Possiamo superare il secolare antagonismo tra maschile e femminile?
Siamo nati in un mondo dotato di senso nel quale ci specchiamo ogni giorno. Ancora prima di poter decidere chi volevamo essere, abbiamo ricevuto infinite immagini di noi stessi riflesse dagli altri. Lo sappiamo bene quanto sia difficile scollarsi di dosso un’etichetta, un solo tratto della personalità, il giudizio di un attimo. L’etichetta resta lì, ben attaccata e quasi quasi ci convinciamo che sia vera, naturale, ormai ci appartiene, che ci piaccia oppure no.
In realtà, come possiamo scegliere cosa indossare al mattino quando ci svegliamo, abbiamo anche il potere di mettere in discussione quei modelli di comportamento che ci siamo sempre sentiti in dovere di rispettare, ma che in fondo non ci rappresentano perfettamente.
I modelli sono forme di riferimento, ci sono in ogni società e hanno la pretesa di ordinare ciò che sarebbe nel caos: i maschi e le femmine. Un modello è un atteggiamento, un concetto, un’immagine. E acquista una particolare forza quando si riferisce all’ identità di genere. Donne e uomini sono modelli viventi che mettono in scena quotidianamente una trama complicata di relazioni. Comunicano con le parole e con il corpo comportamenti che vengono assimilati dalla collettività e diventano memoria sociale, diventano abitudini.
Per quanto la memoria abituale di genere sia persistente e tenda a rafforzarsi con il tempo, questo non significa che non si possano provocare dei cambiamenti nel suo funzionamento. Possiamo iniziare a scegliere i modelli di riferimento che preferiamo, con un semplice atto di libertà e scartare quelli che sentiamo meno nostri, a prescindere che si tratti di modelli considerati tipicamente femminili o maschili.
Le identità di genere sono sempre servite a ordinare le differenze in ruoli sociali e attitudinali, secondo criteri convenzionali che si sono tramandati di generazione in generazione. Sono entità rigide, contrapposte, con la presunzione di essere secondo natura.
Perché il tentativo di porre su un piano di parità i due generi rispetto ai ruoli famigliari e professionali ha sempre sollevato resistenze?
L’antropologa Mary Douglas ci direbbe che l’istituzione sessuale ha un ruolo fondamentale nella costruzione e nella organizzazione della vita sociale e delle sue norme, ma può esprimere in alcuni casi “una rigida separazione e un violento antagonismo”: la netta suddivisione delle mansioni tra uomini e donne basata sulle diversità biologiche ha dato vita agli stereotipi di genere ed è diventata la più efficace arma di difesa del patriarcato, costringendo uomini e donne nei ruoli assegnati.
Proprio sul terreno del pregiudizio si è giocata la lotta per il potere: le creature con meno forza fisica, ma in realtà non fisicamente più deboli, vengono etichettate come intellettualmente inferiori, fisiologicamente incapaci di pensiero logico e astratto. Con una scelta molto discutibile è stato stabilito che per svolgere compiti professionali che richiedono astrazione e progettazione serve una mente maschile, poco emozionale, dentro un cervello più pesante e voluminoso, mentre la “naturale” predisposizione femminile al lavoro di cura ha perfettamente collocato le donne dentro casa per secoli.
Così gli stereotipi di genere si sono cristallizzati.
L’atto illegittimo non sta nel riconoscere tratti distintivi di un genere piuttosto che dell’altro, ma nel fare di queste caratteristiche delle vere e proprie gabbie culturali e sociali nelle mani di un potere costituito forte. Da qui la convinzione che esistano mestieri adatti alle donne e mestieri adatti agli uomini.
Ma esistono davvero “compiti da maschio” e “compiti da femmina”?
La Neurologia di genere risponde che in effetti esiste un cervello femminile e uno maschile. L’uomo utilizza soprattutto l’emisfero sinistro, razionale, logico e rigidamente lineare, al contrario la donna utilizza in misura maggiore l’emisfero destro, che permette di compiere operazioni mentali in parallelo. Il celebre “intuito” femminile, spiega il prof. Antonio Federico dell’Università di Siena, si basa quindi proprio sulla possibilità del cervello di elaborare la realtà in modi diversi e paralleli. Il cervello femminile è più dinamico dal punto di vista metabolico ed abituato a situazioni legate a variazioni ormonali, è caratterizzato da una maggiore elasticità. In situazioni complesse è dunque avvantaggiata la donna, perché il cervello femminile è meno “rigido” e portato, quindi, ad analizzare uno spettro più ampio di dati e possibilità; al contrario, il cervello maschile è favorito in situazioni semplici e collaudate.
In realtà la questione è più complicata di così, perché un cervello non è mai tutto maschile o tutto femminile, ma è sempre un mosaico unico di caratteristiche, alcune più comuni nei maschi che nelle femmine, altre più comuni nelle femmine che nei maschi, altre ancora ugualmente comuni in maschi e femmine.
L’Università di Tel Aviv studiando le risonanze magnetiche di 1400 cervelli ha proprio rilevato che ci sono solo alcune piccole differenze legate al sesso e non esistono differenze intellettive tra i generi. Nella mente degli uomini e delle donne ci sono tratti tipici del sesso opposto che si possono manifestare in seguito a stimoli diversi. Questo significa che nel cervello di un uomo è altamente probabile che ci siano anche tante regioni neurali di tipo femminile (la cui forma è statisticamente più diffusa nel cervello di donne), oltre che regioni neurali di tipo maschile (la cui forma è invece statisticamente più diffusa nel cervello di maschi).
Ciò che siamo dipende dal nostro bagaglio genetico, da fattori ormonali e fisiologici, dalle nostre esperienze, dai modelli che fin da piccoli ci hanno somministrato, ma cosa importante, anche dalla nostra volontà di scegliere tra un ventaglio di possibilità.
Le donne e gli uomini hanno un sesso, mentre le qualità, le attitudini, le capacità relazionali, le competenze non hanno sesso. Tante volte ci atteniamo al copione a causa dei condizionamenti sociali, per insicurezza e perché ci hanno insegnato così fin da piccoli. Bambine e bambini vengono educati a usare il corpo in modi differenti, nel gioco, nello sport, nei comportamenti. Tutto è culturalmente sessualizzato, ma la differenza di sesso non influenza le capacità! Dall’adolescenza in poi, anche nei rapporti amorosi le aspettative di ruolo rispetto all’espressione dei sentimenti, alla gestione dell’emotività, alla soddisfazione affettiva e sessuale sono fortemente stereotipate.
Possiamo superare il secolare antagonismo tra maschile e femminile?
Si. Sostituendo la dualità come modello statico che contrappone i generi con la polarità (polèo significa “mi muovo”), una visione dinamica, in cui poli di pari valore funzionano insieme, come le due estremità dell’asse di una sfera, intorno a cui essa gira.
Sfatiamo il mito della complementarietà: no non ci completiamo a vicenda, ma possiamo scegliere di fare un percorso insieme, ognuno con la propria unicità e le proprie differenze, negoziando di volta in volta idee e punti di vista. Parità non è uno stato, ma un dare e avere nella reciprocità.
Smettiamo di credere che per avere successo nel lavoro ci si debba comportare “come un uomo” e usare modelli di comportamento maschili, o di pensare che determinati atteggiamenti siano esclusivamente “da donna”. Iniziamo a togliere le etichette e a desessualizzare difetti e qualità.
Le differenze non sono differenze rigide legate al genere, ma differenze tra le persone.
Iniziamo a leggere in modo critico i modelli di riferimento. Non lasciamo che siano gli altri a scegliere le etichette per definire ciò che siamo e come agiamo. Lo stereotipo è un modello convenzionale che rispecchia l’immaginario comune, ma c’entra anche con l’autostima, il senso felice di sé. L’ atteggiamento di chi vive accanto a noi può avere un peso decisivo nel farci sentire nel posto giusto al momento giusto oppure inadeguati.
Il benessere personale dipende in larga parte dal livello della nostra autostima: “sono come voglio essere” è una cosa diversa da “sono come gli altri mi vogliono”.
Come vogliamo essere veramente? Quante volte in una relazione avremmo voluto comportarci in un certo modo e abbiamo poi finito col riprodurre esattamente un determinato atteggiamento come fosse un copione già scritto?
Abbiamo a disposizione un ventaglio di caratteristiche maschili e femminili che ci appartengono e che possiamo sviluppare nei diversi contesti della nostra vita, forse è necessario osare per metterle in campo, ma non è un’impresa impossibile.
2 commenti
noi siamo maschi e femmine, questa cosa non cambierà. Le differenze sono nei nostri corpi e sono sacrosante. Ci sono atteggiamenti considerati maschili e atteggiamenti considerati femminili, ma forza e fragilità possono appartenere a uomini come a donne, una donna forte e volitiva, aggressiva non sta imitando un uomo è se stessa quanto una donna più mite. Stesso discorso per gli uomini
Condivido in pieno, il problema è quando rimaniamo intrappolati nelle etichette, giudichiamo secondo stereotipi o non permettiamo alle bambine e ai bambini di esprimere sé stessi, per esempio lasciando passare il massaggio che piangere è “da femmina” o che un determinato sport è “da maschio”…