Quando muoio lo dico a Dio, storie di ordinario estremismo. ” 20 anni trascorsi a raccontare guerra, a vivere il mondo musulmano, ebraico e cristiano”
Non è uno dei soliti temi di cui parlo. La mia vita è fatta di storie, guerre, dichiarazioni, viaggi, andate e ritorni. E poi di scrittura.
Tutti i libri precedenti parlavano di persone, vite che sentivo la necessità di scrivere perché non trovavano spazio sui giornali che mi pubblicavano. Era un po’ mettere assieme dei tasselli. Poi solo pochi giorni fa, fresco fresco di stampa, è arrivato Quando muoio lo dico a Dio, storie di ordinario estremismo. Non è come nulla che abbia scritto prima. O forse sì, parlo sempre di persone e di storie, ma per me in modo completamente diverso. Da una parte perché sono storie rimaste ferme per anni, nelle quali mi ci sono imbattuta più personalmente che professionalmente e dall’altra, non essendo un’esperta di religioni, mi sembrava un po’ presuntuoso parlarne.
Ho dovuto convincermi, prima di mettermi a scriverle. O forse, è stato il ricordo di queste tre persone che si raccontano ad avermi costretto a farlo. Di 20 anni trascorsi a raccontare guerra, a vivere il mondo musulmano, ebraico e cristiano in prima persona e da individuo non religioso ma rispettoso, ho forse raggiunto il momento che mi permette di sedermi e dare voce a tre vittime dell’estremismo religioso. E il punto è il radicalismo, per prima cosa, per me rappresenta il male, qualsiasi forma di estremismo, che sia politico, ideologico o religioso, non funziona. Devasta, uccide, spegne l’umanità. Per seconda, è che vivo la sensazione che ci sia una sorte di campagna, forse inconscia dei media occidentali, contro i musulmani, che hanno la loro percentuale estrema che siamo costretti ad affrontare ogni giorno, ma ce l’hanno anche le altre religioni monoteiste. Magari sono più silenziose, meno coperte dai giornali, ma anche se una storia non la conoscono tutti, non significa che non stia accadendo. Non c’è un buon estremismo. Quando si supera il confine del buon senso, dei diritti e dei doveri, quando in nome di Dio si va contro la persona, diventa il male. Che si tratti di una bambina violentata scomunicata da un vescovo che non vuole che abortisca, quando si tratta di un musulmano che si fa esplodere in nome di Dio in un ristorante, quando un ebreo ortodossa sputa in faccia ad una donna che ha un po’ di scollatura.
Quando l’uomo perde, Dio non vince. “Quando muoio lo dico Dio”, secondo la leggenda è la frase detta da un bambino siriano ferito da un bombardamento, era il titolo perfetto per il mio libro. Per celebrare tutte le vittime soprattutto quelle più giovani, schiacciate dalla guerra, ma anche perché se un Dio esiste, sarà solo lui a giudicare le vite di quelli che ritiene i suoi figli. Tre storie dunque, quella di una ragazza musulmana che voleva sposare l’uomo che amava e non piaceva alla sua famiglia, quello di un ragazzino ebreo ultraortodosso che voleva ballare la salsa, e quella di un cristiano omossessuale costretto dai genitori ad andare in un centro per la riconversione ad etero. Da una parte delle persone, dall’altra quello che la società vuole che uno rappresenti in nome di Dio.
La maggior parte dei giovani come in questo caso, si adeguano, trovano soluzioni accettabili, ma a volte la vita diventa troppo pesante e ci si può solo lanciare contro quel muro sociale che ci circonda e abbatterlo, qualcuno sopravvive e si ricostruisce, altri soccombono, non ce la fanno, ma l’ultimo attimo della loro esistenza, sarà esattamente come avrebbero voluto vivere sempre: liberi di essere se stessi.