Con tre ristampe nel primo mese di uscita in libreria, articoli sui più importanti quotidiani e un editore, Fazi, che ha in catalogo titoli come 100 colpi di spazzola e Stoner, il nuovo romanzo di Anna Giurickovic Dato, catanese di origine e romana di adozione, ha tutti i numeri per diventare un successo. Soprattutto perché La figlia femmina è un romanzo scritto con maestria, che ti prende dalla prima all’ultima pagina e tratta con naturalezza un tema “contro natura”.
La tua prosa è stata paragonata a quella di Nabokov e di Moravia. Il riferimento ai grandi scrittori è un peso, o uno stimolo a dare sempre di più? Quanto hanno contato, nella tua scrittura, i modelli letterari?
Nabokov e Moravia sono dei maestri assoluti, io un’apprendista. Per La figlia femmina ho lavorato molto su Lolita e su Gli indifferenti. Non solo questi modelli hanno contato molto, ma sono stati necessari per la costruzione del mio personaggio. Prima di scrivere ho bisogno di leggere tantissimo, è la benzina senza cui la penna non va avanti.
Il tuo libro narra, in primo luogo, la storia del rapporto tra una madre e una figlia. E, per il tuo esordio letterario con Fazi, hai scelto di unire al tuo cognome quello materno. Quanto è importante, per te, la complicità tra madre e figlia e, in genere, la solidarietà tra donne?
Il rapporto tra madre e figlia è, per eccellenza, il rapporto più complicato, forte e sofferto. Tutte passiamo quegli anni di identificazione, seguiti dagli anni di rifiuto fino a riavvicinarci al modello materno con la consapevolezza e la serenità di chi ha saputo staccarsi e tornare. Di complicità con mia madre ne ho avuta poca durante l’adolescenza; oggi, forse, abbiamo trovato una comunicazione migliore. Anche la solidarietà tra donne, di cui oggi faccio bandiera, è qualcosa che ho dovuto imparare: superare l’emulazione, l’invidia, la competizione, la misurazione, l’antagonismo, la gelosia per scoprire una dimensione dove non è l’uomo il riferimento e la donna la minaccia. La donna è per me oggi il porto sicuro, la sorella e l’amica.
Hai deciso di trattare un tema “disturbante” (come lo definisce Simonetta Agnello Horby sulla copertina): quello degli abusi sui minori all’interno delle mura domestiche. In questa scelta hanno avuto un ruolo i tuoi studi di Giurisprudenza? Sei in contatto con qualche associazione antiviolenza?
I miei studi hanno avuto un ruolo, ma minore rispetto alle mie passioni: la criminologia, la psicoanalisi. Il mio non è, tuttavia, un libro ‘sociale’. Nasce da ispirazioni di natura puramente narrativa, se riesce trasversalmente ad avere un impatto sociale posso ritenermi più che soddisfatta. Ho avuto contatti con associazioni antiviolenza, soprattutto in fase di stesura per raccogliere testimonianze.
Maria, la ragazzina protagonista del tuo romanzo, manifesta il trauma dell’abuso attraverso i disegni, l’insonnia, l’allontanamento da scuola, amici e famiglia. Cosa consiglieresti a un’adolescente nella sua situazione?
La denuncia in primis, cercare l’aiuto degli specialisti, non credere in una propria colpa, non provare vergogna, ma trovare il coraggio di affrontare il trauma.
Ritornando alla copertina de La figlia femmina, so che ha una storia…
È un quadro di Balthus, pittore visionario e ‘scandaloso’, che fu più volte accusato di pedofilia e pornografia a causa dei suoi molti quadri raffiguranti adolescenti sensuali e poco vestite.
La famiglia di Maria vive a Rabat; dopo la morte del padre, si trasferirà a Roma, che è la tua città. Cosa ti ha spinto ad ambientare in Marocco la prima parte della narrazione?
Il Marocco è un regalo: la mia migliore amica che, come me, si è trasferita a Roma da bambina, prima viveva a Rabat. Rabat è anche spezie, colori, bottegai incantevoli, digiuno e festeggiamenti pieni di folklore. L’ambiente caldo e variopinto dove ambientare una storia terribile, smorzandone per contrasto i suoi toni più neri.
Il tuo romanzo mostra una maturità emotiva e stilistica non comune alla tua giovane età. Recentemente, hai affermato che “chiunque dovrebbe fare una psicoterapia”. Il tuo cammino personale in tal senso e le tue letture nel campo della psicanalisi hanno influito, in qualche modo, sul tuo percorso letterario?
Certamente sì: la mia esperienza letteraria è il frutto delle mie letture psico-orientate. Io stessa sono stata accompagnata per anni da una psicoanalista e questo ha certamente influito sul mio modo di leggere le persone e gli eventi.
Nel 2012, a soli 23 anni, hai ottenuto il primo posto al concorso “Io, Massenzio’” al Festival Internazionale delle Letterature; nel 2013, sei stata finalista al “Premio Chiara Giovani” con il racconto Ogni pezzo di sé. Pensi che i concorsi letterari possano contribuire a spianare la strada agli autori?
I concorsi letterari, ma solo alcuni e i più importanti, possono certamente attirare l’attenzione degli editori su di sé. Non posso dire che questa sia la mia esperienza, perché sono andata a bussare sulla spalla dell’editore al Salone del libro di Torino nel maggio 2016. Certamente, però, è d’obbligo per chi vuole ricevere feedback, migliorare, raccogliere risposte di lettori e, perché no, di un editore curioso.
Progetti per il futuro, letterari e non?
Progetti, tanti: un cartone animato, un nuovo libro su temi diversi ma altrettanto scabrosi, la tesi di dottorato e un lungo periodo all’estero. Forse, anche un film.