AFGHANISTAN. E’ IL DIVORZIO LA NUOVA ARMA DELLE DONNE
Se rapportato a determinati contesti patriarcali e fortemente improntati a una bieca forma di misoginia, il concetto di divorzio tende ad assumere, per l’universo femminile, una valenza duplice e, paradossalmente, contradditoria: flebile indizio evolutivo da un lato; ulteriore conferma del sessismo vigente dall’altro. E’ sufficiente attingere alla cupa realtà afghana per comprendere quanto quella che parrebbe evocare un traguardo legale possa invece tradursi in una micidiale trappola sociale. Malgrado le incessanti (e talvolta tragiche) lotte emancipatorie che dalla caduta, nel 2001, del regime oscurantista e coercitivo imposto dai Taliban hanno gradualmente trasformato il paese in una fucina di attiviste.
Stanche di subire passivamente abusi domestici a carattere endemico, le donne sembrano aver individuato nella separazione coniugale (consentita del resto dalla stessa religione islamica) l’unica alternativa davvero valida a un’esistenza scandita da rinunce, silenzi e sottomissione.
E’ appunto il caso della neo divorziata Nadia, che pur consapevole delle difficoltà insite nella sua nuova condizione di single, non sembra affatto rimpiangere la decisione intrapresa: “Mi sono semplicemente avvalsa di uno dei tanti diritti che Dio ci ha concesso. Mio marito era un alcolizzato violento e dispotico, così l’ho lasciato dopo 24 mesi di matrimonio, rivendicando la mia libertà“. La 22enne Nafisi invece non è stata altrettanto fortunata: “Mi sono sposata per procura con un conoscente emigrato a Londra. Eravamo fidanzati già da 11 anni; non potevo immaginare che non sarebbe più tornato da me. Vorrei tanto divorziare, ma so a priori che sarà impossibile: lui non acconsentirà mai e io non sono una combattiva “.
Non detenendo (a differenza dei loro spesso problematici consorti) la facoltà di sancire verbalmente lo scioglimento definitivo di un’unione ritenuta scomoda o inopportuna, le aspiranti ex mogli sono infatti costrette ad affrontare un iter giuridico talmente insidioso da scoraggiare persino le più intraprendenti.
“La complessità delle procedure divorzili è conseguenza diretta delle pesanti discriminazioni esistenti nel territorio“, ha osservato Heather Barr, analista dell’organizzazione internazionale Human Rights Watch. “Le afghane che hanno l’opportunità di ricomininciare a vivere stanno diventando un modello da seguire, perchè dimostrano che le nozze non vanno intese come una condanna all’ergastolo. Purtroppo però non è facile trovare un avvocato estraneo ai pregiudizi e alla corruzione che dilagano nelle aule di tribunale; non dimentichiamo poi che essendo il tasso di analfabetizzazione femminile assai elevato, il divorzio è per molte una meta inaccessibile“.
Non a caso è quasi sempre il compromesso (frutto di paziente mediazione tra le parti coinvolte) a prevalere: tanto più che in Afghanistan una donna separata, autonoma e indipendente rischia di ritrovarsi immancabilmente stigmatizzata, se non apertamente emarginata, persino in ambito familiare.
Per ovviare a simili inconvenienti, l’United Nation Development Program ha dunque provveduto a lanciare, nel 2014, il progetto Legal Aid Grant Facility, finalizzato all’assistenza giudiziaria delle richiedenti: il risultato è che in meno di un triennio la percentuale dei divorzi è vertiginosamente aumentata del 12%.