Ha iniziato come grafica pubblicitaria e poi, all’Accademia di Brera, si è innamorata dell’acquerello, dei gessetti, dei pastelli e dei colori ad olio, trovando in ognuna di queste tecniche le sue occasioni di crescita e di trasformazione. Perché Renata Picchi è un’ artista- che preferisce essere soltanto definita “una creativa”- a tutto tondo, di quelle che non separano l’arte dalla vita, visto che l’arte ce l’ha nel sangue.
Una delle caratteristiche di noi donne é la tendenza ad essere “Una”, a non separare quello che siamo da come ci mostriamo né il nostro sentire nella vita privata e nel nostro lavoro. E’ dell’energia del Femminile, presente in uomini e donne, non mettere confini, non separare ma unire. Appare chiaro in ogni mia intervista sull’eccellenza del Femminile che potete leggere qui. Appare chiaro anche in Renata Picchi tra mostre personali, concorsi vinti e premi ricevuti, ha continuato a lavorare su di sé, oltre che sulla tela. Con l’acquerello ha affrontato la sua tendenza ad avere ripensamenti, esercitandosi sulla trasparenza e sulla leggerezza, nel foglio come nella vita. Lavoro che è continuato con i gessetti, usati a lungo per il nudo, grazie ai quali ha imparato a non ritornare troppo spesso sui suoi passi, se non per cercare e trovare le luci. Cosa c’è di più bello, a livello esistenziale, che saper cambiare idea e vedere finalmente quello che prima pareva tutto in ombra? E poi finalmente con l’olio ha potuto indulgere sui suoi ripensamenti ma dopo averli meditati perché quella dell’olio è una tecnica che richiede pazienza, bisogna aspettare che asciughi per permettersi ripensamenti. E Renata, donna dal cuore grande e dalla mente attiva, ha imparato a calibrare istinto e razionalità grazie alla sua arte . Per non parlare poi dei suoi piccoli “giardini zen”, ottenuti raccogliendo rami nei boschi, sabbia nel deserto e lungo le coste, sassi sul fondo del mare.
Generosa, entusiasta, travolgente, in lei l’Energia del Femminile trabocca nella sua affettività , nell’accoglienza, nell’ascolto e anche nella sua umiltà di fronte a quanto crea. In Renata non si legge potere : nel suo silenzioso ma costante cammino tiene tra le mani, oltre ai pennelli, ai gessetti e ai pastelli, anche lo scettro della sua potenza perché non ha rinnegato la sua natura di artista ma l’ha cavalcata per una vita intera. E così Renata con i suoi quadri, con le sue opere di assemblaggio, con i suoi collages e con la sua presenza sa arrivare al cuore delle persone. Ogni angolo della sua casa é un inno alla sua creatività, una danza di bellezza, un invito nel suo sogno e in ogni sogno di chi, stupito, si immerge n quel tripudio di forme e di colori. I suoi vulcani, tema attualmente ricorrente, sono il simbolo della sua ricerca di fusione con la natura, per conoscerla e per conoscere, attraverso la materia rappresentata e ricostruita con il colore, il senso della vita. L’arte non é per lei pura rappresentazione ma, prima di tutto, conoscenza, veicolo di immersione in quella nostra parte che sa e che continuamente ci parla. A Renata Picchi questa sua parte depositaria di coscienza e conoscenza parla attraverso il percorso per portare a termine ogni sua opera.
*Cosa significa per te dipingere?
Dipingere è tutto:essere soli in mezzo al tutto. Meditare e avere mille idee. Costruire dal niente e dare casa a tutti. Regalare e aprire porte, provare felicità nel dono e se vedo negli occhi di chi guarda pensieri, ricordi, sorrisi, so che ho raggiunto l’obiettivo di condivisione. Chi ha avuto un dono deve restituire, altrimenti si perdono i significati.
*Come vivi il rapporto con la tua arte?
Quando mi immergo nel mio studio, tra tutti i miei colori, pennelli, trapani, sassi provo una sensazione di gioia, mi sembra di tornare bambina e di avere un mio luogo segreto dove l’accesso è proibito ai curiosi, perché è intimo. Sono fortunata ad avere questa opportunità, potermi esprimere senza usare parole ed arrivare al cuore delle persone. Non penso a cosa penseranno gli altri, penso a cosa penserò io quando avrò concluso quello che sto creando.
Quali sono i punti chiave del tuo lavoro artistico?
Bellezza, armonia , equilibri e sincerità. Anche se decido di affrontare un tema molto reale come un vulcano, non potrei descrivere un vulcano come è, devo farlo come lo sento, per cui sarà sì una montagna, avrà anche il fuoco, la lava, il magma, le ceneri ma il taglio deve essere speciale,come se noi potessimo avvicinarsi a lui così tanto senza averne paura, ma rispettosi, forse anche entrare per essere travolti da quell’impeto. Così ne scompare il profilo, appare solo il vortice della materia. Se ci riesco, da allora parte la voglia della condivisione,perché se piace a me, credo che possa piacere anche ad altri. E’ questo che mi interessa, non penso mai al vendere..
Ecco, i vulcani.. appena entrata nel tuo atelier sono rimasta colpita dai tuoi giganteschi vulcani. Perché i vulcani?
A una meta si arriva dopo varie tappe. Avevo dipinto il mondo naturale in tutte le sfaccettature, per cui dopo fiori, tronchi, alberi, paesaggi, montagne, il vulcano è la montagna sacra. Mi affascina questa vetta, tronca, bianca di neve, nera di fuliggine, rossa di fuoco, grigia di ceneri, il rosso che si trasforma in nero, leggerezza e violenza, sabbia e roccia, silenzio e fragore. Tutto c’è poi non c’è più. Non credo che finirò mai di studiare questi comportamenti , metafore della nostra vita. Calma e poi rabbia, furia distruttiva ma allo stesso tempo fertilizzante per una terra che dà dei prodotti ottimi.
*Qual é per te il valore sociale dell’arte?
Quello del ruolo sociale dell’arte non è un tema che io mai abbia affrontato profondamente, tranne in una personale di nudi e devo dire che non è stato apprezzato se non da pochissimi. E pensare che io ne ero così orgogliosa! il titolo era “Giuditta e le altre”. Avevo esposto una serie di pastelli fatti nell’aula di nudi alla Società degli Artisti e Patriottca di Milano. Mi sembrava anacronistico negli anni duemila esporre nudi, così pensai di fare un lavoro complesso mettendo una donna con burka al centro della tela, affiancata da tante donne velate in vario modo secondo la loro cultura, con un fondo dorato, insomma una rappresentazione moderna di un’icona, dove la Madonna fosse una donna del 2000 ma non nella cultura occidentale. La mia domanda era : cosa provate a vedere il corpo esibito e il corpo celato totalmente? Siete più a disagio sentendovi “guardoni” o “spioni” per indovinare le forme di un corpo che ci deve essere ma sembra non ci sia? Pensate sia giusto che una donna accetti o scelga di non essere visibile? A me sembrava un bel tema, in più avevo scelto un brano del filosofo Galimberti diceva così:”Non bisogna temere la differenza perché è solo attraverso di essa che possiamo crescere come persone” Risultato della mostra?” Bravissima,sono splendidi, ma lascia stare questi discorsi”
*Direi che hai raggiunto quello che volevi, ti sei resa conto della difficoltà di cogliere il senso sociale dell’arte! E tu cosa hai cercato e cosa hai trovato nel rappresentare l’umano?
Al nudo ho dedicato più di undici anni di studio. Di modelle ne ho viste tante, solo una volta ho disegnato un uomo, perché i modelli in Italia non ci sono, difatti era inglese. Per me è senz’altro preferibile disegnare una donna, l’uomo lo puoi disegnare se fai un puro studio anatomico, ammesso però che abbia dei bei muscoli, non come il nostro etereo giovinetto english! Ma la donna è un’interprete! Giuditta e le altre, Ivana, Federica. Sonia, ognuna aveva la propria personalità, la propria morbidezza, il proprio narcisismo o il proprio pudore. Studiavo i loro pensieri mentre erano immobili per quarantacinque minuti e ho ben capito anche come spesso tra gli uomini e le donne ci siano diversi atteggiamenti. L’uomo pretende che stiano fermissime perché per lui è una donna oggetto, pagata per questo, in noi donne c’è invece complicità, c’è tolleranza, c’è tenerezza per la fatica mal ripagata.per la fatica mal ripagata.
*La tua prima personale, però, è stata “Viaggio nel cuore delle piante“. Lì l’umano non c’era..
Nel 1998 non ero più giovane e dipingevo da almeno trent’anni, così mi decisi per una personale che raccontasse e offrisse tutto il mio viaggio. Avevo studiato il progetto a tavolino nei minimi particolari del percorso che volevo che i visitatori facessero per vedere gli inizi e dove fossi arrivata e attraverso cosa. E’ stata la personale che più ho amata e che ha avuto molto successo perché tutti capirono che l’amore per il mondo dei fiori e delle piante era talmente profondo da poter dare emozioni anche a chi guarda molto, ma spesso non vede. Mi sentivo come un’ anatomopatologa che studiava con la lente cortecce, bacche, foglie, tronchi, tutto, tutto nelle migliaia di sfumature delle meraviglie che ogni giorno scopriva . Insomma, una Alice adulta gioiosa e sorpresa.
*Come avevi allestito questa mostra, raccontaci..
Nello spazio di circa cento metri quadrati avevo persino attaccato al soffitto una serie di diverse misure di bambù, come a formare un grosso flauto di Pan e vicino un piccolo bambù col quale tutti potevano suonare, per sperimentare non solo con la visione ma anche con l’ascolto ciò che le piante regalano. Avevo unito tavoli fino ad arrivare a più di tre metri, tutti con cassette a divisori, colmi di mille semi,bacche,muschi,licheni,un prato non da calpestare ma da osservare. Tutta la mostra era non tanto per far vedere i miei quadri o le gigantografie(usavo il tele da 100 per lo studio delle cortecce), ma perché i distratti si stupissero di quello che hanno a portata di mano. La mia più grande soddisfazione è stata quando un amico mi disse alla fine del percorso:”Renata, è così bello, che mi viene da piangere”
*Tu crei opere molto grandi ed altre minuscole. Cosa cambia in te lavorando sulle une e sulle altre?
Sembrerà incredibile,ma l’impegno e la difficoltà non cambiano. Non ho mai fatto opere grandissime, al massimo di due metri: la gestualità ,quella sì, è diversa, è ad ampio raggio e richiede molta attenzione che il colore usato all’inizio della pennellata non arrivi trasformato, diverso alla fine, cosa che accade spesso, per cui bisogna ripetere. L’impatto del finale è che si riesce ad entrare anche fisicamente nell’opera, a farsi avvolgere, a viaggiare dentro quei meandri e a sognare un mondo che si impasta con quello dell’opera. Un regalo. In fondo i quadri sono gesti d’amore.
*E quando crei opere piccolissime cosa succede?
Il piccolissimo riguarda esclusivamente la tecnica del collage. Direi che in questo mi diverto molto. Punto alla fantasia totale, a una libertà”guidata”perché ci vuole gusto, senso del colore,della composizione, del ritmo. A volte per fare un collage sudo un pomeriggio e ho tre tavoli pieni di ritagli, ma quando ho trovato i pezzi giusti,mi sento bene, persino bella!
*Ho visto opere con colori vivaci e brillanti, altre piene di luce, altre con colori più cupi. Che rapporto c’è tra l’uso del colore, i diversi periodi della tua vita e i tuoi stati d’animo?
Quando ho vissuto momenti tragici, dipingevo fiori fiori fiori, quando le burrasche si sono attenuate solo in maree, ho pensato al paesaggio. Campi larghi,colori tenui,terre,colori delle terre toscane, parte delle mie origini. Prima dell’intervento al cuore non tolleravo nell’abbigliamento il rosso, né lo usavo volentieri nella pittura. Poi è successo il contrario. Ora il rosso ce lo metto dappertutto, è come se un fuoco fosse sopito senza riuscire ad esplodere, poi, chissà, quell’apertura del torace ha liberato quei flussi silenziosi ma presenti…sì, mi piace pensare così.
*Hai vagato e vaghi dall’iperrealismo all’astrazione..
Ho fortemente voluto imparare a disegnare bene, pur avendo già fatto una ricerca astratta. Mi sembrava, dopo il diploma di grafica pubblicitaria, di aver corso troppo. Facevo coi compagni del primo anno di Brera, già delle collettive, per strada, sul Naviglio, in Brera stessa, e io portavo sempre dei fiori ma con una tecnica di monotipo, molto alla Pollock: un dripping su un foglio, un’impressione del foglio su un fondo preparato a écoline su un cartone. Gestualità casuale con dei buoni risultati: un bel giochetto, ma mi sembrava di essere poco onesta. Così dopo sei anni di disegno e pittura figurativa ho provato tante tecniche ma per una libertà totale, l’astrazione è quello a cui sono approdata. Forse se un amico intenditore e collezionista non mi avesse detto: “Perché non provi con l’astratto?”, chissà, forse ci sarei arrivata ancora più tardi. Il mio vero obiettivo è arrivare alla fine di un lavoro dicendo “finito”. Vuol dire che non ci sono dei dubbi o incertezze sul come si poteva fare meglio: questo deve accadere sempre, sia che disegni una mano, sia che dipinga un paesaggio, sia che costruisca un giardino zen e così via.
*Usi molto la materia e la trasformi…
Diciamo che non capisco come una persona possa fare tutta la vita la stessa cosa.. Pittura,scultura,creare situazioni materiche, tutto è magnifico se lo puoi fare! La materia esiste e tu la rendi duttile sotto le tue mani, interpretandola. Un ramo lo faccio rivivere, lo prendo secco e lo rendo protagonista di una nuova storia e questo vale per i sassi del mare che sono lucidi ma lontani dall’acqua tornano opachi, allora io spruzzo il flatting, li metto vicino a delle sabbie del Sahara, a un ramo dei boschi di Cervinia e tutto torna a riunirsi in un mondo nuovo.
*Quali sono le tue fragilità?
Sulle mie fragilità c’è da dire molto!! Renata=fragile, sono la stessa cosa. Da piccola lo ero, da adolescente lo ero, da adulta lo ero e da anziana ho la sensazione di esserlo ma non ho così paura della mia fragilità come l’avevo prima. Io dico sempre di me che ho un equilibrio precario, basta poco per farmi uscire dal piccolo nirvana che mi sono conquistata con terapie e esercizi di Qi Gong,Tai Chi e di altre varie discipline orientali. Però ora c’è un’accettazione affettuosa, mi coccolo e mi faccio i complimenti perché sono sopravvissuta a degli uragani che mi hanno investito ma come un bambù mi sono solo piegata, non mi sono spezzata come sarebbe successo a una quercia!.
*Come vivi il tempo che passa?
Il tempo che passa lo accolgo con accettazione, inutile fare diversamente. In genere attribuiamo un concetto negativo, “non abbiamo tempo, non è più il tempo di…”e così via. Invece mi sembrano delle banalità da non esternare. Certamente è vero tutto questo ma non è il caso di farne un argomento di conversazione. Io sono grata, invece, al tempo per avermi trasformata in meglio. Non vorrei tornare alla Renata dei vent’anni assolutamente! L ‘estetica è cambiata in peggio, vedo le trasformazioni con malinconia perché non riconosco quel viso e quel corpo che sembra non mi appartengano ma se penso alla fatica per credere alle mie capacità o al pensiero di valere qualcosa, non vorrei tornare a quegli anni.
*E nei tuoi vecchi lavori di un tempo oggi ti riconosci ancora?
Quello che era all’inizio non può essere nel dopo. Non mi riconosco nei vecchi lavori, c’è affetto, vedo i teneri e ingenui inizi ma quel periodo non tornerà, neanche lo volessi. I miei quadri sui doppi fiori me li chiedono per comprarli ma io non posso più dipingerli, si parla di venti anni fa! Con questo a me piacciono ancora ma mi annoierei nel riproporli.
Tu dipingi, il tuo compagno Filippo Massara si occupa di musica e di suoni. Creatore, tra l’altro, delIl GREMBO ARMONICO, un modo nuovo di vivere la gravidanza e la vita prenatale e di progettare il futuro del bambino attraverso la musica e il suono. Il tuo e il suo sono due mondi paralleli o due mondi che s’intersecano e si impastano l’uno nell’altro?
La vibrazione unisce i due mondi, colore e suono sono frequenze. Io dipingo ascoltando musica perché soprattutto Bach mi dà un equilibrio e mi “resetta” come un computer fuori uso. Filippo si occupa del suono da settanta anni e disegna immerso nella musica. Lui mi ha fatto ascoltare tanto, io sono stata assorbita dalla sua passione e conoscenza profonda di questo mondo che mi era marginale, anche se non sconosciuto. Non ci sono differenze, solo completamento..
*E, dopo averci fatto conoscere l’artista Renata Picchi, presentaci Renata mamma..
Ci vorrebbero due interviste! Come madre ero troppo giovane, inesperta, direi totalmente impreparata, anche se convinta del contrario. Ho fatto quello che ho potuto, lo dico sempre a mia figlia con la quale ho avuto rapporti burrascosi, merito pietas, come si dice in modo non corretto ma esplicativo, “non si nasce imparati”. Forse i figli avrebbero bisogno di genitori patentati, oltre che amorevoli! Ora che mia figlia è madre,credo che mi capisca molto di più. Non è stato facile rimanere vedova a 36 anni con una bambina di 12,anche questo va capito.
+E Renata compagna?
Sono fidanzata da 33 anni con Filippo. Non viviamo insieme perché io temo la convivenza come la causa della fine di un rapporto, ciò non toglie che l’unione sia così salda che molti invidiano la nostra capacità di sopportazione, di interessi e sogni comuni, di voglia di cose belle e di progetti. Per entrambi la vita deve essere e concetto della vita che deve essere CURIOSITA’. Se manca quello la vita si spegne.
*E infine, prima di salutarci, presentaci Renata amica..
I miei punti di forza come amica a volte sembrano un difetto! Mi dicono che io sono troppo aperta e disponibile per tutti, per questo ho mille amici. Mio padre mi chiamava “l’avvocato delle cause perse”. Il detto di Oscar Wilde ”L’amico è colui che sa tutto di te e nonostante questo ti vuol bene”, mi calza a pennello. Vorrei avere il mondo amico. Non amo le discussioni, le alzate di voce e le separazioni, però mi è capitato di troncare delle amicizie perché certe persone mi facevano male e io mi voglio abbastanza bene per desiderare il meglio. Non voglio essere inquinata dalle negatività. Chi mi vuole mi avrà, io dò, se non ricevo mai, pazienza, mi dico che è un problema loro ma se mi fanno del male chiudere mi fa stare benissimo!
Grazie Renata, ora chiudo ma con un grande abbraccio di gratitudine!
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