Virginia Fiume ha appena trentaquattro anni ma ne ha già fatte di cotte e di crude
Ha scritto per giornali, coordinato una webtv politica per Radio Radicale, ha contribuito alla stesura di richieste di finanziamento per progetti europei per le arti performative e le politiche culturali. Ha creato il sito di un piccolo network di associazioni per i diritti dei disabili, ha scritto report sui diritti umani in Israele e nei Territori Palestinesi, ha lavorato per una software company per la gestione dei contenuti in real time e per una piattaforma di content discovery. Ha vissuto in Palestina dal dicembre 2008 a settembre del 2009, lavorando come ricercatrice sul campo per un’organizzazione no profit israelo-palestinese, ha già pubblicato due libri, “Voglio un mondo rosa shocking”, un best seller da 40.000 copie e “Manuale per viaggiatori solitari” che raccoglie i consigli testati e comprovati per organizzare viaggi in solitaria e ha viaggiato tantissimo. Ed é in uscita il suo terzo libro.
Nel 2013 Caterina della Torre l’aveva già intervistata per Dol’s ma io non lo sapevo e l’ho contattata di nuovo, questo perché è una donna molto interessante e ricca di risorse umane e intellettuali. E poi perché é una persona molto simpatica, intelligente, creativa e non solo sa esattamente che cosa vuole ma- e questa é la sua grandezza- sa come fare per acciuffarlo. Da poco ha sposato la sua compagna e insieme mi sembrano molto felici, si è sempre battuta senza incertezze per affermare il suo pensiero e la sua identità. E per lasciare che altri affermassero la propria.
In Virginia, detta Gilla, convivono in armonia una razionalità che fa perno su una intuitività molto forte e una creatività ben radicata a terra: i suoi voli -che la portano a mettere orme su terreni spesso inesplorati – non si servono di ali ma di scarpe robuste da viaggiatrice.
Se dovessi dire quali sono gli ingredienti della sua Energia Femminile direi che sa mettersi continuamente in discussione, fino a contraddirsi con gran classe, empatizza con tutti e con tutto, vive di emozioni ma soprattutto é antitetica al Pensiero Lineare. Per arrivare da A a B siamo certi che farà un giretto fino a Z per ripassare attraverso F e, forse , approdare a B. Nell’animo, infatti, è una viaggiatrice e lo è a tutti livelli. Quando cerco di rintracciarla non so se sia a Londra, a Milano oppure in Palestina, non ne ho idea. E forse nemmeno lei.
* Hai vissuto ovunque, cambiando molto spesso città. Perché?
La mia risposta istintiva è: per curiosità. Vivere in posti diversi è molto faticoso, soprattutto se il tempo di permanenza medio è di circa 9 mesi, come è stato il mio fino adesso. Ma per me è un modo di vivere intensamente. Se dovessi usare una similitudine ti direi che è come fare una staffetta di atletica leggera con se stessi. Come in una frazione della staffetta devi riuscire a correre per una certa distanza e farlo al meglio. E a ogni passaggio devi essere sicura che non ti cada il testimone, quel bastoncino di legno che sopravvive a tutte le frazioni. Quel bastoncino di legno è quello che da un passaggio all’altro porti sempre con te, una specie di tesoro prezioso che si rinnova ad ogni passaggio.
*Ma le motivazioni dei tuoi spostamenti sono per lavoro o per sfizio?
Non saprei riassumerti le motivazioni dietro ogni trasferimento. Alcune volte sono state profondamente cercate e volute, come quando ho consegnato a mano la domanda di partecipazione al Servizio Civile Internazionale che mi ha portata in Palestina. Presi un treno per portarla a mano fino a Faenza l’ultimo giorno utile per le iscrizioni. O come quando ho preparato per settimane i materiali per fare domanda alla School of Oriental and African Studies di Londra. Altre volte le cose sono capitate un po’ per caso. Come quando la mia compagna ha ricevuto un’offerta di lavoro a Tenerife e io ho scelto di chiedere alla mia azienda a Londra di poter lavorare in remoto. Ho chiesto, e ho ottenuto. Ma certo non avevo in programma di trascorrere dei mesi alle Canarie.
*Quando hai sentito forte in te l’esigenza di girare il mondo?
Recentemente al lavoro abbiamo fatto un gioco, in 5 minuti dovevamo dichiarare tre date significative della nostra vita. La prima che ho scelto, quasi senza pensarci, è stata l’estate del 2001. Era l’estate della maturità, e l’anno della mia prima vacanza senza genitori (esclusi i campi scout). Andai in Sicilia da un’amica. Quella stessa estate, nel luglio del 2001 ci fu il G8 di Genova, e poi a settembre l’attacco alle Torri Gemelle. Questo incrocio di storia personale e di storia del mondo ha avuto un forte impatto su di me. Credo che sia stato leggendo gli articoli di giornale usciti quell’estate che formalizzai due grandi pilastri di quello che avrei voluto fare da grande: girare il mondo e scrivere. Forse erano stati con me da prima, ma li formalizzai quell’estate dentro di me. Quindi, il come faccio fatica a spiegarlo, ma il perché si trova da quelle parti.
Vivere a Londra, vivere a Milano, quali le differenze?
Per me la differenza principale, quella che mi fa sentire profondamente connessa con Londra, è il suo carattere profondamente internazionale. Nel mio attuale ufficio ci sono persone provenienti da almeno 10 nazionalità diverse, che hanno vissuto in tutto il mondo, che sono frutto delle più diverse combinazioni di madri e padri e nonni. Questa contaminazione costante per me è lo stimolo più grande. Anche se faccio fatica a dire che non tornerò mai a Milano (e in effetti negli anni ci sono tornata per alcuni periodi più o meno lunghi), sono certa che se tornassi a Milano questa interculturalità mi mancherebbe moltissimo.
* Hai scritto in tempi remoti con Rossella Canevari un romanzo che ha avuto molto successo “Voglio un mondo rosa shokking”. Cosa c’era di te allora e cosa c’è di te oggi in quel libro?
C’era sicuramente tanto istinto. Non scrissi il libro perché sentivo la storia bruciarmi nelle vene. Lo scrissi perché una collega del giornale su cui scrivevo ai tempi mi propose di lavorare a un progetto editoriale insieme. Avevo solo 23 anni. E la mia risposta istintiva fu “perchè no?”. Adesso sono molto più consapevole dei temi che a quei tempi trattai in maniera istintiva. Essere donne – soprattutto nel mondo del lavoro – è una sfida. Non importa in che paesi tu viva, per quello che ho sperimentato io, le donne corrono sempre il rischio di dover correre un pochino di più per arrivare agli stipendi degli uomini o ai ruoili più alti nel mondo del lavoro. Non lo dico io, lo dicono le statistiche. Lo dicevano già nel 2006 quando mi scrivemmo il libro, ma ora l’ho provato sulla mia pelle. Non spesso, ma abbastanza per essere sicura che scrivere il libro fu una buona scelta.
Hai già pubblicato parecchi articoli su molte diverse testate. Cosa hanno in comune tra di loro questi giornali? E con te?
Non saprei. Ma direi che nella maggior parte dei casi si tratta di testate che non si limitano alla spiegazione breve, ma che cercano l’approfondimento. Lo è Nòva del Sole 24 Ore e lo era Saturno, l’inserto cultuale del Fatto Quotidiano.
*Quali sono i limiti e i punti di forza del giornalismo oggi ?
Il punto di forza è sicuramente il potenziale accesso alle fonti dirette. La struttura stessa del web è fatta di connessioni, contatti, relazioni, globali e locali nello stesso tempo. Un giornalista se vuole, senza muoversi da casa, può fare ricerche accurate, confrontare più voci, verificare le fonti, compararle. Il punto di debolezza, il limite, è che spesso i giornalisti non sfruttano questo potenziale. A volte per motivi “interiori”, scontrandosi con il “si è sempre fatto così” , a volte per motivi “strutturali”: gli viene chiesto di “produrre” una tale quantità di contenuti in serie, magari pagati due lire, che la cura e l’approfondimento passano in secondo piano.
* Cosa pensi del sovraccarico di informazioni che circolano nel web?
Penso che il problema del cosiddetto sovraccarico informativo non sia tanto nelle informazioni, quanto nel fatto che sia necessario educarsi (o educare, nel caso di chi ha responsabilità formativa) alla gestione delle informazioni, al filtraggio, alla capacità di scegliere quello che è veramente rilevante per noi. A usare bene il tempo che si ha a disposizione. Su questo tema vi consiglio di dare un’occhiata al progetto Slow News. Sono questi cinque giornalisti che mi hanno illuminata a dare un senso a questo tema che fermentava dentro di me da tempo.
*Parlaci del tuo God save the link
Si tratta di un progetto a cui tengo molto. Un format che ho gestito in una prima versione da sola su Periscope e in una seconda versione con la comunitá di Livestreming Italia su Facebook . In pratica con cadenza regolare tenevo delle trasmissioni in diretta social sul tema della comunicazione e dei media, cercando – con un linguaggio non da addetti ai lavori – di segnalare espressioni belle della comunicazione, non solo in ambito giornalistico.
*E il titolo da dove arriva?
Sono particolarmente orgogliosa del titolo: una citazione irriverente della canzone dei Sex Pistols parodia dell’Inno del Regno Unito. Ma anche un elogio a quella che secondo me è l’invenzione più importante della comunicazione nel Ventesimo Secolo: il link. Link è l’abbreviazione di “Hyperlink”, collegamento ipertestuale. In pratica è quell’elemento che permette il rinvio tra diversi contenuti su diversi siti e piattaforme digitali. Grazie al link possiamo condividere un articolo su Facebook, posso rispondere a queste domande e mandarti con pochissimo consumo di testo dei riferimenti a quello che sto cercando di spiegare, magari usando le parole di qualcuno che ha espresso lo stesso concetto meglio di me. Ecco. Il link è una nuova forma grammaticale, molto molto preziosa. Che si basa sul dono che qualcuno fa della sua conoscenza all’umanità. È accessibile, trasformabile, leggero. Nel mio piccolo la mia rubrica voleva dare valore a questi frammenti di connessioni.
*Se tu avessi un ruolo politico cosa cambieresti con urgenza?–
È una domanda difficilissima. Forse io lavorerei a tutte quelle politiche di welfare, di organizzazione sociale, che potessero aiutare a fare in modo che bastasse lavorare quattro giorni alla settimana. Il tempo libero, come lo intendevano gli antichi romani, è la cosa di cui abbiamo più bisogno. E poi – proprio se potessi sognare senza confini – cancellerei passaporti e eserciti.
*Quali sono secondo te le peggiori mostruosità in questi nostri giorni?
Io non riesco a pensare alla gente che muore di fame in Africa. Proprio mi fa stare male. E mi fa stare male il pensiero che se dichiari questa cosa tutti tendono a rispondere con un “Sí, vabbè, la fame nel mondo….”. Questa incapacità che abbiamo anche solo di pensare al problema, a causa della sua stessa immensità, mi spaventa.
*Perché è importante la disubbidienza civile?
Perchè è un modo di combattere l’ingiustizia di una legge senza fare del male a nessuno, ma mostrandone l’insensatezza. Non ho mai partecipato a nessuna disubbidienza civile, ma ho sostenuto e apprezzato molte disubbidienze civili. E ne ho capito il senso, soprattutto grazie ai Radicali. Per spiegare perché secondo me è importante, mi piace usare le parole che ha pronunciato Marco Cappato durante il funerale di Marco Pannella: “Marco non sputava sul palazzo. Non sperava che il potente facesse ancora più schifo per sputare sul palazzo. Marco voleva che il potente facesse meglio, sperava il meglio”
*Hai militato con i radicali, per quali tematiche ti sei maggiormente battuta?
Tutti gli antiproibizionismi: a favore della legalizzazione delle droghe, dell’eutanasia, dei diritti civili. Ora non sono più molto attiva, ma se il voto è la forma più semplice e più difficile di esprimere un’idea di società, non posso che votare chi mette al primo posto l’esercizio della libertà individuale.
*Hai incontrato difficoltà, perché donna, nel mondo del lavoro?
Nessuna difficoltà insormontabile. Per ora. Più che altro ho incontrato cose inspiegabili: come mai nei ruoli dirigenziali nelle aziende ci sono quasi sempre e solo uomini?
*Il tuo matrimonio con la tua compagna, come è stato accolto da chi ti conosce da sempre?
Con tantissimo amore. È stato un giorno meraviglioso. Pieno di amore. Un amore cosí grande e diffuso che non lo pensavo nemmeno possibile.
*Sono tante le donne fuori dagli stereotipi?
Sono molte di più di quelle che pensiamo e soprattutto di quelle che leggiamo. C’è tanto lavoro da fare, ma a volte basta una battuta. Come tutti i cambiamenti, serve sottolineare il problema, ricordarlo, esprimersi liberamente. E se a qualcuno l’espressione del sè altrui non va bene, non serve farsi male al fegato. Ma continuare a esprimere se stessi con un grande sorriso.
Cosa ne pensi del manspleining?
E’ una bellissima parola. Purtroppo difficilmente traducibile in italiano. Ma credo che – e forse rispondo ora alla domanda sulle difficoltà nel lavoro, ma anche in molte conversazioni – rappresenti bene uno dei problemi principali delle donne: affidare ad altri il racconto del proprio pensiero.
*Hai progetti per il futuro?
Vivo il presente. Pensare troppo al futuro mi fa paura e mi mette ansia. Mi ha sempre messo ansia. Poi ho capito che il modo migliore per non avere paura del futuro era pensare dei piccolissimi passi progressivi. A volte cado nella “procrastinazione”, mia moglie si arrabbia quando dico “domani”, ma mi mette di buon umore. Quando ho vissuto in Palestina non sono stata molto brava a imparare l’arabo. Ma una parola resta sempre con me: “Inshallah”. Si traduce “A dio piacendo”, “se dio vuole”. Mi piace come parola perchè mi fa pensare che puoi fare i migliori progetti per il futuro, ma c’è una variabile che sarà sempre fuori dal tuo controllo. Io la chiamo la variabile di Inshallah. E allora preferisco vivere il presente.
*Un messaggio per i giovani della tua generazione e per quelli ancora più giovani
Teniamo le orecchie aperte, e lasciamoci stupire da quello che non conosciamo. Provando a non giudicarlo.
E’ un messaggio che vale anche per noi oversixty! Grazie Gilla!
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