Fermi restando gli indubbi vantaggi del latte materno e dell’allattamento al seno, sia per la madre, sia per il bambino, l’articolo apparso su sulla rivista “Pediatrics” sottolinea che se la “naturalità” in termini di salute è posta come valore di per se stessa, il rischio è che le pratiche mediche derivanti dalla ricerca scientifica e dalla sintesi farmacologica siano rifiutate, ottenendo, in questo modo, un peggioramento dello stato sanitario generale.
Un articolo pubblicato di recente sulla rivista “Pediatrics” si interroga sulla positività di incentivare l’allattamento al seno indicandolo come “naturale”, in contrapposizione con il latte formulato che sarebbe “innaturale”.
Fermi restando gli indubbi vantaggi del latte materno e dell’allattamento al seno, sia per la madre, sia per il bambino, l’articolo sottolinea che se la “naturalità” in termini di salute è posta come valore di per se stessa, il rischio è che le pratiche mediche derivanti dalla ricerca scientifica e dalla sintesi farmacologica siano rifiutate, ottenendo, in questo modo, un peggioramento dello stato sanitario generale.
Un tipico caso di questo rifiuto è il numero calante di vaccini e la crescente pratica omeopatica.
L’articolo accenna anche brevemente al pericolo etico che la naturalità come valore sia limitante nelle questioni di genere, portando a credere che sia “naturale” che a occuparsi dei figli siano le donne, naturalmente adatte a questo proprio grazie alla naturalità dell’allattamento al seno.
Trovo molto delicata e sottile la questione, che comporta una riflessione sull’essere umano in quanto particolare emanazione della natura.
Tenendo in mente che la chimica, basandosi su elementi presenti in natura, è “naturale” anche quando crea nuovi composti non immediatamente disponibili nell’ambiente, la contrapposizione tra “naturale” e “innaturale” sembra stare proprio nella mancanza di “manipolazione” umana in quello che la natura offre.
Eppure l’essere umano è parte della natura, le capacità di apprendere e creare del nostro cervello sono naturali e l’evoluzione è regola necessaria perché ogni essere vivente, uomo compreso, possa continuare a popolare il nostro pianeta.
Lo sfruttamento delle risorse naturali è legge per ogni essere vivente: siano essi piante, animali o esseri umani, tutti i viventi si alimentano consumando risorse ambientali, respirano effettuando scambi di gas, proliferano adattandosi all’ambiente in cui vivono, modificandolo e, talvolta, stravolgendolo.
La possibilità che l’uso delle risorse naturali sia negativo, è insita nella risorsa stessa e deve essere l’etica a guidarne lo sfruttamento.
In questo senso, l’essere umano è il solo che può decidere come sfruttare la natura, quale dev’essere l’uso corretto delle risorse, quali le buone pratiche, quali le azioni da compiere. Avendo distinzione tra “ragionamento” e “istinto”, l’umanità è in grado (o dovrebbe essere in grado) di stabilire dei principi etici e morali a cui rifarsi nelle attività quotidiane, nelle regole da stabilire per la convivenza civile, nei rapporti con i propri simili e con gli altri esseri viventi.
La religione ha tentato di dettare tali principi, dando le prime norme sociali ai nostri progenitori e incentivando comportamenti “corretti”, basati sull’emanazione sovrannaturale di un principio etico voluto da un Dio Creatore, che ha posto le regole da seguire creando la natura stessa, che sarebbe quindi anch’essa emanazione di volontà divina e dunque “buona” per definizione. Il male costantemente presente nella storia dell’umanità trarrebbe origine dall’errore nel seguire i principi stabiliti da Dio nella religione.
Le falle e le contraddizioni di questa visione sono evidenti e costantemente presenti. Ogni evento naturale considerato emanazione positiva (ad esempio la luna e le stelle) o negativa (ad esempio le malattie) del divino è stato spiegato dalla scienza che tuttora lavora alla spiegazione di quanto ancora a noi sconosciuto. E in questo senso, infatti, la scienza è sempre stata vista con sospetto dalle principali religioni, che traggono potere dall’idea che sia l’adesione ai propri principi del comportamento umano a determinare la “bontà” o meno della natura.
La principale contraddizione di tutte le religioni è il fatto che esse pretendano di essere emanazioni del divino, ma tramite l’umano. I principi religiosi, in questo modo, variano e si modificano a seconda del variare e del modificarsi degli esseri umani che li amministrano e li promulgano. La diretta conseguenza di questa contraddizione è l’uso storico della religione per assoggettare popoli e persone, per la distribuzione del potere in poche mani, per la manipolazione della cultura e della società.
Non credo ci sia bisogno di citare l’enorme ruolo che hanno le religioni nella disparità tra uomini e donne, tra bianchi e neri, nei rapporti tra Stati e in eventi storici sanguinosi a cui ancora oggi assistiamo.
Un altro vizio comune alle religioni è “spostare” le conseguenze del comportamento umano alla fine della vita terrena. La morte, termine naturale della vita, ha da sempre spaventato l’uomo ed è da sempre potentissimo strumento di persuasione. La promessa di una vita dopo la morte è il mezzo principe di manipolazione dei credenti. Promettere il paradiso a chi soffre, ad esempio, non vuole solo consolare gli afflitti, ma creare il presupposto per cui gli afflitti non trovino il coraggio di ribellarsi e di cambiare uno stato di cose negativo. La rassegnazione crea passività davanti ai soprusi.
Seguire un’etica “preconfezionata”, con principi imposti dall’esterno e all’esterno della natura umana fissati, solleva dalla responsabilità delle proprie azioni, dallo studio, dall’analisi, dal cambiamento. Spostando alla fine della vita le conseguenze di quanto in vita si compie, deresponsabilizza e ostacola l’evoluzione dell’essere umano.
È dunque evidente che i principi etici a cui rifarsi, nelle decisioni che regolano i rapporti tra esseri viventi e l’uso che della natura e delle sue potenzialità è giusto fare, non possono essere cercati al di fuori della nostra natura di esseri umani, sperimentabile e limitata e uguale per tutti. Siamo tutti esseri umani. Questo è l’unico, valido, sperimentabile principio etico.
Conseguenza di questa unica verità, è che ognuno di noi è portatore degli stessi diritti che chiamano gli stessi doveri.
Di più: questo principio regola anche l’utilizzo delle potenzialità umane nello sfruttamento della natura, che deve essere teso a migliorare le condizioni di vita nel rispetto dell’umanità stessa, in linea con l’evoluzione “naturale” dell’uomo che ha portato a una conoscenza sempre maggiore del mondo che ci circonda e che non può e non deve essere fermata in nome di una “naturalità” che altro non è che rassegnazione.
In questo senso mi sento di sposare appieno il pensiero mirabilmente espresso, quasi due secoli fa, nella “Ginestra” di Leopardi, il cui valore umano è tuttora ampiamente sottostimato: l’unica etica possibile è quella in cui ci si riconosce “tutti fra se confederati”, in quanto figli della stessa natura.