Cosa amano, cosa comprano e come influiscono sul sistema moda gli Zeta?
La moda è uno dei settori trainanti del nostro Paese, e in generale del mondo.
Uno dei pochi che ancora sostiene e porta avanti l’economia italiana insieme, ad esempio, al food o il turismo.
La moda però è anche un settore che risente molto delle dinamiche, evoluzioni (o involuzioni) della società che, a sua volta, si adatta a condizioni storiche ed economiche e quindi alle nuove regole del mercato.
Oggi il Made in Italy riferito al settore dell’abbigliamento è davvero una delle voci più importanti della nostra economia, rappresenta il 35% dell’intero comparto moda in Europa. Segno che il Sistema Italia tutto sommato è vivo e vegeto.
Ciò che oggi fa venire il mal di testa alle grandi holding, brand, atelier, fashion designer sono i nuovi profili dei consumatori e loro abitudini di acquisto.
Si sono delineati infatti due grandi pubblici di addicted, così diversi tra loro al punto che chi si occupa di marketing deve necessariamente sviluppare due diversi linguaggi di comunicazione verbale e visiva.
Il primo target è il consumatore consapevole, età tra i 35-50 anni, alto spendente, con un buon livello socioculturale per il quale il concetto di lusso è sinonimo di unicità. Queste persone – che più o meno rientrano in quella che viene definita la Generazione X – non sono interessate alla marca perché implica un concetto di globalizzazione. Per loro l’importante è indossare un capo unico, magari creato e cucito su misura, di alta qualità sia nella manifattura che nel tessuto. Per questo pubblico il must è sapere che il loro abito non lo ha nessun altro!
Il secondo pubblico è la tanto discussa Generazione Z (i nati dalla seconda metà degli anni novanta o dagli inizi del 1995 fino al 2010).
Molti – soprattutto i non addetti ai lavori – confondono questa nuova generazione con i Millenials, ma in realtà sono agli antipodi, anzi gli Zeta sono molto più vicini per stile, inclinazione, visione alla generazione dei loro genitori (la generazione X).
Gli Zeta sono cresciuti insieme all’evoluzione dei dispositivi digitali, ma sono molto più pragmatici e calati nella realtà rispetto ai loro fratelli maggiori. Hanno mosso i primi passi nella guerra al terrorismo seguita all’Undici Settembre, hanno già vissuto due crisi economiche; le loro ambizioni quindi sono molto più concrete. Non vogliono cambiare il sistema, ma lavorarci dentro. Soprattutto pianificano.
Questo rende la vita più difficile per i brand e le aziende che devono quindi rapportarsi con questi consumatori in un modo differente: non più comunicazioni unidirezionali e messaggi persuasivi, come il marketing ha sempre fatto per decenni, bensì catturare l’interesse con messaggi più veri e sinceri, prodotti ed esperienze originali, da vivere in prima persona e che permettano un osmosi tra online e offline.
Questa generazione continua a utilizzare la rete per informarsi, comparare prezzi, qualità della proposta, ma se prima il funnel di vendita era: vedo ciò che mi interessa in negozio e poi compro online, ora il processo si è invertito.
Il web serve a vedere le sfilate in streaming, a leggere opinioni dei blogger di settore o anche solo degli amici e poi si torna in negozio. Tutto l’affanno che le aziende si erano prese in passato per creare i loro shop online o app da scaricare sul cellulare per agevolare gli acquisti si stanno rivelando una bolla, ormai quasi scoppiata.
Tipico dei Millenials era, per esempio, comprare online capi che non potevano permettersi, usarli una sera e poi restituirli come ‘resi’. La Generazione Z invece ha un potere di spesa elevatissimo e a torna in auge il concetto di possesso del capo, dell’oggetto. Nei negozi non puoi fare così facilmente il reso come nel mondo online!
La ricerca Uniquely Generation Z condotta da IBM su 15mila ragazzi e ragazze tra i 13 e i 21 anni in 16 paesi rileva che questa generazione è particolarmente interessante per il marketing di prodotto e quindi anche del ‘prodotto moda’ perché:
1) vale circa 41,3 miliardi di euro in termini di potere d’acquisto e, nel 70% dei casi, influenza le scelte sugli acquisti familiari (cibo, bevande, prodotti per la casa, mobili);
2) nonostante passi più di 5 ore al giorno su internet – principalmente per inviare messaggi e chattare con gli amici – predilige fare shopping nei negozi fisici (lo dichiara il 98% degli intervistati);
3) ha un rapporto particolare con i brand, al punto che è disposta ad estendere le loro conversazioni online anche con i marchi.
La chiave di volta per relazionarsi in modo vincente con questi ragazzi è trattarli come persone, non comeconsumatori, che hanno una maturità diversa rispetto ai loro coetanei del passato, data anche dalla consapevolezza che i device tecnologici sono ‘solo’ strumenti e che l’individuo e la sua intelligenza restano centrali e motore di ogni scelta.
Non vittime quindi, ma driver.
In questo senso anche la moda, deve offrire loro nuovi stimoli, la possibilità di sperimentare, di vivere un’esperienza e poterla raccontare, innescando il passaparola, ma diventando così anche ambasciatori spontanei della marca.
Il coinvolgimento però non deve essere invasivo: seppur giovanissimi, i ragazzi della Generazione Z tengono molto alla privacy e, secondo la ricerca Ibm, meno del 30% intende condividere informazioni sul proprio benessere, sulla geolocalizzazione o sulla vita personale senza la sicurezza che tali informazioni verranno protette.
A differenza dei Millenials i nuovi giovani amano meno fare i selfie, il protagonismo, puntano più alla sostanza. Anche loro come i loro cugini più vecchi, parlo della generazione dei trentacinquenni, cercano l’unicità e non la standardizzazione del brand blasonato. La loro inclinazione è sperimentare il mix and match, quindi semaforo verde al brand ma solo se corrisponde al mio gusto e soprattutto fitta bene con tutto il mio look che può prevedere anche capi totalmente anonimi e acquistati nel circuito del fast fashion. Il must è la personalizzazione.
Questo nuovo contesto e pubblico pone necessariamente i brand di moda a dover trovare nuovi codici stilistici e di comunicazione.
Non è un caso che aziende blasonate come Balenciaga, Saint Laurent, la stessa Dior abbiamo riposizionato il brand andando più vicino ai gusti di questa generazione, che oggi è il vero potenziale acquirente, e che brand come Vetemens o Y/Project siano diventati un cult.
Sfogliando le riviste patinate si vede editoriali dove ci sono modelli dai canoni fisici molto più vicini alla normalità; non la modella, il bellone, ma il volto di una ragazza che potrebbe essere la tua vicina di casa, struccata e magari anche con qualche difetto (se così si può dire) come le lentiggini, che fino a qualche tempo fa venivano totalmente coperte dal fondotinta. Oggi è moda il make up nude look.
Non solo. Anche gli outfit indossati sono molto più vicino al mondo dello street style. La vera differenza tra fast fashion e alta moda è la qualità dei tessuti, della manifattura, ma i modelli, lo styling, il mood è l’uno la simulazione dell’altro.
Il successo di un brand di moda lo determina in questo momento la sua comunicazione. Quanto più è vicina al linguaggio del suo pubblico, ai suoi principi e valori, tanto più è vincente.
Questo perché gli Zeta sono una generazione fluida, la più meticcia di sempre, grazie alle migrazioni che stanno trasformando il mondo occidentale.
Gli stereotipi di genere non sono mai andati così stretti come in questo momento storico.
Al tempo dei Gen Z le nozze gay sono un diritto sancito dall’America all’Europa; al cinema sbarcano film come About Ray, su un ragazzino trans. Nell’abbigliamento Z spopola il genderless e Jaden, figlio di Will Smith, diventa l’interprete più famoso di questa generazione semplicemente presentandosi alla festa delal scuola in gonna!