Women on bord, bilanci, prospettive e rilancio in una interessante tavola rotonda sulle quote rosa.
FIDAPA – 1 – 19 giugno 2017
Esiste una legge molto importante che ha introdotto le quote di genere nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali di società quotate e società pubbliche. È la legge Golfo Mosca, (On.li Lella Golfo e Alessia Mosca) la 120/2011 la quale ha previsto per le società quotate e per quelle a controllo pubblico che, a partire dal 2012, gli organi sociali in scadenza avrebbero dovuto essere rinnovati riservando una quota pari ad almeno un quinto dei propri membri al genere meno rappresentato, ossia le donne nella quasi assoluta totalità dei casi, sotto pena di sanzioni pecuniarie estremamente consistenti, nonché della decadenza degli organi illegittimamente costituiti. Donne che, a partire dal secondo e terzo rinnovo degli organi sociali, dovranno essere pari ad almeno a un terzo, fino arrivare al 2022, data in cui si pone la seconda importante scadenza fissata dalla legge Golfo-Mosca: l’esaurimento della sua efficacia poiché negli intenti il gap di genere dovrebbe essere ormai superato a quella data. I criteri di questa legge si applicano anche alle società partecipate per effetto del D.Lgs 175/2016.
Non so quanto questa legge sia conosciuta al di fuori degli addetti ai lavori, dall’opinione pubblica quindi la quale si è piuttosto concentrata sulle c.d. quote rosa riguardo alla rappresentatività politica. Infatti a partire dagli inizi degli anni Novanta si è cominciato a tentare di porre rimedio alla assoluta esiguità di presenze femminili in politica e partendo dalla 81/1993 che – disciplinando l’elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale – prevedeva una riserva di quote per l’uno e per l’altro sesso nelle liste dei candidati alle amministrative, si è arrivati addirittura alla modifica dell’art. 51 della Costituzione, in materia di accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive, sancendo espressamente la doverosità della promozione, con appositi provvedimenti, delle pari opportunità tra donne e uomini. (L.C. 1/2003)cui sono seguite leggi più recenti relativamente alle elezioni europee e regionali.
Tuttavia, per quanto il tema della rappresentanza politica non sia affatto di poco conto, è, a mio avviso attraverso la corretta applicazione di leggi come la Golfo Mosca che potranno derivare i più concreti cambiamenti sociali, attraverso reali opportunità di carriera che, portando ai vertici di società così importanti anche soggetti di sesso femminile, costituiranno un volano per la maggiore presenza femminile in tutti gli ambiti e a tutti i livelli. Infatti è indubbio che , benché sia evidente che il peso che possa avere un solo componente di sesso femminile all’interno di un CdA è sicuramente esiguo, se non irrilevante talora, è anche vero che complessivamente questo sistema in potenza costituisce un acceleratore sociale per la presenza femminile in sempre maggiori ambiti.
In questa prospettiva, nell’attesa che, per superare la data di scadenza delle disposizioni, fissata dalla stessa legge, gli studi su una legge che renda strutturale l’obbligo dell’equilibrio tra uomini e donne portino a dei risultati normativi concreti, si rivelano fondamentali tutte quelle attività di monitoraggio e conseguente bilancio dei primi anni di applicazione della legge, sia in sede istituzionale che in sede di associazionismo2. Tra le innumerevoli realtà di quest’ultimo, risulta particolarmente importante l’attività della FIDAPA e in particolare delle sue articolazioni nell’Italia meridionale, luogo dove geograficamente i fenomeni discriminatori di genere sono vieppiù accentuati. È così che il 19 giugno scorso, la FIDAPA ha organizzato presso la facoltà di Scienze Politiche di Bari un’importante tavola rotonda dal titolo Women on bord- La legge Golfo Mosca- L’inaspettata assenza femminile nei luoghi dove si decide, che ha visto la partecipazione di esponenti del mondo politico4, accademico5, forense6 di ambito regionale che, partendo dalla esposizione dei dati statistici sull’applicazione della legge, hanno dato vita ad un confronto sulla interpretazione dei dati medesimi, sull’analisi delle falle del sistema, sulle prospettive per il futuro e sull’opportunità di creare una rete virtuosa tra i vari stakeholders.
Sintetizzando in maniera semplice una discussione che si è svolta necessariamente con un certo grado di tecnicismo, si è innanzitutto evidenziato che una parte consistente delle società tenute all’obbligo hanno optato, in sede di rinnovo degli organi sociali per la modifica dell’organo amministrativo prediligendo la forma dell’amministratore unico che ha consentito di eludere la percentuale richiesta, giustificando la scelta, però in termini di economia gestionale. Non entrando nel merito del fatto se tale opzione sia stata effettivamente dettata da tali motivazioni e non invece un modo per eludere la legge 120, uno dei correttivi possibili è trasformare l’obbligo in un obbligo di percentuale rispetto alla totalità degli amministratori delle società di un medesimo gruppo. È questo ciò che già ha previsto il D.Lgs 175 già citato.
E tuttavia la cosa che mi è parsa in assoluto più importante è stata la considerazione che quello che interessa a noi donne non è una mera presenza numerica , che si risolva in una ‘occupazione’ di un posto, magari quale pedina manipolabile, ma il riconoscimento della nostra professionalità. In questo senso è noto che nel percorso di studi le donne raggiungono risultati statisticamente migliori degli uomini ma è quando dal mondo scolastico si passa al mondo lavorativo che la situazione si ribalta, sia in termini di posizione di vertici raggiunti sia che, a parità di posizione, di retribuzione. E questo vale anche per le libere professioniste che sono l’ambito in cui soprattutto è necessario attingere per il reperimento delle professionalità necessarie a diventare membri del CdA.
Si è ricordato, infatti, che nei paesi del Nord Europa dove, per ragioni culturali, è più consistente e consolidata nel tempo la presenza femminile ai vertici sia imprenditoriali che amministrativi e politici, un bilancio dei risultati di questa presenza è possibile e si traduce nella sostanziale considerazione di un miglioramento gestionale. Ciò per le ormai acclarate attitudini femminili al lavoro di squadra, per la capacità di multitasking work e molto altro. E tuttavia questo non è avvenuto immediatamente, al contrario in primissima applicazione c’è stato un peggioramento cui ha fatto seguito, dopo il tempo necessario a che le donne acquisissero competenza ed esperienza, un miglioramento della performance. Se è così, però, risulta fondamentale che a quegli incarichi anche in Italia arrivino persone preparate ed è proprio in questo campo che la FIDAPA si è fatta in questi anni promotrice di una rete rivolta alla raccolta dei curricola delle professioniste, in collaborazione con l’Università e gli ordini professionali per avere dunque una lista da cui le società suddette possano attingere per il reperimento delle professioniste più idonee, seguendo quindi criteri di merito e competenza.
Come è stato osservato, infatti, una volta che esiste un consistente numero di donne altamente qualificate disponibili ad accedere a tali posti di potere, la loro presenza sarà necessaria non più in funzione antidiscriminatoria (ex art. 51 Cost. novellato) ma semplicemente in applicazione del principio generale del buon andamento della Pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.) che impone le scelte più efficienti.
La tavola rotonda ha sollevato però, come era prevedibile, tutto l’insieme delle problematiche attinenti alla situazione della donna in ambito lavorativo, dal gap retributivo a parità di mansioni, alla disoccupazione femminile che è molto più elevata di quella maschile, il che sembra essere anche direttamente collegato alla mancanza di una sostanziosa rappresentanza nei luoghi decisionali che impedisce che si creino occasioni di lavoro al femminile, alla presenza della rappresentanza femminile anche dirigenziale solo indeterminati settori, sanità e servizi su tutti. Altre due considerazioni sono state particolarmente discusse, ossia il maggiore divario Nord- Sud che è dato dalla sostanziale mancanza al Sud di società quotate che sono i soggetti destinatari della norma e la possibilità, la qual cosa farebbe aprire enormi scenari di partecipazione femminile ove si realizzasse, che le previsioni della norma, divenute stabili e non più a tempo, potessero essere rese applicabili obbligatoriamente anche al settore privato. Qui è evidente che si troverebbero le maggiori resistenze ove si imponesse una presenza di genere che non corrispondesse ad un reale criterio di efficienza.
È per questo che la conclusione più significativa della tavola rotonda è stata la disponibilità di vari soggetti a cooperare in rete per accrescere questa professionalità arrivando a ipotizzare protocolli di intesa tra Università, Consiglio Nazionale forense, associazioni quali la Fidapa e il Rotary per far partire al più presto un corso di alta formazione manageriale femminile gratuito, sempre nell’ambito territoriale di cui si tratta, con i relativi meccanismi di accesso per borsa di studio, concorsi e finanziamenti pubblici, che consentiranno di disporre di una rosa sempre più ampia di candidate ai posti decisionali. Idea di rete che sta trovando una configurazione sempre più transnazionale, confluendo nel progetto della creazione di una Macroregione Adriatico-Ionica-Balcanica all’interno della quale operare per le politiche di genere, coinvolgendo le Camere di Commercio non solo italiane ma anche di altre nazioni su questo asse, come Grecia e Turchia. Infine è stato ascoltato un contributo sull’attività della FIDAPA in favore delle donne in seno al Consiglio d’Europa.
Una tavola rotonda in cui non sono mancate le provocazioni intellettuali, le differenti valutazioni dei dati da parte dei diversi soggetti e delle istanze che essi rappresentavano ma che ha messo in evidenza che ormai non è più procrastinabile l’innalzamento del livello di professionalità femminile in maniera diffusa quale unico contraltare a ormai obsolete ottiche decisionali che privilegiano i soliti noti, in cui attribuzioni di comprovata professionalità, adeguata autorevolezza, esperienza in conduzione d’azienda e riconoscibilità gestionale non siano più appannaggio esclusivamente maschile.