“Dipartimento Mamme”. All’inizio pareva quasi uno scherzo, la notizia corre sul web e nei social e si comprende, via via leggendo, che non lo è. Essere mamme è una condizione e la maternità è un diritto
Era già stato annunciato mesi fa, e già allora aveva suscitato un vespaio, ma non se ne è tenuto di gran conto, pare. Beninteso, mamma è la parola più bella che possa esistete. La prima che impariamo a pronunciare, e spesso l’ultima prima di andarcene per sempre. Perchè è vero che a lei si deve l’accudimento sia per nove mesi che dopo, la sicurezza, due braccia sempre disposte a proteggerti e capirti. Salvo rare (per fortuna ) eccezioni, è cosi. Essere mamme è una condizione e la maternità è un diritto. Ma pur ritenendo scelta coraggiosa questa, c’è da chiedersi quale sia l’obbiettivo vero di questo Dipartimento, cioè per meglio dire, se si tratta di porre l’accento su tutto quanto investe il ruolo della maternità nella società, a partire dal mondo del lavoro e dei servizi dedicati alla genitorialità,e magari anche sulle ricadute socio economiche di questa condizione, sulla mancanza di diritti, e via discorrendo.
Perchè è vero che la maternità si trova ad affrontare una serie di problematiche, ma in larga misura non investono solo le mamme, ma le donne, tutte. Tanto per dire, nel mondo del lavoro, le donne vengono discriminate in quanto tali, a prescindere dalla condizione legata alla maternità. Possiamo asserire che prima da donne, poi da mamme, continuano a subire le stesse pressioni, innegabilmente. Ciò indipendentemente dalla condizione, ma come donne in quanto tali, e del ruolo in cui sono confinate a prescindere dall’avere o meno figli. Una delle domande nei colloqui è proprio quella sulla fertilità o sul desiderio di voler concepire un figlio. Sul diventare mamme, genitrici appunto. Credo che sia isolante è riduttivo il termine, seppure bellissimo. In qualche modo limita e confina, perchè non dimentichiamolo, la maternità non investe solo le donne ma l’intera famiglia, addirittura i nonni.
Nel leggere la interessante riflessione della deputata Fabrizia Giuliani su Unitá, che condivido integralmente in quanto ribadisce il concetto linguistico che cerco di sottolineare, ribadisco che il linguaggio cambia e si evolve esattamente come la società. Parlare di “ mamme” è sostanzialmente fare un salto nel tempo, rivedere la donna-femmina, come fattrice e non come soggetto che contiene, sì, il ruolo, ma non solo quello. Oggi essere mamme è essere donne super impegnate, con mille interessi e spesso con posizioni professionali di rilievo. Come si può pensare che le battaglie politiche per i diritti alla maternità, quindi ai migliori servizi, alle uguaglianze nel mondo del lavoro, a livello salariale, e contro tutte le discriminazioni legate ad essa riguardino solo ed unicamente le mamme. E’ innegabile, è la donna-mamma in primis a subire di più le difficoltà, ma se non si arriva ad avere una visione di insieme, a poco serve questa scelta politica. Da un po’ di anni a questa parte si parla di coppia, di famiglia, dove anche il compagno, marito e padre ha un ruolo fondamentale, anche di cura e di educazione. Pur capendone l’intenzione, pregevole, dobbiamo dirlo, nell’intento, è bene ribadire che il problema non è singolo, ma collettivo. Diventare genitori coinvolge sia le donne che gli uomini, la società tutta, il mondo lgbt, quello delle adozioni, ed intendo includere anche tutte le donne che non ne possono avere oppure hanno scelto di non averne. E’ un tema molto delicato, lo abbiamo visto dall’esplosione dei social, dove si passa dalla piena esaltazione della scelta da parte dei “ fedelissimi” alla ira vera e propria di chi vede l’ennesima scivolata politica, magari utile in vista delle prossime elezioni ma non consona.
Sarebbe stato assai migliore un osservatorio (ma perché poi chiamarli Dipartimenti, non si sa) sulla famiglia, intesa in senso collettivo, mamme, babbi, e tutti quelli che vi ruotano attorno. Si parla tanto di Pari opportunità, di diritti di tutte e di tutti, a partire giustamente dal cambiamento nell’uso del linguaggio, che sappiamo produrre effetti ghettizzanti. Si declinano i termini con la desinenza finale femminile nelle professioni ma se pensiamo al termine “mamme” nella sua eccezione linguistica, lo limitiamo proprio nel suo significato culturale. Ed è appunto discrimine relegare un dipartimento solo a questo, lo è come dicevo prima, verso i padri, che da sempre si sentono estromessi nel ruolo genitoriale, seppur nel tempo stanno avendo sempre più ruoli fondamentali tanto che di babbi- mammi ce ne sono tantissimi.
Per varie ragioni sono loro spesso che si dedicano alla cura dei figli, se per ragioni di turni di lavoro si rende impossibile per le mamme. Come si può limitare una battaglia politica per i diritti ad essere mamme, senza includere il diritto alla genitorialità, che invece è centrale non solo per ovvie ragione affettive e di crescita dei figli, ma anche per tutto il tema della conciliazione lavoro famiglia. Ciò significa relegare il babbo a mero appoggio strategico, un qualcosa che c’è ma non è la mamma, quindi non effettiva metà della famiglia. E quando ci sono due babbi? E due mamme? Che facciamo? Forse è mancato quel buon senso che avrebbe dovuto tener di conto di tutto questo,perchè le politiche per la famiglia sono importantissime, uno Stato che mette in pole position la necessità di supporto, attraverso tutte le possibili misure attuabili, sia per dare a tutti questa possibilità, che al fine di una crescita demografica ad oggi in calo, è necessario e sacrosant, ma per essere universale (come i diritti dovrebbero essere) non può rivolgersi solo a una componente del nucleo familiare, scegliendo solo la mamma. Sarebbe stato di gran lunga preferibile allargare l’ambito delle Pari opportunità, inserendo anche il welfare, la salute, il lavoro e le politiche della famiglia. Perchè tutto ciò fa parte dell’universo genitoriale. Politiche mirate ad un solo soggetto sono fallimentari. Lo sappiamo, e quindi, Perchè?