavoro che quotidianamente organizzo a seconda delle esigenze. Nel dialogo e nel confronto con i colleghi si fondono e si amplificano le sensibilità e le conoscenze.
Quale è stato il tuo approccio nella guida del tuo studio?
Ho cominciato a lavorare in autonomia fino dai primi anni di attività, già appena laureata nel 1995. L’approccio che ho sempre avuto e che continuo ad avere contempla non smettere mai di studiare, documentarsi, approfondire, imparare da ogni esperienza ed incontro.
Che suggerimento daresti alle giovani colleghe? Consiglieresti a una ragazza di iscriversi ad architettura?
Che domanda! Certo! Se è la strada che le piace in qualche maniera se la caverà. Uno deve sempre seguire il proprio istinto e il desiderio di realizzarsi in una cosa che gli piace. Fare l’architetto è il mestiere più bello del mondo. Ti formi con le cose belle. Quale stimolo maggiore che l’affezione ad occuparsi di una cosa che ci piace, per affrontare cammini lunghi e difficili?
Un oggetto di design e un’architettura a cui sei particolarmente affezionata
L’oggetto di design a cui sono più affezionata è la famosa poltrona Barcellona di Mies van der Rohe e l’architettura è proprio quella del Padiglione stesso di Barcellona per l’esposizione del 1929. È un luogo di tranquillità, di una semplicità essenziale, c’è tutto: l’acqua, la luce, la misura dello spazio, le tessiture della pietra, il concetto di un’architettura che si percepisce come nei percorsi di un giardino.
Sul tuo tavolo da lavoro non manca mai….
Telefono, notebook, taccuino Moleskine, matite e mandorle.
Una buona regola che ti sei data?
Quella che devo ancora cominciare a rispettare. Vorrei più ordine intorno a me. Ma l’attività è spesso frenetica fin dalle prime ore del mattino, specialmente quando ci sono più cantieri aperti… quindi l’unica regola che riesco a rispettare è di chiudere la mia sessione di lavoro, qualsiasi ora sia, riordinando le cose su cui ho lavorato tutto il giorno.
Il tuo working dress?
Comodo. Ampissima borsa, stivali (i miei preferiti sono fatti a mano, inglesi, resistentissimi, ne ho una collezione, non dico la marca…) jeans o comunque pantaloni e poi all’occorrenza il resto, sempre tessuti naturali in estate e inverno.
Città o campagna?
Un grande giardino in città sarebbe l’ideale. Non vorrei dire una cosa scontata, comunque una città sul mare.
Qual è il tuo rifugio?
Il mare è anche il mio rifugio. La sua energia è unica. Sul mare ci sono nata e cresciuta, farei molta fatica a starne lontana troppo a lungo.
Ultimo viaggio fatto?
Mi muovo spesso per lavoro e negli ultimi anni non sono riuscita a ritagliarmi periodi di vacanza se non brevissimi, ma nei momenti liberi vado spesso in Salento e l’ultimo viaggio è stato in Irlanda la scorsa estate, una natura e paesaggi bellissimi; Dublino una città accogliente e vivace, aperta a trasformazioni ardite ma legata alla tradizione dell’architettura. Interessante.
Il tuo difetto maggiore?
Sono ritardataria. Vorrei essere sempre in anticipo di giorni sulla tabella di marcia e così volendo fare troppe cose arrivo agli appuntamenti sempre con diversi minuti di ritardo.
E la cosa che apprezzi di più del tuo carattere?
A parte essere una ritardataria cronica, ho anche moltissimi altri difetti; ciò che alle persone che mi stanno vicine può sembrare uno di questi difetti è anche ciò che apprezzo di più del mio carattere, cioè la mia determinazione: so quello che voglio e lavoro sodo per realizzarlo.
Un tuo rimpianto?
Un rimpianto ce l’ho e risale agli anni della mia formazione universitaria e postuniversitaria, e cioè di non aver vissuto per un periodo all’estero. Temevo che avrebbe rallentato il ritmo dei miei studi che procedevano benissimo e non sono partita per l’Erasmus e dopo la laurea in Architettura lavoravo già e anziché continuare a studiare architettura del paesaggio in Inghilterra o negli Stati Uniti, ho frequentato la Scuola di Specializzazione di Genova. Non mi sono pentita di nessuna scelta fatta, ma un pizzico di rimpianto, quello sì…
Work in progress
Lavoro sempre coniugando l’architettura vera e propria al verde e al concetto di giardino. Il paesaggio è d’altra parte l’aspetto sensibile delle continue trasformazioni a tutte le scale di un territorio, di una città, di un terreno. Nostro malgrado noi progettisti creiamo sempre paesaggi ma non sempre ci curiamo di agire per migliorare la qualità degli aspetti microclimatici ed ecosistemici su cui andiamo ad interagire. Il progetto di cui mi sto occupando adesso è la costruzione di un nuovo edificio nel quartiere Parioli a Roma che sarà proprio un edificio residenziale con balconi giardino e una presenza del verde integrata nella struttura architettonica stessa, dal livello terreno alla copertura, dagli spazi esterni agli ambienti interni.