In alcuni casi lo strumento del cambiamento può essere un assorbente.
Siamo tra l’altro coscienti dell’importanza di usarli: al di là di una piccola sana rivolta avviatasi recentemente, con la quale si rivendica il sacrosanto diritto a non vergognarsi di una macchia di sangue sul pantalone o sul materasso, ci rendiamo tutte conto che nei giorni del ciclo dobbiamo prenderci cura di noi stesse, e che si usi la coppetta o si preferisca l’assorbente viviamo comunque con la consapevolezza che in un modo o nell’altro riusciremo ad affrontare in modo dignitoso e sano la nostra settimana rossa.
Non ovunque questo accade. Ed ecco il caso dell’India, che ci ricorda come prenderci cura della salute riproduttiva parta anche dalle cose più piccole e apparentemente insignificanti o scontate.
Di recente, il 23 Aprile, è stato pubblicato sul sito di Vanity Fair un articolo estremamente interessante che ha rivelato come solo il 12% dei 350 milioni circa di donne presenti in India utilizzino regolarmente gli assorbenti, mentre alle altre non restano che metodi alternativi, tra cui sabbia, cenere e foglie. Si scopre inoltre che la principale motivazione dietro a questa ingiustizia – che rivela ancora una volta come il mondo sia concepito e guardato troppo spesso con occhi maschili anziché femminili – è l’iva al 14% sul costo degli assorbenti. Sono costosi, troppo per una società che fa fatica a comprendere le esigenze femminili e a favorire l’autonomia economica e decisionale delle donne.
In un contesto simile vanno riconosciuti l’impegno e i risultati ottenuti da Arunachalam Muruganatham, imprenditore indiano che ha avviato un’attività volta a produrre assorbenti a basso costo. L’idea alla base era in effetti semplice: cotone idrofilo all’interno e uno strato sottile di cotone intorno, rispettando le dimensioni degli assorbenti normalmente venduti nei negozi. Gli ci sono voluti anni per sviluppare l’idea e renderla effettivamente praticabile, ma alla fine non solo ha contribuito a rilanciare il principio di tutela della salute intima e riproduttiva della donna, ma ha anche creato numerosi posti di lavoro tra le donne, e soprattutto nelle zone rurali dell’India, notoriamente martoriate dalla povertà e da una bassa alfabetizzazione, anche se sempre più coinvolte da preziosi progetti di microcredito.
Perché dobbiamo ringraziare quest’uomo? Prima di tutto perché ci ricorda che una corretta igiene intima durante le mestruazioni è fondamentale per contrastare la diffusione di infezioni e malattie: il 70% delle malattie e delle infezioni contratte dalle donne indiane dipende proprio da una scarsa tutela della salute riproduttiva. E di certo, l’aspetto culturale è decisivo. Una società che induce le donne a vergognarsi del ciclo rivela tutta la sua immaturità. Dover temere di stendere al sole indumenti ancora macchiati di sangue perché logorati dall’utilizzo è inconcepibile, ma non poi così distante dai motivi della protesta che ultimamente ha coinvolto anche l’Occidente. Se si arriva a postare una foto su Instagram per dimostrare che non c’è nulla di male ad avere il ciclo, vuol dire che il mondo non vuol proprio decidersi a mettersi nei panni di una donna. E quindi il signor Arunachalam Muruganatham va ringraziato perché è la testimonianza che un cambiamento può ancora realizzarsi, e che può essere avviato proprio da un uomo. E banalmente lo strumento del cambiamento può essere un assorbente, ma soprattutto il nostro modo di intenderlo e di proporlo. Non posso nascondervi il senso di libertà che provo oggi quando vago tra gli scaffali di un supermercato alla ricerca degli assorbenti, mentre in adolescenza mi sentivo terrorizzata all’idea di esser vista con le mie personali scorte tra le braccia. Occorre cambiare prospettiva su questo tema e sentirsi il più possibile libere dal senso di vergogna che può suscitare. E non si può negare che accanto ad apprezzabili iniziative imprenditoriali a basso costo come quella avviata in India vi sia oggi una profonda speculazione sul tema. Gli assorbenti costano sempre di più, e non stiamo certo parlando di beni di lusso. Come sempre, c’è un sottile confine da non superare. E occorrerà prevenire la lenta trasformazione del diritto in business.