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    Home»Costume e società»Ira funesta e dintorni. Si può gestire la rabbia?
    Costume e società

    Ira funesta e dintorni. Si può gestire la rabbia?

    Simona MerianoBy Simona Meriano06/03/2017Updated:07/03/2017Nessun commento7 Mins Read
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    rabbia
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    Abbiamo tutti una parte distruttiva, una zona d’ombra, che talvolta prende il sopravvento causandoci disagio e sofferenza. Gestire gli umori interni è la più grande sfida dell’essere umano, ma non è un’impresa impossibile, come non è impossibile imparare a gestire i conflitti in modo sano e costruttivo.

    L’aggressività serve, ma bisogna conoscerla. Per renderla positiva va trasformata in potenza creativa, nel lavoro, nelle relazioni affettive, nel sesso, e per fare questo bisogna allenarsi.

    Partiamo dall’origine delle parole che definiscono le emozioni.

    La rabbia deriva dal latino e si riferiva alla malattia che si trasmette tra mammiferi con il morso, provocando sintomi di nervosismo e aggressività.
    Il legame con l’animalità evoca la figura mitica del centauro, essere affascinante in cui uomo e animale si mescolano senza trovare pace e che rappresenta l’aggressività incontrollata, dove prevale il lato oscuro delle due nature: l’essere umano è contaminato dall’animale e la creatura animale viene “guastata” dal male umano. Lo psicoanalista Luigi Zoja utilizza proprio il mito del centauro per interpretare il fenomeno dello stupro di gruppo, quando nei contesti estremi come le guerre l’uomo non riesce a salvaguardare la parte illuminata e creativa e la violenza prende il sopravvento.

    Nella maggior parte delle culture il cavallo è simbolo di vittoria, energia vitale, potenza e libertà, ma rappresenta anche la forza dell’istinto che deve essere dominato. Cavallo e uomo sono profondamente vicini anche per Carl Jung: nei sogni i cavalli sono espressione di forze opposte, manifestazione dell’ombra, animalità libidica e bisogno di disciplina insieme.

    Tornando indietro fino al IV secolo prima di Cristo, scopriamo che il famoso medico Ippocrate di Kos, porta nel suo nome questa simbologia, è colui che domina il cavallo. Il significato esoterico rivela curiosamente che ognuno è medico di sé stesso.
    Ippocrate fu iniziato alla medicina egizia ed era un alchimista capace di governare gli elementi naturali (ricorda la meravigliosa figura del Mago dei Tarocchi col simbolo dell’Infinito nel cappello e sul tavolo i 4 semi degli arcani minori). Ancora oggi medici e odontoiatri prestano il giuramento di Ippocrate prima di iniziare la professione, ma in troppi dimenticano il tradizionale approccio olistico a favore dell’iper specializzazione, spezzettando la persona nella cura anziché trattarla nella sua interezza.
    Fu proprio Ippocrate ad affermare che la collera, manifestazione di ira improvvisa, era causata dagli squilibri degli umori interni.
    L’abbondanza di bile gialla, uno dei quattro fluidi fondamentali del corpo umano, caratterizzava la persona di temperamento collerico, che tendeva a non riflettere, reagendo in maniera impetuosa anche agli stimoli più delicati.

    Una reazione quindi non di testa, né di cuore ma di pancia.

    Il collerico scarica con violenza gli umori del corpo…si “rode il fegato”, organo in cui si trova appunto la bile gialla. Secondo la teoria umorale vi è malattia quando uno di questi fluidi si isola nel corpo invece di rimanere mescolato a tutti gli altri. Gli umori inoltre cambiano nel tempo o nell’arco della giornata. Ogni fluido è legato a un elemento della terra. Il prevalere di un fluido determina i temperamenti e la definizione di 4 tipi di personalità:

    • MELANCONICO (milza): Terra
    • FLEMMATICO (testa): Acqua
    • SANGUIGNO (cuore): Aria
    • COLLERICO (fegato): Fuoco

    È una classificazione semplice ma decisamente illuminante, che lega salute del corpo e psiche, temperamento individuale e ambiente naturale, proponendo un concetto di benessere di una modernità impressionante: stare bene significa bilanciare i 4 umori, cioè riuscire a mantenersi in equilibrio tra diversi aspetti di sé e al contempo in armonia col mondo esterno.
    Nella gestione della rabbia vanno tenuti in considerazione il legame tra mente, corpo e anima da una parte e la dimensione relazionale affettiva e sessuale dall’altra.
    “Andare incontro” agli altri e alle situazioni confidando nelle proprie capacità di risolvere i conflitti è l’esatto significato di aggredire (dal latino ad-gredior).
    Quindi l’aggressività serve e va usata bene, perché non sia soltanto uno spreco di energia e non diventi auto-distruttiva se repressa.

    L’ira è per definizione un sentimento improvviso e violento provocato dal comportamento di persone o da fatti, che tende a sfogarsi con rabbia, con parole e gesti contro chi lo ha provocato, in modo volontario o meno. Viene descritta come un’emozione che non si riesce a controllare, che si scatena in modo repentino. Nella morale cristiana l’ira è uno dei sette vizi capitali, causato dal senso di giustizia che degenera. In effetti chi si arrabbia crede normalmente di averne tutte le ragioni, di essere nel giusto.
    Dante la definisce “breve furore”, Boccaccio la chiama “furore che accende l’anima” e l’aspetto negativo sta principalmente nel non riuscire a frenarla, perché offusca la mente e il cuore.
    Siamo tutti d’accordo che arrabbiarsi non fa bene e che si tratta di una reazione di pancia. E in realtà la pancia c’entra eccome: lo stomaco accoglie il cibo masticato e lo elabora. La digestione rappresenta molto bene anche simbolicamente la relazione interno/esterno e il processo di assimilazione. Accoglienza e aggressività sono entrambe necessarie al buon funzionamento fisico e psichico, come la materia e l’energia.

    Frasi come “mi sta sullo stomaco” e “non riuscire a digerire una situazione”, rendono perfettamente l’idea della sensazione legata al significato. Il terzo chakra, giallo, quello del plesso solare legato all’autostima, sta proprio all’altezza del diaframma, dove ha sede il nostro ego. Quando non funziona possono verificarsi disturbi digestivi, il peso interiore, il senso di inadeguatezza vengono mascherati esprimendo atteggiamenti eccessivamente arroganti e aggressivi. La rabbia esprime un apparente senso di superiorità che nasconde in realtà insicurezza. Il Buddismo spiega bene questo meccanismo legando collera e invidia, quando non riusciamo a rispettare e ammirare gli altri per le loro qualità li disprezziamo per il bisogno di sentirci superiori. Nel gioco degli specchi, molto spesso ci infastidiscono negli altri aspetti che ci appartengono e che dentro di noi non sono in armonia.
    Talvolta non riusciamo a perdonare noi stessi e rimaniamo imprigionati, arrabbiati per quello che non abbiamo capito, per quello che abbiamo fatto o non fatto, per quello che crediamo di aver subito.
    La rabbia però può essere trasformata: invece che spendere l’energia per vincere sugli altri, può essere utilizzata per vincere su sé stessi, anche quando gli avvenimenti che ci hanno fatto arrabbiare appartengono al passato.
    Il senso dell’empowerment è esattamente questo, acquisire la capacità di centrarsi e di risolvere i conflitti canalizzando le energie in modo positivo. Non sarà un caso che Ganesha, dio induista dalla testa di elefante, colui che elimina gli ostacoli, sia nato proprio dall’unione di Shiva il distruttore e della sua sposa Parvati, la generatrice.

    In concreto non esiste un solo modo di canalizzare l’aggressività. Ognuno può intraprendere il percorso individuale più adatto e culturalmente più vicino alle proprie corde emotive. La lotta per i grandi ideali, la giustizia e i diritti è una strada percorribile per chi ci crede. Nella vita quotidiana ci si può impegnare in molteplici attività: imparare tecniche di respiro profondo e rilassamento, camminare, praticare uno sport che piace, fare del buon sesso sono modi per canalizzare l’aggressività, come anche l’espressione artistica e la danza. Partecipare a gruppi per lavorare sulle emozioni e le energie e condividere le esperienze è altrettanto importante. Laboratori che aiutino l’espressione corporea e favoriscano la capacità di rappresentare sé stessi e le proprie idee, psicodramma, giochi collettivi, rappresentano un percorso piacevole per imparare a gestire la rabbia e se si coinvolgono donne e uomini insieme, diventano un’efficace strategia di prevenzione dei comportamenti aggressivi. Perché per combattere la violenza bisogna mettere in campo i talenti e la creatività.

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    Simona Meriano
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    Simona Meriano, nata a Torino nel 1970, antropologa, social worker e autrice, è impegnata da oltre 20 anni in progetti di empowerment femminile e di contrasto alla violenza, occupandosi in particolare di problematiche relative alla salute, alla migrazione e alla tutela dei diritti delle donne e dei bambini. Socia fondatrice dell’Associazione TAMPEP Torino nel 2001, è stata responsabile dei programmi di protezione sociale per le vittime della tratta e si è dedicata alla formazione di operatori socio-sanitari, mediatori interculturali, personale di polizia. Dopo alcuni anni vissuti a Bali, in Indonesia, è tornata in Italia e ha fondato nel 2016 l’Associazione “Le Ali di Wen - Women Empowerment Network”.

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