“I’M THE GRANDMOTHER OF THE PERFORMANCE ART”- MARINA ABRAMOVIČ.
TUTTO, VIDEO E FOTO, DOCUMENTATO. UNA VITA A CAPOFITTO NELLA ESPERIENZA SENSIBILE, NEL CONFRONTO TESO FINO ALLO SPASIMO TRA IDEA E REALTA’ , PERCEZIONE ED ESPERIENZA, RICORDO E FLUSSI VITALI, INFORMAZIONI E VUOTI, CONTRASTI E SILENZI.ARTE, FILOSOFIA , RICERCA:É IL PIANETA ABRAMOVIČ.
Cosa e’ la performance artistica? Ecco, questa domanda e’ , in un certo modo, qualcosa che porta la mente a produrre un atto performativo: una ricerca per ottenere una risposta.La vita può essere una sequenza di azioni, di tempi scanditi da contenuti; i contenuti parlano dei significati che portano con loro e parlano di momenti e del loro rapporto con l’ artista. Le azioni che l’artista concretizza in senso performativo sono in realta’ dei concentrati di sequenze logico-sensoriali che spingono il fruitore a seguire dei percorsi cognitivi inusuali per fare propria , anche condividendo, l’ esperienza emotivo- sensoriale proposta attraverso la performance stessa.
LE PERFORMANCES
E’ nata a Belgrado il 14 novembre nel 1946. Attiva fin dagli anni ’60 , Dal 1965 al 1970 studia presso l’Accademia di Belle Arti di Belgrado . Ha completato i suoi studi post laure presso l’ Accafemia di Belle Arti di Zagabria, in Croazia nel 1972. Dal 1973 al 1975 ha insegnato presso l’Accademia di Belle Arti a Novi Sad, mentre acreava le sue prime performance.
Dal 1990 al 1991 la Abramović è stata visiting professor presso l’ Academíe des Beaux Arts di Parigi e presso l’ Università delle Arti di Berlino. Tra il 1992 e il 1996 E ‘stata visiting professor presso la Hochschule für bildende Künste di Amburgo e tra il 1997 e il 2004 era professore per la prestazione tecnica al Hochscule für bildende Künste di Braunschweig. I suoi migliori studenti noti sono Sebastian Bienek e Chuharu Shiota.
Nel 1974 viene conosciuta anche in Italia, dove presenta la sua performance, Rhytm 4, esposta a Milano, nella Galleria Diagramma di Luciano Inga Pin.
Nel 1976 lascia la Jugoslavia per trasferirsi ad Amsterdam. Nello stesso anno inizia la collaborazione e la relazione con Ulay, artista tedesco. Nel 1997 vince il Leone d’ Oro alla Biennale di Venezia con l’esecuzione, Balkan Baroque.
Rhythm 10, 1973
Nella sua prima performance esplora elementi di ritualità gestuale. Usando venti coltelli e due registratori, l’artista esegue un gioco russo nel quale ritmici colpi di coltello sono diretti tra le dita aperte della mano (il gioco del coltello). Ogni volta che si taglia, deve prendere un nuovo coltello dalla fila dei venti che ha predisposto, e l’operazione viene registrata. Dopo essersi tagliata venti volte, l’artista fa scorrere la registrazione, ascolta i suoni e tenta di ripetere gli stessi movimenti, cercando di replicare gli errori, mescolando passato e presente. Tenta di esplorare le limitazioni fisiche e mentali del corpo: “Una volta che sei entrato nello stato dell’esecuzione, puoi spingere il tuo corpo a fare cose che non potresti assolutamente mai fare normalmente” (Kaplan, 9).
Rhythm 0, 1974
In questa performance rimasta storica per il rischio cui si espose, la Abramovič presentó al pubblico di Napoli, su un lungo tavolo, diversi strumenti di “piacere” e “dolore”; vi furono posti 72 oggetti che le persone potevano usare per darle piacere o dolore, a loro scelta, fu detto ai presenti che per sei ore l’artista sarebbe rimasta passivamente priva di volontà e avrebbero potuto usare liberamente quegli strumenti. Tra essi c’erano una rosa, una piuma, il miele, una frusta, olio d’oliva, forbici, bisturi, una pistola e un singolo proiettile. Il tempo prefissato rispondeva alla struttura della prova, secondo una strategia di John Cage, adottata da molti altri artisti dell’esecuzione, allo scopo di dare un inizio e una fine ad un evento non lineare.
L’ evento iniziò e per le prime tre ore, i partecipanti approcciarono agli strumenti, usandoli.Inizialmente, i membri del pubblico reagivano con cautela e timidamente, ma col passare del tempo la gente cominciò ad agire in modo più aggressivo.
Vi fu in seguito una escalation di pericolosità incontrollata: tutti i suoi vestiti vennero tagliuzzati con le lamette; nella quarta ora le stesse lamette furono usate per tagliare la sua pelle dalla quale poter succhiare il suo sangue. Il pubblico si rese conto che la performer non avrebbe fatto niente per proteggersi e parve possibile addirittura che venisse violentata;
si sviluppò allora, tra il pubblico, un gruppo di protezione e, quando le fu messa in mano una pistola carica puntata contro se’ stessa, vi fu un un tafferuglio tra il gruppo degli istigatori e quello dei protettori.
Mettendo dunque il proprio corpo e la sua sicurezza in balìa assoluta del pubblico, la Abramovic aveva creato un’opera artistica molto seria sull’ -“Affrontare le sue paure in relazione al proprio corpo” ma non solo. L’arte della Abramović rappresentava anche l’oggettivazione del corpo femminile, mentre lei restava immobile e permettendo agli spettatori di fare quello volevano con il suo corpo, spingeva i limiti di quello che si considera accettabile. Interrogandosi sul rapporto tra arte, sessualità e sociologia, questa rappresentazione tipo, invita a riflettere anche su questioni politiche chiave, e l’utilizzo sostanziale di tecniche come il BDSM applicate alla sociologia, diventa la questione di fondo, esemplificata e resa comprensibile e visibile dalla struttura della performance stessa. Le attività e le relazioni all’interno di un contesto BDSM sono spesso caratterizzate dai partecipanti assumendo ruoli complementari, eppure disuguali; in tal modo, l’idea di concorso informato di entrambi i partner diventa essenziale, quasi un contratto. I termini “sottomesso” e “dominante” sono spesso utilizzati per distinguere questi ruoli: il partner dominante ( “dom”) prende il controllo psicologico sopra il sottomesso ( “sub”). Questo viene di fatto applicato dalla politica. Questo é stato testato dalla performance, dimostrando quanto sia vulnerabile e aggressivo il soggetto umano quando messo al riparo da conseguenze legali e sociali e quanto i regimi sfruttino questo aspetto della natura umana. Alla fine della performance, il suo corpo era stato spogliato, attaccato, e svalutato in un’immagine che la Abramović ha descritto come la “Madonna, madre e prostituta”. Inoltre, i segni delle aggressioni erano evidenti sul corpo dell’artista . Commentò in seguito la artista:”Quello che ho imparato è che … se si lascia al pubblico, possono arrivare persino a ucciderti … Mi sono sentita davvero violata: hanno tagliato i miei vestiti, conficcato spine di rosa nel mio ventre, una persona mi puntò la pistola alla testa, e un altro lo portò via. Si è creato un ambiente aggressivo. Dopo esattamente sei ore, come previsto, mi alzai e cominciai a camminare verso il pubblico. Ognuno corse via, per sfuggire a un confronto vero e proprio.”
Ritmo 2, 1974
La Abramović ideó in due parti la performance Ritmo 2 per incorporare uno stato di incoscienza in una performance. Effettuò i lavori presso la Galleria d’Arte Contemporanea di Zagabria, nel 1974. Nella parte I, che avrebbe avuto una durata di 50 minuti, ingerì un farmaco che descrisse come somministrato a pazienti sofferenti di catatonia per costringerli a cambiare le posizioni dei loro corpi. Il farmaco causò la violenta contrazione dei suoi muscoli e perso il controllo completo sul suo corpo, pur rimanendo consapevoli di quello che stava succedendo. Dopo una pausa di dieci minuti, le fu dato un secondo farmaco, ‘somministrato a pazienti schizofrenici con disturbi del comportamento violento di calmarli’. La performance si conclusa dopo sei ore,quando il farmaco terminò il suo effetto.
Ritmo 4 1974
In questa performance, sempre nella linea di lavoro sui limiti, la Abramović si inginocchiò sola e nuda in una stanza con un ventilatore industriale ad alta potenza. Si avvicinò al ventilatore lentamente, cercando di respirare il più aria possibile per spingere i limiti dei suoi polmoni. Poco dopo perse conoscenza.
Rhythm 5, 1974
Con quest’opera l’artista cercò di rievocare l’energia prodotta dal dolore, in questo caso utilizzando una grande stella intrisa di petrolio, che accese all’inizio della performance : restando fuori dalla stella, l’Abramovic iniziò a tagliarsi i capelli e le unghie di mani e piedi. Terminata ognuna delle operazioni, gettava i ritagli nelle fiamme, creando ogni volta un crepitio di luce.
Nel far questo intendeva rappresentare un concetto di purificazione fisica e mentale, includendo l’ appartenenza politica del suo passato. Al termine di questa purificazione,la Abramovič saltò le fiamme e si distese al centro della stella ma a causa del suo bruciare lì non vi era ossigeno e la performer perse i sensi. Non subito ma qualcuno se ne accorse e dei presenti intervennero, portandola via.
La Abramović più tardi commentò a riguardo: “Ero molto arrabbiata perché avevo capito che c’è un limite fisico: quando perdi conoscenza non puoi essere presente; non puoi esibirti.” (Daneri, 29).
Lips of Thomas, 1975
In questa esecuzione esplora all’estremo i limiti fisici del proprio corpo arrivando, tramite una serie di azioni, anche a superarli.
l’azione diventa più violenta, e culmina in atti di autolesionismo, o piu’ semplicemente masochismo, come l’incisione di una stella a cinque punte che l’artista pratica con una lametta, sul proprio ventre: è un’immagine violentissima e cruda, che rompe una serie di schemi storici tra la performance art e l’ uso del corpo. Il dubbio che tutto valga, pur di restare nella memoria, da questo momento in poi, trova lecitamente posto anch’ esso nella storia della critica.
Il meglio di questa esecuzione è il dialogo, in rapporto diretto tra azione e reazione, fra l’esecutrice e lo spettatore, che non può restare inattivo mentre assiste in prima persona all’azione ed è quindi psicologicamente costretto a reagire. La reazione dello spettatore diventa l’oggetto dell’esecuzione.
1976
Freeing The Body, Freeing The Memory e Freeing The Voice sono un vero e proprio trittico, una serie di esecuzioni in cui Marina Abramović si prefigge il fine di purificare il proprio corpo e la propria mente e di scivolare in uno stato di incoscienza; quindi nella prima muove incessantemente il proprio corpo fino a crollare a terra; nella seconda riprende parole dalla propria memoria fino a non ricordare più nulla e nella terza urla fino a perdere la voce.
Imponderabilia, 1977
In collaborazione con l’artista tedesco e suo compagno Ulay, Marina Abramovič mostra a Bologna presso la Galleria d’ arte moderna la performance. Entrambi sono in piedi, nudi, ai lati di una stretta porta che consente l’ingresso nella galleria. Chi vuole entrare è costretto a passare in mezzo ai loro corpi, decidendo con imbarazzo se rivolgersi verso il lato del nudo maschile o verso quello del nudo femminile.
Questa performance fu replicata diversi anni dopo all’ ingresso di una versione della biennale di Venezia.
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