L’ energia delle donne è potente e io, per onorarla, ho voluto incontrare donne “eccellenti” di ogni età e parlare un poco con loro. Le chiamo “eccellenti” perché hanno saputo e sanno costantemente aggiungere vita alla vita in quest’epoca in cui la tendenza comune è distruggere.
Mi piace iniziare questa carrellata di interviste con una donna che mi è entrata nel cuore in modo particolare, Enrica Bonaccorti, così poliedrica, così sfacciatamente sfaccettata.
Enrica Bonaccorti è una sorpresa continua, le sue ospitate a “La vita in diretta” e alle altre trasmissioni televisive ci rendono un’immagine solo parziale della sua poliedricità non soltanto di opinionista ma di artista a tutto tondo che lei, riservata com’é su ciò che é essenziale, non sbandiera perché “sbandierare” sarebbe contro la sua natura.
E poi si scopre che, oltre a tutto quello che si sa di lei, ha scritto romanzi bellissimi ed è un’ attenta studiosa del funzionamento del cervello, che il suo contributo alle conoscenze del post-coma é stato definito eccezionale dal direttore dell’Istituto Besta, che ha fatto degli studi approfonditi sull’inno italiano, svelando quanto e perché sia scorretto attribuirlo a Mameli e ricostruendone la vera storia, che ha proposto una nuova versione dell’Inno italiano molto più adatta al nostro sentire di oggi; e ancora si scopre che ha progetti di nuove trasmissioni televisive e radiofoniche che migliorerebbero senz’altro la qualità degli attuali palinsesti e che noi utenti attendiamo da tempo con impazienza.
E poi salta fuori che all’apertura del film di Pieraccioni “Ti amo in tutte le lingue del mondo” il protagonista vaga per le strade parlando da solo e a un certo punto esclama: “Come dice il poeta? L’amore è ‘n’artalena de’ perdenti… si se va paro c’è già da sta’ contenti”. E si viene a sapere che in conferenza stampa quelle parole erano state attribuite a Trilussa e che invece il ‘poeta è lei, Enrica Bonaccorti: sono due versi tratti dalla sua “Ballata della separata” che ha scritto nel febbraio del 1976, la sera prima dell’appuntamento in tribunale per la sua separazione.
Ma nessuno lo sa e lo stesso Pieraccioni si é dimenticato di attribuirle la maternità di una battuta che ormai da dodici anni chissà quante volte è passata nelle sale cinematografiche e in televisione. Lo scopro per caso e mi chiedo quanti altri ingiusti e poco onesti “prego passi lei” ci si debba ritrovare a dire nell’ambiente del suo lavoro.
Comunicare con Enrica Bonaccorti è, per me, vagare nello sfumato paesaggio della sua anima e poi riemergere con la certezza di conoscerla da sempre. E di conoscere un po’ di più anche me stessa. Sincera, diretta, entusiasta, saggia e dall’anima bambina, è appassionata e incuriosita da tutto quello che è nuovo per lei. Ma non si accontenta di ipotesi stentate né di concetti generici, approfondisce perché vuole certezze. Sempre aperta, però, alle infinite possibilità che potrebbero capovolgere le sue considerazioni, non ama fare il tifo per un’ opinione, cerca sempre l’informazione. Per lei le parole sono sacre, ne conosce il valore e non le butta mai via; conosce bene il rapporto che esiste tra linguaggio e realtà. Senza fare troppo rumore e talvolta anche senza accorgersene, quando parla in televisione o mentre cammina sotto la pioggia o guida tra le strade trafficate romane o quando scrive nel web, ricorda a chi è con lei che ciascuno di noi, in ogni situazione, ha la possibilità di invertire la rotta quando qualcosa non va. Lei non lo sa e non lo ammetterebbe mai ma ha molto carisma, forse perché non le interessa averlo, è accudente forse perché crede di non esserlo, è spirituale forse perché nega di esserlo. Non nasconde la sua emozione ogni volta che qualche nota muove le sue corde e questo suo emozionarsi- e talvolta imbarazzarsi- la fa sentire ancora più vera. Per me, quando le faccio le mie impertinenti domande, starle accanto è un dono, in ogni sua parola c’è un mondo che si apre e che mi accompagna dentro di lei, dentro di me che l’ascolto, dentro al senso della vita. Se dovessi dire quale aspetto dell’Energia del Femminile rappresenta, direi che Enrica Bonaccorti è la personificazione di tre componenti energetiche, la capacità di vedere al di là di quello che è scontato, l’ empatia e la inclusione. Include perché accoglie, in totale apertura e senza giudizio, i vari aspetti che si intrecciano in sé e fuori di sé, potenziandosi l’un l’altro e collegando anche quello che è apparentemente distante. Stimo molto questa sua capacità di contraddirsi per continuare a crescere, amo molto il suo esserci intera. Quando parla di sé si presenta come “un’introversa logorroica, una pigra stakanovista, una socievole eremita, una timida sfacciata, un’arrendevole prepotente, un’impulsiva razionale, una lucida sentimentale, un’aggressiva affettuosa, un’invisibile disponibile.. una tipa speciale molto normale”. Come potrei rimanere indifferente a questa donna così umanamente ricca di ossimori?
Attrice di teatro e televisione, talvolta anche cinematografica, è stata anche sceneggiatrice di ‘Cagliostro’, un film con Bekim Fehmiu, Rosanna Schiaffino, Massimo Girotti, Kurd Jurgens. La conosciamo tutti come conduttrice televisiva (“Italia sera”, “Pronto chi gioca”, “Ciao Enrica”, “La Giostra” “Non è la Rai”) e radiofonica ( “Per chi suona la campana?”, “Chiamate Roma 3131”, ”Ipocrity Correct”, “Punto Sette” , “Tornando a casa”). Ascoltando i podcast di “Tornando a casa” qui linkati alla trasmissione, tutte puntate attualissime e culturalmente molto ricche, ci si può rendere conto di cosa voglia dire fare radio e farlo davvero molto bene. Ma la lista della professionalità di Enrica Bonaccorti si allunga: è anche giornalista e ha avuto nel Corriere della Sera una sua rubrica, “Il francobollo”; ha scritto i testi di canzoni come “La lontananza” e “Amara terra mia” cantate da Modugno, è anche autrice di due romanzi pubblicati da Marsilio, “La pecora rossa” e “L’uomo immobile”. In “La Pecora Rossa” Enrica Bonaccorti raccontando la storia di una ragazzina “diversa”, fa toccare al lettore la paura di non farcela e contemporaneamente la speranza che tutto sia possibile, l’ insicurezza e quegli attimi di apnea prima di riprendere fiato per farcela nonostante tutto. “L’uomo immobile” tratta la condizione di locked in, lo stato nel quale la coscienza è integra ma la possibilità di comunicare è nulla ed è stato definito dal prof. Cornelio, direttore scientifico dell’Istituto Carlo Besta, “un contributo eccezionale che apre alla comprensione di tutti la tematica dei gravi disturbi di coscienza, la crucialità del loro studio e trattamento.” (NDR: Nel 202o pubblica con Baldini+Castoldi “Il condominio”, un romanzo che ottiene subito interesse e entusiasmo di pubblico, arrivando dopo nemmeno tre mesi alla terza edizione. Qui la mia recensione su Dol’s)
Lontana da qualunque forma di arrivismo, nonostante i suoi tre Telegatti e tre riconoscimenti giornalistici, Enrica Bonaccorti nel pieno della sua carriera non ha esitato a dire di no alle numerose proposte di lavoro, permettendosi una parentesi per amore e forse anche per desiderio di cambiare un po’, perdendo così per qualche anno “il posto all’osteria”. Ma, come lei stessa dice, la nostra vita è come quella degli alberi, si migliora potando; al suo ritorno forse si è sentita lei stessa ‘potata’, ma questo non le ha impedito di essere sempre “la Bonaccorti”, ricercata ancora oggi per numerosissime ospitate e invitata ovunque a portare la sua cultura, il suo buon senso e la sua ironia. Mentre sto scrivendo queste parole, ad esempio, sta ricevendo uno dei suoi premi per la carriera. Una “signora della tv” tra le più amate e le più stimate perché è prima di tutto una professionista che sente il dovere di comunicare alla gente tutto quello che scopre, senza sostenere per forza bandiere né tifoserie né perdersi tra inutili greggi. Che debba parlare di delitti, di attualità, di medicina, di filosofia di vita, di problemi sociali o di animo umano mette, in tutto quello che dice, acuta intelligenza e immenso cuore. Una grande bellissima anima, oltre che una splendida donna che speriamo ritorni alla conduzione di programmi televisivi e radiofonici degni del suo calibro, e possibilmente scritti da lei.
( NDR: Nel 2019/2020 la vediamo alla conduzione di “Ho qualcosa da dirti”)
Sei una delle opinioniste più ricercate in televisione oggi. I tuoi interventi sono sempre sensati, equilibrati, e mai di parte. Piaci molto per il tuo buon senso ma anche perché nelle situazioni più toccanti parli col cuore ed empatizzi con i più deboli e con le minoranze. Anche nella tua vita privata è così?
Se empatia significa immedesimazione, ne soffro profondamente. È uno di quei doni così pesanti da trasformarsi in freno, in eccessiva autocritica, in senso di colpa. Quanto alle emozioni, vorrei mi attraversassero più in superficie perché mi tolgono lucidità. Se intelligere in latino vuol dire capire, la mia intelligenza già fortemente settorializzata, si depaupera quanto più si arricchisce di emozione. Sul lavoro il risultato è in perdita, nella vita è un pareggio.
*Parli di intelligenza settorializzata ma io la definirei poliedrica, nel lavoro come nella vita. La tua poliedricità artistica da cosa nasce?
Dalle necessità soprattutto. Nei primi anni economiche: ho iniziato a lavorare in teatro a 19 anni, dopo tre mesi mio padre è morto all’improvviso, e meno male che già lavoravo.. ma il teatro paga poco, e rimpinguavo cogliendo ogni occasione. Ma anche presentando una sfilata di abiti da sposa si impara il mestiere. Facevo provini per tutto, e fortunatamente spesso mi sceglievano. Con un provino cominciai la televisione col mio primo sceneggiato, poi con un provino la radio, e così quel pochissimo cinema. Con l’arrivo di mia figlia ho dovuto smettere il teatro e le sue lunghe tournée e mi ha sostenuto tanta radio, scrivere una sceneggiatura per un film e persino girare documentari medici. Come si dice.. di necessità si fa virtù. E poi sono molto curiosa e forse ho qualche talento innato.
*E’ vero che ami la radio più di tutto? La tua trasmissione “Tornando a casa” è stata una delle più seguite
Perché alla radio ci si tocca l’anima. Non distrae l’immagine, l’abbigliamento, l’espressione del volto e il suo aspetto. A volte in televisione si ha l’impressione che quello che dici non sia così importante quanto l’atteggiamento e l’estetica. In radio al contrario sento che ogni parola entra in ogni orecchio senza filtri, le vedo scivolare nel toboga del condotto uditivo direttamente fino al cuore, per essere romantica. La verità è che credo che i recettori neuronali, non distratti dalla visione, possano dare maggiore spazio e forza all’attenzione.
*In una trasmissione ti ho sentita dire che tu, senza il tuo pubblico, non saresti niente. Cosa rappresenta il pubblico per te?
La famiglia, gli amici, gli alunni, i fratelli e le sorelle, i nonni, i genitori… insomma, tutti quelli che non ho.
*Ami molto scrivere e ci riesci davvero bene, i tuoi due romanzi sono tra i più belli che io abbia letto in questi ultimi anni. Cosa c’è di te nell’uno e nell’altro?
Troppo. Soprattutto nel primo, “La Pecora rossa”. Se mi rileggo mi imbarazzo un po’, c’è tanta biografia.. Più volte mi hanno chiesto di scrivere una autobiografia, in certi anni avevo le maggiori case editrici che mi fiatavano sul collo come il bue e l’asinello, ma non credo lo farò mai. Mi sembrerebbe di camminare nuda davanti a tutti. Il mio esibizionismo non lo sopporterebbe mai.
*Peccato, quello che chiami esibizionismo io lo chiamerei dono. Non credi che tanta gente, leggendo la tua autobiografia, attraverso le tue ferite e le tue risalite, potrebbe imparare a non arrendersi?
No.
*Va beh, questo tuo “no” non ammette repliche! Devo cambiare discorso? Hai scritto “L’uomo immobile”, un romanzo che esplora un tema molto forte e importante, la condizione del postcoma, spesso non riconosciuta e mistificata, come molti aspetti del cosiddetto ‘fine-vita’. Il direttore dell’Istituto Besta di Milano, uno dei più importanti poli neurologici a livello mondiale, lo ha definito “un contributo eccezionale” anche dal punto di vista scientifico. Da dove hai tratto questa tua conoscenza?
Dalla mia antica passione per il cervello, i suoi misteri e il suo funzionamento: a 17 anni mi comprai a rate (faticosissime) “La diagnosi differenziale delle sindromi neurologiche” il famoso ‘Bodechtel’, e pensavo di iscrivermi a medicina. Ma avevo anche altre due grandi passioni: il teatro e la scrittura, come già avevo dichiarato in un tema al ginnasio. Poi la vita decide per te, il Caso mi ha fatto trovare in un piccolo teatro a Trastevere al momento giusto e ho iniziato quello che sembrava solo un’opportunità per fare un’esperienza estiva. Invece… ma la passione per la neurologia non mi ha mai abbandonata, fino ad arrivare al mio ‘Uomo immobile’.
*Quando scrivi accompagni il lettore “dentro” al mondo interiore del personaggio, lo porti nella dimensione della immedesimazione, non lo lasci ad osservare dall’esterno tutto quello che avviene. Qual è il tuo rapporto con la scrittura?
Quando mi riascolto, non sono mai davvero soddisfatta, a volte per niente. Colpa di quell’emotività in eccesso che evidentemente non domino quanto esprimersi in pubblico richiederebbe. Quando mi rileggo invece mi sorprendo quasi sempre, e positivamente. A volte mi sembra impossibile esserne io l’autrice, ma quando scrivo mi sento ‘agita’, illuminata in trance, e quando concludo un articolo, una poesia o quel che è, mi sento appagata in ogni senso e mi accendo una sigaretta. Scrivo ogni giorno, o meglio ogni notte, e la mattina arriva sempre troppo presto.
*Ci sono stati tanti importanti incontri nella tua vita. Per te che tra i tanti incontri importanti nella tua vita hai conosciuto poeti come Ungaretti o Alfonso Gatto (con te nella foto) cosa rappresentano le parole?
Le considero e sento importantissime. Ricordo un verso “Mi prende incantamento/ soltanto alle parole/ che leggo scrivo e sento”. Soffro molto per come in questi tempi si maltrattano, si ignorano, si mistificano. Le parole arrivano dai pensieri e si trasformano in azioni, dovremmo starci più attenti.
*E ancora oggi ovunque milioni di persone a te sconosciute prendono incantamento alle parole delle stupende canzoni che hai scritto. Come sono nate?
Dal dolore e dalla fortuna, potrebbe essere l’estrema sintesi. Si scrivono parole più ispirate se si soffre per una ‘lontananza’ per esempio, e la fortuna ha un solo nome: Modugno. Lavoravo con lui in teatro, per otto mesi al suo fianco in giro per l’Italia, 102 città per 209 repliche, durante le quali mori all’improvviso mio padre, compii vent’anni, e scrissi ‘La lontananza’. Dolore e fortuna…
*Ritieni che, in te, testa cuore e pancia siano collegati o che talvolta vadano in direzioni diverse o opposte tra di loro?
Io credo solo alla testa, nel senso che contiene il cervello, che a sua volta contiene il cosiddetto ‘cuore’ e ‘pancia’. Si respira col pensiero.
*Mi piace molto quello che dici: “Si respira col pensiero”. Dimmi qualcosa di più…
È solo l’ultimo verso della ballata che, nella sua immobilità cosciente, il protagonista del mio libro compone silenziosamente nella sua testa: La Ballata della mente. “Perché tutto è nella mente/Si decidono i colori/nella mente c’è il destino/e la forza di cambiarlo/perché tutto è nella mente/si respira col pensiero”
*Sei cresciuta in una caserma. Quanto questo ambiente prettamente maschile ha condizionato il tuo modo di vedere e di affrontare la vita?
Molto, ma l’ho capito solo molto dopo.. sì, dalla clinica in cui sono nata a Savona direttamente alla caserma a Genova, e per i primi 13 anni di vita il mio panorama è stato in divisa. In più figlia unica con mamma che insegnava dove la graduatoria la collocava, e papà che comandava la caserma in fondo al corridoio. Sì, perché l’alloggio del comandante era proprio dentro la caserma, di fronte allo spaccio (il bar) poi la stanza della televisione, quella del barbiere, il calzolaio, la sala biliardi e via via le camerate, il piantone, gli uffici dell’amministrazione, fino ad arrivare in fondo al corridoio alla stanza del comandante, papà. Questo era il mio piano, o forse il mio vero Paese, su altri due camerate e mensa, e tutti gli altri piani del palazzo erano occupati solo da uffici della stazione. Sì, perché papà comandava la Polfer, e la caserma era dentro la stazione. Per uscire attraversavo i binari, salutavo l’edicolante che chiamavo zia, ed entravo nella piazza della stazione in cui prendevo l’autobus e andavo a scuola, verso la normalità.
*Hai imparato a essere “diversa” senza nemmeno rendertene conto. Eppure da questa eccezionalità è scaturita la donna che tu sei. Quale ritieni sia il rapporto tra talento e fortuna?
Non saprei rispondere nettamente. Ma dico tutto citando una delle massime in cui più credo: “Il nostro destino è il nostro carattere”.
*L’essere donna e l’essere figlia unica hanno influito in qualche modo sulle tue scelte e sulle tue soddisfazioni o insoddisfazioni personali e professionali?
Essere donna ha in sé tutte le meraviglie e le difficoltà che ognuna di noi conosce bene, essere figlia unica in una caserma, neppure i vicini di pianerottolo, e la scuola dall’altra parte di una città lunga come Genova, significa solitudine e conoscenze alternative. Parlavo anche con le macchie sul muro, tanta introspezione di cui ho tante tracce cartacee, ma a otto anni già scrivevo a macchina, giocavo (gioco) bene a biliardo e sapevo fare il caffè alla macchina dello spaccio. Non si può avere tutto…
*Sei la donna che tu sei, come sei, grazie a qualche particolare aspetto di tua madre e di tuo padre?
Da mio padre ho ereditato le ossa lunghe e l’impazienza, da mia madre tutto quanto di buono c’è in me.
*Allora tua madre doveva essere una bellissima persona! Quando puoi dire di essere in sintonia con l’altro, senti dentro di te che siamo isole o siamo tutti collegati?
Mai risposto a domande così difficili‼ Non riesco a sintonizzarmi sulla sintonia! Cosa si intende? Mi sembra superficiale riferirmi a valori o ad atteggiamenti condivisi. Per come la intendo, forse è come per l’amore, in cui non mi ha mai tradito solo il colpo di fulmine: la sintonia la senti subito o mai. Quello di cui sono sicura è che siamo tutti isole di uno stesso arcipelago, alcune con buoni collegamenti, altre zattere sgangherate.. ma chi vuole davvero raggiungerti, lo fa anche a nuoto. Ora però qualcosa è cambiato, la tecnologia permette alla sintonia di nascere anche senza reazioni chimiche, e pare che in alcuni casi fortunati, persino in amore abbia sostituito con successo i ferormoni con i Chips! La tecnologia più raffinata ha preso il posto della chimica più atavica. Speriamo che sia un bene..
*Sarà anche stata una domanda difficile, ma la tua risposta è in una sintonia profonda con quello che intendevo mentre la stavo formulando! Grazie Enrica…