Francesca Argenti è oggi una docente con le idee molto chiare che non nascono da un decalogo astratto studiato per essere promossa ad un esame di abilitazione ma da apertura, buon senso e flessibilità .
Si parla tanto della scuola e delle sue carenze, si incolpa la scuola per l’ignoranza delle giovani generazioni, si addita la scuola come la responsabile di un vuoto culturale e etico, si discute di scuola pubblica e scuola privata, si fanno riforme per tentare di riparare buchi e si creano crateri pensando alla scuola come ad una entità astratta che vive di vita propria, come un drago da mettere al laccio, combattere e distruggere. Per sostituirla con un altro drago e ricominciare da capo. Il drago non va combattuto ma, come fa il Mago con la sua bacchetta magica, va trasformato in un topolino, messo nel taschino e portato sempre con sé come alleato. E le trasformazioni non nascono da riforme a tavolino ma dalla vita, attimo dopo attimo. La scuola funziona quando chi la cavalca vive con occhi e cuore aperto, flessibilità e empatia. Francesca Argenti è oggi una docente con le idee molto chiare che non nascono da un decalogo astratto studiato per essere promossa ad un esame di abilitazione ma da apertura, buon senso e flessibilità. Sarebbe potuta diventare una cantante o una attrice, ha scelto di trasformarsi in prof e sono certa che sulla cattedra abbia portato con sé professionalità e improvvisazione, duttilità e fermezza, autorevolezza e grande entusiasmo. L’Energia del Femminile si esprime in lei attraverso Empatia, Flessibilità e Creatività. Ho scelto di affiancare alle altre interviste sulla Eccellenza del Femminile che potete trovare qui, un incontro con Francesca Argenti. Ho fatto una bella chiacchierata con lei perché so che è attraverso docenti di questo calibro che la scuola davvero può fare miracoli. E a questi miracoli io continuo a credere.
*Francesca straordinaria interprete sul palco, Francesca studentessa piena di vita, Francesca prof: come hai messo la tua creatività a servizio dell’insegnamento?
Bella domanda! Non semplice! Ho letto una definizione di creatività che mi piace molto: “Creativity is intelligence having fun”. Ecco, io credo che la creatività sia visibile ogni volta che, nel mettere in gioco le nostre qualità, ci divertiamo, sentiamo un gusto particolare per quello a cui ci dedichiamo. Tutte le volte che accade, in qualche modo il nostro lavoro è creativo. Nella mia esperienza, questo accade quasi sempre insieme agli altri, insieme a dei colleghi o ai miei alunni…penso che applicare la creatività all’insegnamento non sia un’attività solitaria, ma comunitaria.
*Cosa significa per te insegnare e cosa è cambiato in te grazie alla tua esperienza di insegnamento?
Insegnare significa percorrere un tratto di strada crescendo insieme ai tuoi alunni, significa cambiare insieme, trasmettere passione e restare in ascolto, lasciandosi trasformare dal “nuovo” che si forma. Il “nuovo” sono loro, ovviamente, i ragazzi. Di volta in volta per me cambiano molte cose, mi sorprendo anch’io di quanto ogni anno molte cose siano diverse da quello precedente, credo che sia dovuto al privilegio di avere a che fare con i giovani.
*Come trasferisci ai ragazzi il tuo atteggiamento di positività verso la vita, così importante per la formazione dei giovani e così insostituibile ad ogni età?
Cercando sempre di cogliere, insieme a loro, il lato costruttivo, positivo, entusiasmante, o anche ironico di quello che accade. Dando fiducia. Presentando loro la bellezza del mondo, e non l’elenco dei suoi limiti.
*Questa tua ultima affermazione, sola, basterebbe a trasformare il mondo. Ma perché oggi la scuola è in crisi? Cosa dovrebbe dare che non sa dare?
Quale modello di scuola è in crisi? La domanda è molto più complessa di come, a prima vista, potrebbe apparire. È in crisi forse un modello autoreferenziale, solo informativo e non formativo, attento più alla norma che alla persona, in cui la cultura è un patrimonio individuale da ottenere con fatica e non un processo di costruzione in cui ciascuno offre il suo apporto? È in crisi una scuola fondata sull’obbedienza, sulla sanzione, piuttosto che sulla libertà e sull’autonomia? È in crisi una scuola in cui l’apprendimento è livellato e non personalizzato, in cui l’intervento educativo impone atteggiamenti? Può essere che questo modello di scuola sia in crisi, ma è anche vero che da sempre la vera scuola non si fonda su valori normativi, ma formativi; ne sono un esempio la pedagogia dei gesuiti dalle sue origini, o figure come Maria Montessori e Don Milani. E molti educatori si ispirano a questi esempi.
*Allora in cosa consiste la crisi che sta vivendo il mondo della scuola?
Secondo me una fatica importante risiede nell’equilibrio, ancora da trovare, tra richieste istituzionali-ministeriali e condizioni effettive in cui le scuole si trovano per soddisfare queste richieste. Il Ministero spinge verso un cambiamento, ma non sempre mette le scuole –il sistema scuola- nelle condizioni migliori per viverlo. Da una parte propone più autonomia, più progettualità, più sperimentazione, più libertà rispetto ai “programmi”, dall’altra fatica a trovare la formula giusta per un esame di stato ancora fortemente orientato verso una quantità smodata di contenuti da sapere, per un cambiamento della contrattualità della professione docente, per una formazione adeguata alle istanze più urgenti e attuali. Un altro elemento a mio parere critico è il sistema di crediti su cui si basa il Liceo; sulla base di questi crediti si può accedere o meno ad alcune università, conta la media dei voti del triennio, esiste un solo punto all’anno per valorizzare attività culturali, formative, linguistiche, sociali.. tutto questo produce ansia nelle prestazioni, si fa fatica a vivere una dimensione di crescita culturale, libera dall’obbligo di raggiungere alcuni standard accademici. Non è facile, mi rendo conto, fronteggiare la complessità delle istanze attuali, ci troviamo tutti in un processo di cui non conosciamo con chiarezza i confini e i risultati. Da questo punto di vista, la crisi della scuola risuona con la crisi che tutta la nostra società sta attraversando in questa svolta epocale.
*Come valuti i frequenti giudizi di peggioramento delle giovani generazioni? C’è qualcosa di fondato?
Io sono assolutamente allergica a questi giudizi…credo che in parte siano nel DNA dell’uomo, a volte ci sono miei alunni di quinto anno dei licei che dicono dei ragazzi delle medie: “Prof, noi non eravamo così…i giovani sono cambiati…”; io sorrido quando li sento pronunciare queste parole e mi fanno tenerezza. Le nuove generazioni sono necessariamente diverse da noi, ma che questo sia accompagnato da un costante giudizio peggiorativo che ha tutto il sapore di una condanna più che di una valorizzazione, è una cosa che io trovo insopportabile.
*Come valorizzi l’originalità del singolo studente e come la valorizzano i tuoi colleghi?
Credo che ciascuno di noi abbia uno sguardo specifico su ciascun alunno. L’originalità di un ragazzo la puoi valorizzare se ti lasci sorprendere dalle sue qualità, non sempre è facile lasciare che emergano…bisogna a volte rinunciare a dirigere noi tutto il processo di apprendimento e creare spazi dove cose che noi non ci aspettiamo possano accadere.
*Il percorso curriculare si è trasformato, è diventato “altro” rispetto al passato?
Si è sicuramente arricchito. La scuola è un luogo dove si vivono esperienze di valore, sia in ambito disciplinare che interdisciplinare e trasversale. La sfida è riuscire a dare lettura (valutare nel senso di valorizzare) a tutte queste dimensioni, da una parte facendole emergere all’interno dello stesso insegnamento disciplinare, dall’altra, in quanto educatori, attraverso la condivisione di esperienze più ampie.
*Ma cosa è oggi la condivisione e cosa porta di nuovo nella vita del singolo studente, del singolo docente e cosa può portare nella società?
Dividere con qualcuno è il senso profondo di una scuola che educa veramente. Oggi la condivisione è possibile in svariate modalità, e questa può essere un’opportunità preziosa. La scuola può essere un luogo privilegiato per accompagnare a scegliere cosa condividere, perché, con chi, e in che modo farlo.
*Ritorniamo al curriculum di studio, è ancora la progressione delle competenze disciplinari o è cambiato, è qualcosa d’altro?
Questa domanda tocca il cuore di una trasformazione in atto, che riguarda proprio l’interrogarsi sul senso profondo di essere scuola. Il curriculum di studio è quell’insieme di esperienze culturali perché formative, dove la parola “culturale” è da intendersi in senso ampio: culturale è tutto quanto concorre a una formazione integrale della persona, nei suoi aspetti affettivi, relazionali, sportivi, spirituali, di ascolto di sé, dell’altro e dell’Altro. Le discipline concorrono a questa formazione, con il loro apporto specifico. Il curriculum è il percorso dello studente. Un percorso nel quale si intrecciano molteplici aspetti. Nelle scuole dei gesuiti da sempre si forma a questi aspetti, quello che possiamo fare è migliorarne la progettazione, la lettura, la condivisione, la valorizzazione. È un grande sforzo che chiama in causa ciascuna disciplina nella sua specificità e l’insieme dei docenti nella loro azione sinergica, e in più richiede un cambiamento sistemico.
*Tu insegni a Milano nell’Istituto Leone XIII, la scuola dei gesuiti. Da qualche anno c’è un rettore laico che oltretutto è una donna, la prof.ssa Gabriella Tona. Due novità davvero grandiose …
Un rettore laico e donna è innanzitutto un segno di modernità e di corresponsabilità tra laici e gesuiti. Se oggi la vocazione alla vita consacrata è meno presente che in passato, la vocazione al carisma ignaziano è forte, per il suo tratto profondamente umanizzante. Il carisma ignaziano si trasforma con le trasformazioni in atto nel mondo, è un carisma vivo, non statico. Il cambiamento è nel DNA dei gesuiti e dei laici coinvolti nelle opere ignaziane.
*Ma quindi cosa è cambiato rispetto al passato?
Rispetto al passato è cambiato forse questo: se il laico prima si sentiva collaboratore dei gesuiti, oggi si sente corresponsabile di una missione comune.
* Cosa c’è di nuovo quindi nella scuola e al Leone XIII dagli anni in cui tu eri una studentessa?
Pensando al Leone XIII, credo che ci siano alcuni aspetti che sono rimasti invariati, come dei “marchi di fabbrica”: la serietà della preparazione, l’ampiezza dell’offerta extracurricolare, la qualità delle relazioni, lo sguardo ampio di una formazione a 360°, il carisma di una scuola dei gesuiti, con la sua vivacità culturale e la sua apertura umana…questi sono aspetti che io vivevo da studentessa e che sento ancora molto presenti. Oltre a questo, molto è cambiato, perché il mondo è cambiato: il Leone è diventato sempre più una scuola molto progettuale, con una grande apertura internazionale (scambi, progetti, gemellaggi virtuali dalla Primaria ai Licei), un forte raccordo con il mondo universitario e con le scuole internazionali della Compagnia di Gesù. Mi sembra anche che gli alunni siano più coinvolti nella vita della scuola; quando ero alunna io percepivo –tranne in rari casi- una differenza netta tra l’attività scolastica e le attività extracurricolari (corsi di teatro, di fotografia, attività sportive, convivenze..) che la scuola ci dava la possibilità di praticare. Oggi mi sembra che molte di queste attività siano sempre più integrate nell’attività curricolare, si percepisce più unitarietà, anche se c’è ancora molto da fare perché una delle sfide educative del nostro tempo, a mio avviso, è proprio questa.
*Il punto è che oggi il sapere è diffuso ovunque: cosa può e deve dare la scuola in più?
La scuola può dare sapore al sapere. Il sapere da solo è pura erudizione. La scuola aiuta a trasformare il sapere in un’esperienza (affettiva, intellettuale, corporea, spirituale, concreta) che, dando gusto, muove ciascuno studente alle proprie scelte di vita.
*Oltre ad insegnare francese, sei anche referente nazionale per l’integrazione delle tecnologie nella pedagogia e didattica ignaziane, per la Fondazione Gesuiti Educazione. Cosa è la Fondazione Gesuiti Educazione e quali sono le competenze che i ragazzi possono sviluppare attraverso la tecnologia? h
La Fondazione è innanzitutto una Rete di scuole: le scuole della nuova Provincia Euromediterranea (le sei scuole presenti in Italia, più la scuola albanese e da quest’anno anche la scuola maltese) lavorano insieme per realizzare un unico progetto educativo, ciascuna nel rispetto delle proprie specificità. La Fondazione è così lo strumento giuridico per rendere evidente, strutturata e coordinata la forte collaborazione che da diversi anni esiste tra le nostre scuole (in un certo senso si può dire che la collaborazione tra le scuole della Compagnia esiste da sempre: la famosa Ratio Studiorum è un documento che nasce dallo scambio abituale di buone pratiche!). Le nostre scuole hanno un sogno educativo comune, e attraverso la Fondazione si dotano degli strumenti necessari per raggiungere gli obiettivi che desiderano realizzare. La tecnologia è proprio uno dei vettori comuni su cui le nostre scuole lavorano in modo coordinato: l’integrazione delle tecnologie nella pedagogia e nella didattica concorre a formare competenze per la vita, più che mere competenze strumentali. La tecnologia può favorire delle competenze valoriali come la condivisione, la collaborazione, l’espressione della propria originalità, la personalizzazione dell’apprendimento e la creatività, oltre che favorire la comunicazione, l’organizzazione e lo scambio dei contenuti didattici.
* Quindi c’è un nuovo modello che nasce da una Rete e dalla la connessione tra tutte le scuole dei Gesuiti nel mondo?
La realtà è rete e interconnessione; muoverci in questa rete senza rimanerne irretiti è l’opportunità che una rete mondiale di scuole può offrire.
*Avete creato e create gemellaggi tra classi in stati diversi?
Sono molte le esperienze di gemellaggi con le scuole di tutto il mondo: al Leone XIII, alla Primaria è in corso da anni un gemellaggio in inglese con una scuola indiana e una di Barcellona, alle medie e ai licei dei gemellaggi in lingua francese con scuole francesi o francofone, tanti progetti di rete nazionale ed europea, le simulazioni dei lavori del Parlamento Europeo e dell’ONU, gli scambi con scuole in tutto il mondo. Si tratta di esperienze sempre più integrate nel curriculum personale dell’alunno. Per esempio, l’anno di studio all’estero nella scuola di Stonyhurst, in Inghilterra, avviene con l’accompagnamento di un docente italiano che, oltre che seguire i ragazzi nella loro esperienza, cura la preparazione in greco e in latino perché il percorso sia pienamente integrato con l’indirizzo di studi scelto in Italia. Fare rete significa modificare anche la percezione di sé nella relazione con altri istituti. Questo rafforza l’identità di ciascuno valorizzandone le specificità.
*Come si è modificato il concetto di crescita prevedibile dei tempi passati? Esistono ricette e soluzioni già testate?
Io credo che sia molto cambiato perché oggi quando un bambino entra al primo anno della Primaria noi non sappiamo quale sarà il mondo che lo attenderà tra tredici anni, alla fine del suo percorso scolastico. E neppure quando un ragazzo entra al primo anno del Liceo noi sappiamo dire cosa lo attenderà tra 5 anni. Questo cambia alcune cose: richiede a noi la capacità di cambiare insieme ai nostri alunni, di rinegoziare scelte fatte, di muoverci con una flessibilità a cui prima non eravamo abituati. Il che ha degli aspetti profondamente vitali, perché la crescita riguarda una nostra continua rinascita alla nostra professione. Questo movimento ci chiede però di tenere il timone ben saldo e di conoscere la direzione, altrimenti si rischia di essere in balia di cambiamenti esterni e non interiori. Paradossalmente, le trasformazioni ci obbligano a un ascolto più profondo e consapevole di noi stessi. Educare i ragazzi a questo ascolto e a questa consapevolezza è secondo me una buona chiave per abbracciare la complessità senza subirla.
*Ma un modello va sostituito o integrato? E integrare cosa significa?
Dipende dal modello…se non funziona, meglio sostituirlo…
Diciamo che a mio avviso il modello deve essere sempre “modellabile” e mai diventare un assoluto granitico che blocca l’azione individuale. Un modello secondo me ha una sua struttura intima stabile ma è allo stesso tempo capace di cambiamento e modulazione. Come un organismo vivente, si trasforma con la vita che cambia ma sostanzialmente ha una sua natura riconoscibile. Quindi “integrare” secondo me significa prima di tutto essere a contatto con la realtà e interagire in modo sensato e costruttivo con essa, vivendone gli aspetti vitali e lasciandosi trasformare da questa interazione senza perdere mai il senso profondo della propria natura.
*Come viene stimolata oggi la formazione spirituale e come vivono oggi i ragazzi la solidarietà e la gratuità?
In una scuola dei gesuiti tutto concorre alla formazione spirituale, intesa come dimensione vitale, relazionale e di pienezza (il celebre motto “contemplativi nell’azione” appartiene proprio al carisma della Compagnia), ma certamente ci sono varie tappe di una esperienza graduale e significativa che accompagna gli alunni dalla Primaria ai Licei. Queste tappe sono momenti privilegiati di sospensione delle attività, di ascolto di se stessi e dell’altro, di rilettura di esperienze significative, di incontro con un Altro che mi parla nella mia vita, non fuori da essa.
*Ma questo ascolto come si integra con la realtà in cui ogni studente e ogni insegnante sono inseriti? Non rischia di diventare “altro” dalla vita?
Eh no, è un ascolto che si traduce in azione: è perché sento gratitudine che mi scopro generoso e ho voglia che questa generosità trovi la sua forma concreta. In molte scuole le attività di servizio sociale fanno parte del Curriculum dello studente, ma al di là di questo devo dire che ho sempre visto i nostri ragazzi partecipare con entusiasmo, gratuità e generosità a tutte le proposte di servizio e apertura al mondo.
*Quale è la dimensione globale della persona, cosa vuole dire essere oggi un cittadino globale?
Io credo che oggi non si possa negare una forte interconnessione tra tutti i fenomeni a livello sia locale che globale. L’enciclica “Laudato Sì” di Papa Francesco è su questo molto chiara. Secondo me essere un cittadino globale significa essere prima di tutto consapevoli di questa interconnessione e interdipendenza, avere uno sguardo ampio sui fenomeni. La scuola dei gesuiti vuole educare alla curiosità, all’incontro, alla valorizzazione delle diversità, al fiorire dell’originalità di ciascuno, a comunicare in modo efficace a livello globale, alle molteplici prospettive con cui si può affrontare una problematica complessa, al riconoscere i valori universali e permanenti nelle forme nuove che essi possono assumere nella storia, a costruire un nuovo umanesimo che non si fondi su una visione binaria tra cultura umanistica e cultura scientifica, ma che trovi la loro interconnessione proprio a partire dall’esperienza formativa offerta alle nuove generazioni.
Brava Francesca!
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