Difficile comprendere ciò che induce alcune occidentali, magari perfettamente inserite in contesti moderni ed evoluti, a rinnegare il passato in nome del jihadismo.
Evocare fragilità emotive o insani desideri di avventura sarebbe tuttavia riduttivo: alla genesi delle conversioni femminili (attestate in cotante crescita) c’è infatti la retorica califfale stessa, tesa ad alimentare nelle potenziali vittime quel senso di rivalsa rimasto insoddisfatto: “Verrete coinvolte in missioni divine di doverosa responsabilità; vivrete libere in un mondo utopico e ideale“.
E’ sostanzialmente la prospettiva di aderire (con mansioni di rilievo) a una causa ambiziosa e potenzialmente sovversiva a sedurre le apiranti combattenti, divenute ormai bersaglio privilegiato dei recrutatori. Donne deluse dalla quotidianità ordinaria. Incautamente disposte a salpare verso lidi ignoti, animate da spirito avvenuriero di ispirazione romanzesca o religiosa. Impazienti di poter finalmente giurare fedeltà al leader supremo Abu Bakr al-Baghdadi, fondatore, nel 2014, del Califfato, entità non statuale di storica remniscenza..
Resta il fatto che sono ormai in molte ad aver individuato nella realtà islamista l’ìnedita opportunità di concretizzare un sogno di sorellanza (evocato forse dalla dubbia condivisione di obiettivi es esperienze) così vanamente inseguito in patria. Emblematico in tal senso il rapporto recentemente stilato da Sofia Patel, analista dell’Australian Strategic Policy Institute di Barton, nei pressi di Canberra.
“Sarebbe un errore madornale ritenere che le suddite dello Stato Islamico siano costantemente penalizzate e relegate ai margini della società. Grazie alla lora abilità di pianificare e compiere attentati terroristici sono infatti riuscite a raccogliere consensi inaspettati da parte degli uomini, tanto che sempre più spesso vengono incoraggiate ad affiancare i mujahideen nella proverbiale lotta al mondo infedele“.
E per l’esperta, solo l’adozione di determinate misure precauzionali potrebbe scongiurare la prosecuzione della vasta opera di propaganda finora condotta online dai membri del Daesh “Occorrerebbe rendere maggiormente incisivo la disciplina di contrasto all’estremismo violento. Poi servirebbe un piano specifico e dettagliato di prevenzione, in progetto da tempo ma non ancora tracciato a dovere. A ciò va aggiunta la tutela dei nuclei familiari, a cui dovrebbero essere fornite adeguate risorse di difesa dalle insidie celate dal web. Manca anche un strategia per agevolare la diserzione delle pentite.