Tra e con le donne in movimento, unite, insieme. Ci sono momenti in cui avverti che qualcosa di straordinario sta accadendo, una forza che può portare a un cambiamento significativo delle nostre esistenze, per una piena eguaglianza.
Una giornata speciale, come lo sono tutte le giornate in cui le donne si uniscono e condividono un cammino. Non è affatto semplice, a volte è difficile, arduo far coincidere pienamente orizzonti, obiettivi, pratiche e modalità, linguaggi, formule. La sintesi a volte sembra un obiettivo in salita e complicato, non sempre riesce. Ma alla fine quando ci si trova fianco a fianco, avviene uno scambio di energia positiva immenso, inimmaginabile se non ci si trova a viverlo. Perché le nostre vite, il nostro vissuto, il nostro sentire sono lì, una accanto alle altre. Siamo lì anche per chi non c’è più. Perché se siamo lì, conosciamo pienamente i motivi che ci hanno portate a manifestare, in una piazza che assomiglia sempre più alla nostra casa, perché ci è familiare, è accogliente e piena di calore e desiderio di non essere sole nella nostra lotta quotidiana. Con noi la molteplicità di ciò che siamo. Con noi, le nostre esperienze, che nel bene e nel male ci hanno rese le noi di oggi.
Una giornata speciale questo 8 marzo, che torna ad essere di lotta, privo di stanchezze e di memoriali stantii. Lo abbiamo vissuto, con uno sciopero che ognuna ha declinato come ha desiderato, in alcuni casi “adattandosi” alle circostanze di un mondo lavorativo terremotato nelle sue regole e nelle sue garanzie. Lo abbiamo riempito di senso. Nonostante le differenti opinioni su alcuni aspetti, hanno prevalso le motivazioni comuni. Lo abbiamo vissuto preparandoci insieme, a partire dalle donne dei quartieri in cui viviamo.
Ci siamo unite e qualcosa si è creato spontaneamente: per una parità piena (retributiva e di trattamento, accesso) nel mondo del lavoro, per una vita libera dalla violenza, per una piena garanzia dei nostri diritti sessuali e riproduttivi e per una tutela vera della nostra salute, per una eguaglianza che significa piena cittadinanza per tutte. Contro ogni discriminazione, che sia di genere, culturale, religiosa o etnica.
Tra e con le donne in movimento, unite, insieme. Ci sono momenti in cui avverti che qualcosa di straordinario sta accadendo, una forza che può portare a un cambiamento significativo delle nostre esistenze, per una piena eguaglianza. Coltiviamo e partecipiamo a questo fiume di energia, una marea, un oceano in movimento! Perché la partecipazione diretta, tornare a occuparsi direttamente dei propri diritti in una dimensione collettiva è attualissimo, possibile, necessario. Abbiamo portato per le vie delle città italiane e del mondo le nostre istanze, le abbiamo esplicitate. Ancora una volta. Ancora una volta dopo il 26 novembre a Roma.
Anche se per molte persone è più semplice voltarci le spalle e criticare, come ben evidenzia la vignetta di Anarkikka.
Eppure le motivazioni che ci hanno spinto alla mobilitazione per questo 8 marzo sono più che valide. Chiediamo una società libera dagli stereotipi di genere e sessisti, purtroppo diffusissimi sin dall’infanzia. Chiediamo di colmare le differenze salariali e di garantire pari trattamenti lavorativi, di intervenire adeguatamente sui diritti che si affievoliscono, di combattere le discriminazioni lavorative, le molestie nei luoghi di lavoro e le mille sfaccettature che assume la violenza contro le donne. Perché non possiamo restare in silenzio di fronte a tante sorelle che vengono uccise per mano maschile.
Evidentemente se manifestiamo qualcosa non va e non si può liquidare tutto a un fenomeno passeggero, folkloristico, di mera cronaca di questo 8 marzo. Vestite i nostri panni e vedrete cosa significa vivere nei panni di una donna nel 2017.
Perché questo è il tenore dei commenti di un maschio italiano sul mio blog. Non saprei da dove iniziare a commentare una tale collezione di argomentazioni violente e misogine. Un fantastico immaginario maschile ancora duro a morire. Tutto questo l’8 marzo.
La realtà è ben diversa, ciò che viviamo sulla nostra pelle è ben diverso. Questo ci spinge a manifestarci e a lottare.
Il corteo di #Nonunadimeno a Milano partiva a due passi dalla mia ex azienda. Ho sfilato con questo cartello.
Stamattina ho saputo che una donna che conosco è “stata lasciata a casa” dopo la nascita della sua prima figlia. Chi lo ha vissuto sulla sua pelle sa cosa implica dal punto di vista emotivo, oltre che materiale. Ci “rinviano” al nostro ruolo di cura, ci rispediscono nel nostro ambito secolare. Come se fossimo aggeggi “difettosi”. Queste cattive abitudini devono finire. Non ci fermeremo finché non finiranno. Finché non ci saranno assicurati pieni e pari diritti nel mondo del lavoro. Diventare madre non è una sciagura, non diventiamo incapaci o meno affidabili. I nostri neuroni e le nostre capacità e competenze non evaporano con la gravidanza. Siamo le stesse lavoratrici di prima, è l’organizzazione aziendale che deve cambiare mentalità e modalità, si chiama flessibilità. Le aziende lungimiranti lo capiscono e lo realizzano.
Ci sono Paesi che ci provano a cambiare lo status quo. Il governo islandese ha annunciato che:
“introdurrà norme per imporre a tutti i datori di lavoro con più di 25 dipendenti di dimostrare di garantire pari retribuzione a tutti e tutte per lavori di pari valore, indipendentemente dal sesso, dall’etnia, dall’orientamento sessuale o dalla nazionalità. Una certificazione obbligatoria insomma.
L’Islanda, che ha una popolazione di circa 330.000, vuole eliminare il divario retributivo di genere entro il 2022.
Il ministro per gli Affari sociali e l’uguaglianza Thorsteinn Viglundsson ha dichiarato: “è il momento giusto per fare qualcosa di radicale su questo problema.”
“Uguali diritti sono diritti umani”, ha detto. “Dobbiamo fare in modo che gli uomini e le donne godano di pari opportunità sul posto di lavoro. È una nostra responsabilità adottare tutte le misure per raggiungere questo obiettivo.”
L’Islanda è stato classificato il miglior paese al mondo per l’uguaglianza di genere (secondo il World Economic Forum) ma le donne islandesi ancora guadagnano, in media, dal 14 al 18% in meno rispetto agli uomini. Nel mese di ottobre 2016 migliaia di donne islandesi hanno lasciato il lavoro alle 14:38 e hanno manifestato davanti al parlamento per protestare contro il divario retributivo di genere. Gruppi per i diritti delle donne hanno calcolato che dopo quell’ora, ogni giorno, le donne di fatto lavorano gratuitamente.”
I cambiamenti spesso vanno indotti. È questione di volontà politica e di non tollerare assolutamente certe affermazioni formulate da certi soggetti.
Altro tema centrale della giornata dell’8 marzo ha ruotato attorno ai diritti sessuali e riproduttivi, in primis la piena applicazione della legge 194.
Nel ’77 si chiedeva educazione sessuale, la si chiedeva anche in una trasmissione “Si dice donna” in onda sulla Rai. Dopo 40 anni siamo ancora qui, con le stesse rivendicazioni, pensieri, problemi. Quando il servizio pubblico raccontava le donne e portava in tv le loro istanze e i loro vissuti.
La contraccezione è ancora oggi per molte un aspetto sconosciuto. La consapevolezza si crea con l’educazione e l’avvicinamento delle ragazze ai presidi consultoriali pubblici o privati laici.
Se manca, sappiamo quali sono le conseguenze. Le ragazze e le donne lasciate da sole, senza informazioni e sostegni adeguati, tornano a rischiare la vita, clandestine come prima del 1978. Senza aiuto, perché non c’è informazione e le si induce a ritenere più semplice rischiare la vita con un farmaco antiulcera che rivolgersi alle strutture ospedaliere abilitate alle IVG (consapevoli del gran numero di obiettori). Perché la contraccezione è onerosa e poco accessibile. Perché i consultori sappiamo quali difficoltà attraversano. Quando basterebbe lavorare nelle scuole e prevenire diffondendo consapevolezza.
Intanto nel Municipio 5 di Milano si pensa di affrontare questo tipo di problemi avvalendosi di un centro di aiuto alla vita e di un consultorio confessionale.
Sulla prevenzione delle gravidanze indesiderate e delle maternità precocissime sembra esserci un vuoto di impegno e di attenzione. Come se fosse assodato il destino della donna di fattrice. Infatti il commento sul mio blog ci suggeriva di tornare ai tempi delle nostre bisnonne. Ah nostalgia canaglia!
Vi sembra che abbiamo pochi motivi per mobilitarci, che sia attraverso uno sciopero, un’assemblea o un corteo? E se qualcuno trova “risibili” le nostre rivendicazioni, forse dovrebbe farsi un bel bagno nel mare della realtà.
Le migliaia di persone che l’8 marzo hanno aderito alla mobilitazione a Milano (per non parlare di quelle che lo hanno fatto in tutta Italia e in tutto il mondo, 59 Paesi, 59…) hanno evidentemente compreso.
Mi rendo disponibile a spiegare perché questa realtà è alquanto inospitale per noi donne.
Ah, naturalmente è sempre gradito un po’ di rispetto.
Mettetevi l’anima in pace. Non ci fermeremo.
Thanks a lot!
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