Le ultime novità in termini di contrasto alla violenza contro le donne, tra cambiamenti significativi, nuovi progetti europei e criticità che richiedono la giusta attenzione e la capacità di ascoltare tutte le parti coinvolte.
In tema di violenza contro le donne indubbiamente occorre ancora fare tanto, soprattutto in termini di sistema e di interventi strutturali, non più emergenziali. In quest’ottica si sta lavorando a livello di dipartimento delle pari opportunità. Vedremo i risultati del nuovo piano d’azione nazionale contro la violenza sessuale e di genere.
Tanto dovrà essere fatto in termini di prevenzione e interventi sulla cultura che alimenta e giustifica la violenza. Tanto dovrà essere fatto in termini di formazione di tutti i soggetti coinvolti. Tanto soprattutto in ottica di informazione sulle modalità e sui supporti per uscire da una situazione di violenza.
Al contempo registriamo gli sforzi della Polizia di Stato per ottimizzare approcci e interventi. Già attivo in prova dal 20 gennaio, è stato introdotto il protocollo “Eva” che ha messo insieme una serie di linee guida per gli agenti delle volanti e per quelli in sala operativa, che a distanza coordinano e gestiscono tutti gli interventi. Si tratta di attuare una standardizzazione degli interventi per tutte le Province e anche a livello di interforze. È prevista anche una banca dati sulle aggressioni negli specifici domicili, “per permettere agli agenti della Polizia di Stato di sapere se in passato vi siano stati altri episodi di violenza in un determinato contesto familiare e per tenere sotto controllo le situazioni più rischiose anche in assenza di formale denuncia.”
Il protocollo “Eva” è stato ideato e sperimentato nell’Ufficio prevenzione generale e soccorso pubblico (Upgsp) della Questura di Milano, oggi è operativo in tutte le Questure d’Italia. “Eva” si fonda su due strumenti per tutelare le vittime: l’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare e l’arresto obbligatorio in caso di maltrattamento o atti persecutori, per cui si deve verificare una reiterazione delle condotte violente. È previsto un apposito modulo in cui verrà indicata la presenza di ingiurie, minacce, molestie e percosse ma anche di eventuali suppellettili danneggiate o di lividi e ferite che ha portato all’intervento della Polizia. Nel caso in cui la vittima non voglia parlare o minimizzi vengono raccolte le dichiarazioni di eventuali testimoni. Tutte le informazioni confluiscono in un database a disposizione degli agenti e potranno essere una base utile per una eventuale azione dell’autorità giudiziaria. Si sta iniziando pian piano a capire che la donna va protetta e che l’approccio pacificatore è deleterio e molto pericoloso. Purtroppo continuiamo a registrare episodi in cui il sistema di protezione della donna non funziona, non si riesce a intervenire tempestivamente, non si fa nulla quando il violento esce dal carcere, si sottovalutano i segnali di pericolo, le donne finiscono col restare sole. Non è sufficiente l’azione dei centri antiviolenza senza una efficace attività di rete che coinvolga più soggetti.
In Lombardia il 28 aprile è stata deliberata (Delibera X-6526) l’istituzione di un Albo regionale dei centri antiviolenza, case rifugio e case di accoglienza, che è condizione necessaria ma non sufficiente per accedere ai finanziamenti. A dicembre 2016 era stato approvato l’Osservatorio regionale antiviolenza O.R.A. che possiede un sistema di raccolta dati che prevede l’utilizzo del codice fiscale, l’apertura del fascicolo donna e l’attribuzione di un codice donna. I dettagli li trovate nella delibera 19 dicembre 2016 – n. X/6008 (Delibera X-6008 da pagina 20 in poi).
Il 31 maggio è stato approvato in Commissione sanità il parere sulla proposta di istituzione dell’Albo regionale dei centri antiviolenza, case rifugio e di accoglienza, che attende ancora un altro passaggio in giunta per l’approvazione della delibera definitiva. Non sono stata in grado di reperire il documento in questione, ma emerge da questa nota una definizione dei requisiti per i centri già operativi e quelli di nuova istituzione: per i primi è necessario aver indicato nello Statuto l’impegno prioritario nel contrasto alla violenza sulle donne o una consolidata esperienza di almeno 5 anni; per i nuovi, oltre al requisito relativo allo Statuto, è richiesto che tutti gli operatori (sì, il solito maschile neutro) abbiano tre anni di esperienza continuativa maturata nei centri già esistenti.
Inoltre si chiede che si rispetti la clausola, prevista dalla Conferenza Stato-Regioni, sull’impiego prioritario di personale femminile adeguatamente formato.
La Rete lombarda dei Centri Antiviolenza che fa capo a DIRE ha preso posizione il 6 giugno per evidenziare i punti su cui non concorda e ciò che risulta in contrasto con quanto stabilito dalla Convenzione di Istanbul e dall’Intesa Stato Regioni del novembre 2014. In gioco ci sono aspetti molto delicati sulla gestione dei casi, sulla composizione dell’albo, sul personale operativo, sui protocolli, sulle modalità di funzionamento del sistema O.R.A.
Qui il comunicato dettagliato della Rete lombarda.
Ragioniamo e cerchiamo di trovare una mediazione nell’interesse prioritario delle donne. Massima attenzione ai centri “furbi” creati ad hoc per intercettare fondi, ma occorre non fare di tutta l’erba un fascio, ci sono tante buone pratiche, da non scartare a priori e da valorizzare anche se non rientrano pienamente nelle regole in modo ortodosso. Restiamo in ascolto e in dialogo. Non sempre la realtà è come viene rappresentata, c’è bisogno di correttivi e di miglioramenti senza ombra di dubbio, perché non sono sempre tutto funziona nel segno dell’efficienza e al servizio delle donne. A me non piacciono gli “a priori” sia pro che contro, occorre lavorare in modo sinergico per arrivare a una gestione condivisa.
A livello europeo si lavora per migliorare il sistema di monitoraggio, per cercare di razionalizzare la base dati per inquadrare il fenomeno.
L’EIGE, l’istituto europeo che si occupa di uguaglianza di genere ha introdotto un importante tassello, spesso sottovalutato. Per analizzare il fenomeno nella sua pienezza occorrono urgentemente dati più affidabili e comparabili per garantire che le risposte politiche alla violenza siano il più efficaci possibile. Pertanto è nato un nuovo progetto che mira a migliorare la disponibilità, la qualità e la comparabilità dei dati raccolti dai servizi di polizia e dal sistema giudiziario sulla violenza intima del partner e sugli stupri.
I dati amministrativi aiutano a portare in evidenza casi di violenza che altrimenti potrebbero non essere rilevati o incrociati. “Se una donna va alla polizia per segnalare che è stata violentata, il reato dovrebbe essere registrato. Poi se la questione va in tribunale, il sistema giudiziario dovrebbe registrare il caso e il risultato. Questi tipi di tracciamento sono quelli che chiamiamo i dati amministrativi. Essi forniscono una migliore comprensione della domanda di servizi da parte delle vittime, della risposta da parte della polizia e della giustizia e l’efficacia delle misure di prevenzione e di protezione “, ha spiegato Barbora Holubova, ricercatrice sulla violenza di genere presso l’EIGE.
Resta poi problematica la differenza tra i vari sistemi di raccolta dei dati amministrativi nei Paesi europei. Vengono raccolti in misura diversa e in modi diversi, per cui spesso mancano le informazioni importanti, come la relazione tra la vittima e l’autore, cruciale per individuare i casi di violenza intima del partner. Sono differenti anche le definizioni di violenza in ogni paese, rendendo difficile la comparazione dei dati in tutta l’UE. Ad esempio, solo cinque Stati membri si riferiscono alla violenza intima del partner quando descrivono la violenza all’interno di una relazione. In 10 Stati membri si utilizza la parola «violenza domestica» e il termine «violenza familiare» o «violenza in famiglia» viene utilizzato in altri 12 Stati membri. Queste informazioni vengono spesso raccolte in modi diversi: alcune fonti di dati amministrativi contano solamente i casi risolti (Svezia), mentre altri contano ogni episodio (Germania).
Migliori e più completi sono i dati delle segnalazioni di violenza raccolti, maggiore sarà la loro affidabilità nel fornire un quadro del fenomeno. Molte donne non denunciano la violenza perché c’è ancora molta stigmatizzazione sociale. C’è il rischio di non essere credute e di essere ritenute colpevoli o responsabili della violenza. Queste situazioni non fanno altro che ridurre la fiducia nella polizia e nella giustizia.
L’EIGE sta organizzando incontri con tutti gli Stati membri e le autorità nazionali responsabili della raccolta di dati sulla violenza contro le donne. Dopo aver discusso i punti deboli e le sfide, l’EIGE proporrà raccomandazioni specifiche per ciascun paese, sulla base del loro sistema legislativo e giudiziario. Le raccomandazioni mirano a migliorare e ad armonizzare i metodi di raccolta dei dati e ad assistere i paesi con i loro obblighi di reporting periodici (Eurostat e per i requisiti di segnalazione ai sensi della direttiva sui diritti delle vittime e della Convenzione di Istanbul).
È importante che ci sia un impegno costante per migliorare strumenti e modalità per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere, restando sempre dalla parte delle donne.
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