La figura di Maria Salviati risulta, nella divulgazione storica, sempre un po’ oscurata dalla fama degli uomini che hanno fatto parte della sua vita.
di Alessandra Rossi
La figura di Maria Salviati risulta, nella divulgazione storica, sempre un po’ oscurata dalla fama degli uomini che hanno fatto parte della sua vita, a partire dal marito, il famigerato e intraprendente Giovanni de’ Medici (conosciuto come Giovanni dalle Bande Nere), fino ad arrivare al figlio, il primo Granduca di Toscana Cosimo I. Traspare dalle opere letterarie e dalle rappresentazioni pittoriche l’immagine di una Maria devota a un marito sempre lontano, costantemente immerso nelle numerose imprese di guerra e, in seguito alla morte di quest’ultimo, di una vedova rassegnata e spogliata di qualsiasi “gingillo” e frivolezza; emerge soprattutto l’immagine di una madre, consapevole del ruolo fondamentale che il figlio ricoprirà nella storia della famiglia Medici.
In realtà, però, approfondendo un po’ di più la conoscenza di questa donna, si comprende quanto le sue azioni e la sua tempra abbiano influito sulla fama successiva di Giovanni, di Cosimo e, in generale, della stirpe medicea.
Maria nasce a Firenze il 17 luglio del 1499 da Jacopo Salviati e Lucrezia de’ Medici (primogenita di Lorenzo il Magnifico) e, quindi, appartiene al ramo principale della casata Medici: quello di Cafaggiolo.
È un momento critico per la famiglia Medici, cacciata dalla città di Firenze tra il 1494e il 1512, anno in cui vi rientra sotto la guida del cardinale Giovanni de’ Medici. Seguono anni difficilissimi che vedono il papato, alla cui guida c’è un altro Medici, Clemente VII, pesantemente insidiato dall’imperatore Carlo V e dal suo devastante esercito di Lanzichenecchi; dopo le terribili vicende del Sacco di Roma, è il riavvicinamento tra il papa e lo stesso Carlo V a permettere a Clemente VII di riconquistare il potere a Firenze attraverso la controversa figura di Alessandro de’ Medici, suo nipote ma più probabilmente suo figlio. La vicenda individuale di Maria Salviati si inserisce e condiziona irreversibilmente il repentino susseguirsi degli eventi in questo particolare momento storico.
Maria entra molto presto in contatto con quello che sarà il suo futuro sposo: nel 1509, infatti, il piccolo Giovanni de’ Medici è affidato a Jacopo Salviati quando sua madre, Caterina Sforza, è prigioniera di Cesare Borgia a Roma. Giovanni appartiene al ramo mediceo dei popolani e un futuro matrimonio tra i due giovani sancirebbe il ricongiungimento dei due rami della casata: Maria e Giovanni effettivamente si sposano nel 1516.
Il cospicuo epistolario di Giovanni dalle Bande Nere ci restituisce l’immagine di un uomo audace ma anche piuttosto intemperante, tanto presente e indubbiamente fondamentale per il mantenimento dello spirito di corpo sui campi di battaglia, quanto assente nella gestione dei delicati rapporti diplomatici e nelle questioni finanziarie che coinvolgono la famiglia.
Maria scrive al marito e lo informa, ma raramente riceve risposta: “io non havevo a chi commettere una faccenda et qui non capita più persona: et dalla V.S. non ho mai hauto risposta alcuna […]”, gli scrive in una lettera datata al 10 gennaio del 1521. Fin da giovane Giovanni si distingue per il suo carattere impulsivo e focoso: una delle sue tante amanti, una tale Donna Paola evidentemente da lui abbandonata, gli scrive in una lettera dell’agosto del 1526, “Hor si conoscerà quanto V.S. duri in un’affittione!”.
Maria ha in mano la situazione della sua famiglia e ci appare una donna ferma, capace di assumere ruoli decisivi in più di una occasione. Probabilmente è grazie anche a una sua minuta di supplica, del 5 dicembre 1523, se l’anno successivo il nuovo papa Clemente VII estingue i debiti di Giovanni a patto che egli, momentaneamente ingaggiato dagli imperiali, passi con i Francesi.
Maria gestisce tutto e nel frattempo impiega ogni sua energia in quello che comprende essere il compito fondamentale: l’educazione del figlio Cosimo. Non si tratta solo di istinto materno ma, più probabilmente, Maria coglie l’importanza storica del ruolo che dovrà ricoprire suo figlio.
Uno degli esempi più eclatanti della sua consapevolezza politica e della sua lungimiranza si trova nelle lettere che scambia con Pietro l’Aretino dopo la morte del marito Giovanni avvenuta nel 1526 combattendo contro i Lanzichenecchi. In una di queste missive Maria, infatti, afferma: “Sono certa che la morte sua, sì immatura ed inopinata vi duole; et se la duole a voi, che a me ella passa l’anima et il core; et fammi tanto male, che io non credo vi sia al mondo bene che lo pareggi. […] Non vi sia dunque grave per amor mio entrare in questa impresa […] et a me basta che descriviate solo ciò che havete tocco con mano de sua invitta eccellentia. Però, se mai pensate farmi cosa grata, descrivete in qualunque modo vi pare li quattordici anni che Sua Signoria ha sì francamente combattuto et li altri quattordici farò notare io, cominciando dalle fasce, da chi lo ha allevato, et visto segni in lui che pronosticavano lo invitto et magno animo suo.” Maria è consapevole di quanto sia importate tramandare le gesta e le imprese perché queste siano conosciute e ne sia riconosciuto il valore.
Ora è una vedova e le uniche immagini che ci rimangono di lei, in due quadri di Pontormo, ci trasmettono la dimensione di austerità in cui si chiude dopo la morte del marito. Mai come ora tutti i suoi sforzi sono proiettati verso la legittimazione del ruolo che il figlio Cosimo deve ricoprire: quello di vero erede della stirpe medicea. Cosimo riceve un’educazione non solo militare ma anche letteraria; la madre provvede a farlo viaggiare (lo invia, per esempio all’incoronazione di Carlo V a Bologna nel 1530) e lascia che soggiorni presso le corti straniere, anche per sottolineare agli occhi dei Signori e dei Principi come nel figlio sia racchiusa la risoluzione dei problemi dinastici della famiglia Medici.
Effettivamente nel 1537, quando il duca di Firenze Alessandro de’ Medici, la cui carica è piuttosto controversa anche per la sua ambigua condizione di erede legittimo della famiglia, viene assassinato, è il diciassettenne Cosimo a essere nominato ufficialmente secondo Duca di Firenze e, in seguito, primo Granduca di Toscana. È lui a dare vita a un dominio che si estinguerà solo con l’estinguersi della dinastia.
Maria vede così compiersi il suo destino e il destino della sua famiglia, per le cui sorti ha tanto lottato. Ora può allontanarsi dalla vita pubblica di Firenze, nella villa di Castello dove era cresciuto suo marito Giovanni, e, nonostante le cattive condizioni di salute, dedicarsi alla cura e all’educazione delle/dei nipoti: Bia, che definisce “il sollazzo della corte”, la figlia naturale di Cosimo, poi Maria, la prima nata dal matrimonio di Cosimo con Eleonora di Toledo, Francesco, l’erede del potere mediceo, Isabella, la figlia prediletta del Duca, infine Giovanni, nato poco tempo prima della morte della nonna.
Maria si spegne il 29 dicembre 1543 annientata dalla sifilide, la malattia che le era stata trasmessa dal marito e che l’aveva accompagnata per molto tempo della vita fino a intensificarsi terribilmente negli ultimi tre anni della sua esistenza. Il figlio Cosimo, avvertito all’ultimo momento dell’aggravarsi della madre, non fa in tempo a recarsi al suo capezzale per l’ultimo saluto. La salma viene trasportata a Firenze e sepolta nella tomba di famiglia nella chiesa di San Lorenzo a Firenze.
Il testo è tratto dalla ricostruzione storica pubblicata su “Memorie” nel sito www.toponomasticafemminile.com
Alessandra Rossi, nata a Roma nel 1995, è da sempre amante del passato e dei viaggi mentali e fisici che compie accompagnata dall’amore per la scrittura e per la storia di genere. Dopo il diploma al liceo classico Tito Lucrezio Caro della capitale, decide di studiare storia ma di studiarla altrove. Frequenta ora la facoltà di Storia presso l’Alma Mater di Bologna e cerca, così, di soddisfare la sua sete di nostalgia.
Ha collaborato con Toponomastica femminile per il progetto “Le donne del Novecento sulle strade di Roma. Le vie della parità”.