Si possono catturare i sogni con una foto? E l’anima? Parlare con una fotografa come Fulvia Farassino Pedroni è stato un viaggio nella poesia e nell’immagine, nei frammenti di vita di questa donna potente e fragile, delicata ed energica. Le sue fotografie, messaggere dell’inconscio e trasfiguratrici della realtà, sono l’icona della sua domanda esistenziale ma anche della sua risposta: cosa fare di tutto questo dolore, di questa interminabile assenza?
Il dolore da cui ha tratto parte della sua ispirazione artistica è la morte del marito, lo storico e critico cinematografico Alberto Farassino che se n’è andato in un’altra dimensione lasciandole quel vuoto, quella assenza che piano piano è diventata per lei materia da trasformare e da condividere. Da un lato ci sono i suoi ritratti di attori e di artisti che scattava durante i festival, a Venezia o altrove, sulla scena, sul set, nei momenti di pausa, rubandone il respiro sottile dell’anima o, come lei preferisce dire, cercando di catturarne la verità, al di là degli stereotipi convenzionali che legavano ogni star alla sua immagine. Dall’altro le foto oniriche nate un giorno da uno scatto involontario del flash e diventate oggetto di ricerca per trasformare il linguaggio del suo stesso inconscio così martoriato, così spaventato, in occasioni per restituire il respiro sottile della sua stessa anima. La sua verità.
Parlare con Fulvia è stato un prenderci per mano e vagare insieme nel suo mondo e nella sua poesia, perché Fulvia è una poetessa dell’immagine e una donna che non si accontenta dell’apparenza, nonostante lavori con l’immagine. Introspezione, intuizione, affettività, pensiero circolare e accudimento sono gli aspetti energetici del Femminile che più spiccano in lei, li si vede nelle sue foto, li si ascolta nella sua voce, li si vede nel suo sguardo. Fotografa dei divi, fotografa dei sogni, cattura la vita e ne trasmette l’essenza che è quello spirito vitale che si legge nei suoi occhi pieni di luce e nel suo sorriso .
*La fotografia può catturare i sogni? Cosa vuole dire per te catturare un sogno?
Quando è morto Alberto il mio mondo onirico è esploso, ho iniziato a sognare in un modo pazzesco e ricco. Non avevo mai sognato così tanto, c’era un sogno ricorrente, in particolare, un incubo.. e tanti altri sogni anche lunghi e complessi che al mattino appena sveglia cercavo di ricordare. Fino a che ho incominciato a scriverli, era il primo gesto del mattino , sai quando ti svegli e non c’è più vicino a te chi ti è stato accanto per 30 anni? Mi svegliavo, mi alzavo, facevo la colazione, prendevo il quaderno e incominciavo a scrivere il sogno che avevo fatto la notte. E man mano cresceva questo quaderno di sogni fino a che una psicologa mi ha aiutato a decifrare il mio incubo, dicendomi di non scappare uscendo dal sogno ma di rimanerci dentro senza paura.
*Che incubo era?
Non vedevo niente, era tutto buio e delle forze mi sbattevano, sollevavano, mi tiravano le braccia, mi frustavano,.. ero al buio pesto ..quindi io cercavo sempre di svegliarmi da questa angoscia. Ma accettando di rimanerci dentro il sogno si è svelato, pian piano ho iniziato a vedere delle immagini su uno sfondo bianco simile ad un cielo pieno di nuvole o una sabbia in leggero movimento sulla quale come in un telo cinematografico passavano velocissimamente tante immagini e alla fine il volto di Alberto. Da quel momento non ho più avuto questo incubo. Spesso mi chiedevo cosa fare di quel materiale Mi dicevo che l’unica cosa che sapevo fare era fotografare ma come si fa a fotografare i sogni? Sono eterei, sfumati, entrano uno nell’altro..
*Nessun altro ci aveva provato?
Ho incominciato a documentarmi un po’ ma quello che trovavo fotograficamente erano dei collages. Io invece volevo scattare un’immagine dei sogni direttamente in macchina, senza dover intervenire in un secondo tempo in post produzione. Volevo trovare un modo per rendere l’immagine onirica, una tecnica che restituisse l’evanescenza del sogno perché comunque era sempre qualcosa che se ne andava sfumando… Mi dicevo prima o poi riuscirò. Nel 2006 stavo lavorando tantissimo, arrivavo a fare anche tre servizi in un giorno. Tutto è cominciato in banca. Una di quelle banche d’affari dove non ci sono gli sportelli. per colpa di un marmo. Al mattino ero stata a Varese a fotografare una ballerina per un libro collettivo “Donne raccontano donne”.. e le avevo fotografato anche i piedi. Un particolare che capirai sentendo come prosegue la storia di quella giornata. Lavoravo per Sette ma quel pomeriggio dovevo fare un servizio anche per Capital, fotografare l’ amministratore delegato di una banca d’affari. Avevo fatto il sopralluogo in un palazzo del settecento, avevo scelto dove fare la foto, lui non era ancora arrivato ma c’era il suo capo ufficio stampa che avevo deciso di usare come sua controfigura per impostare le luci. Nello sfondo che avevo scelto entrava in campo l’angolo di un tavolino con le gambe bombate e un piano di marmo che, cercando di spostarlo, mi è caduto su un piede. Sono riuscita a finire il lavoro, ho fatto tutto con stoicismo ma dopo non riuscivo più a camminare, dovevo fare ancora un lavoro per Sette. Era troppo. Quel piano di marmo mi ha fermato. Sono andata in studio, ho lavorato e messo le foto su un CD, e infine al pronto soccorso. Avevo quattro fratture. Questo incidente mi ha fermato, sono stata un mese a casa su una sedia a rotelle e il secondo mese sono venuta a Calice con le stampelle. Avevo appena comperato un flash, sai di quelli da agganciare sulla macchina e seduta con il libretto d’ istruzioni mi è venuta un’ idea quando leggendo apprendo che questo flash può sincronizzarsi sulla seconda tendina.. preparo tutto da seduta e scatto una foto facendo partire il flash e usando lo zoom della macchina. Quando vedo la foto capisco che forse è la tecnica per fotografare i sogni. Non ero sicura, pensavo fosse un caso.
*E qui diventa fondamentale la tua intuizione…
Si, non volevo che fosse un caso e ho fatto la controprova. Sono uscita, davanti a casa c’era una rosa tutta fiorita, anziché usare lo zoom ho fatto con la fotocamera un movimento laterale, ho scattato, guardato.. (sì, con il digitale la foto si vede subito nel display) non puoi immaginare cosa provavo, avevo trovato il la.. ho preso il cappello di Alberto, l’ho messo sul prato pieno di margherite e ho fatto una zoomata all’indietro.. ho cominciato a vagare sulle stampelle, la macchina a tracolla e a fotografare. Le prime tre foto ci sono nella mostra perché sono state l’inizio del nuovo.
Ho continuato a fotografare, guardavo qualcosa e capivo che avrei restituito lo stesso sentimento di quel mio cadere nel sogno. Il movimento riportava a quello stato, lo richiamava. La sera non riuscivo a dormire tanto ero eccitata, ero un fuoco..
*Si può dire che non hai trovato una tecnica ma un altro punto di vista?
Era per me un nuovo modo di far riemergere e di usare la macchina fotografica come un pennello. Fino ad allora le mie immagini erano rigorose, pulite, perfette.. Col lavoro sul sogno l’immagine non è perfetta. Poi invece c’è tutto un filone fotografico che usa la fotografia per fare opere d’arte..
*Ma tu non ti consideri un’artista?
Io non mi sono mai considerata un’artista, mi sento in mezzo , una brava artigiana.. ecco forse lì ho fatto il salto e questo mi emozionava.
*Ecco, il trovare un altro punto da cui vedere le cose ti ha permesso d ricordarti di essere un’artista. E tutto questo marmo, rompendo il legame col piede ti ha permesso di portare il sogno nella realtà—
In uno dei primi sogni non ero più capace di camminare e dovevo usare le stampelle. Mi è mancato tanto Alberto, è stato tutto per me.. Io ero orfana di padre, lui ha svolto anche vari ruoli.. E’ stato veramente importantissimo per tutto anche per la mia crescita intellettuale e culturale
*Hai fatto un salto artistico quando ti sei detta” rompo questa paura di non farcela”..e hai portato il sogno nella tua foto e da lì nella realtà. Dopo questa tua scoperta artistica è cambiato qualcosa in te nel rapporto tra sogno e realtà, tra ciò che sei e quello che vorresti essere.?.
Non ci avevo mai pensato ma credo di si.. adesso sono passati dieci anni, poi ho continuato a lavorare sul mosso ma in altri modi perché per me quello è un lavoro a sé. I miei sogni sono cambiati, sono anche meno frequenti, non più così vividi, così presenti. Sto molto attenta ai miei sogni che mi insegnano a capire molte cose. Quando faccio un sogno cerco di ripetermelo per lavorarci sopra ma non è più come allora. Forse adesso non mi serve più.
*Cosa significano te mosso, zoom, flash nella tua vita, di cosa sono simbolo?
Un flash è una idea improvvisa, una illuminazione, a volte ci sono.. a volte può essere anche una frase, una piccola poesia.. il mosso magari è legato alla mia vita, mi sembra di non essere ancora stabile.. il mosso non ti permette di vedere le cose definite.. potrebbe essere questo, una mia tendenza a non guardare le cose che mi feriscono per proteggermi Lo zoom, questo andare avanti e indietro.. è un obiettivo che ho fatto fatica a usare nella mia professione, forse perché vengo dalla generazione dell’analogico e non del digitale, negli anni ottanta ero una purista: pulizia della inquadratura, scelta della pellicola giusta, importanza degli obiettivi intercambiabili.. lo zoom invece ..con un solo obiettivo fai molte cose.. negli anni ottanta quando ho cominciato si tendeva a non usarlo. Ma quando lo ho scoperto, quanta fatica di meno! E oggi questo snobismo non c’è più..
*Ma lo zoom è quello che ti permette di avvicinarti per ingrandire o di ingrandire per vedere meglio da vicino e di allontanare per avere una prospettiva da lontano..
E’ tanti obiettivi in uno.. Invece io ho usato lo zoom muovendolo, non è che si usa così però se lo usi con sapienza con il flash che ferma un po’ le immagini.. non ho inventato niente ma ho semplicemente trovato il modo di catturare le mie emozioni ..
*Ma ritornando alla mia domanda, quando si dice zoomare significa anche” io mi avvicino così ingrandisco?”
La parola zoomare nel gergo significa andare avanti. Poi esiste il rientro..
*Ecco, allora arrivo alla domanda: nella tua vita tu tendi di più ad ingrandire le cose per poterle capire meglio o preferisci distaccartene per avere una visuale più d’insieme?
Io tendo ad allontanarmi, mi piace anche quando entro in un ambiente mettermi in un punto da cui ci sia una visuale d’insieme
*Quindi allontanandoti e stando nel mosso è facile che tu abbia i tuoi flash.. le tue intuizioni ti arrivano di più quando vedi le cose da lontano e un po’ mosse?
Le mie intuizioni mi vengono nei momenti di difficoltàUn po’ di giorni fa una mattina svegliandomi senza sogni mi sono detta una parola che è stata una intuizione.. ho preso la macchina fotografica sono uscita di casa e ho iniziato un lavoro partendo proprio da quella parola che mi risuonava in testa. E so che questo lavoro mi aiuterà a fare un altro passo avanti nella mia “guarigione”. Ma te ne parlerò più avanti, quando lo avrò definito. Ho bisogno di fare delle azioni, di agire, mettermi in moto.
*Perché ami fare ritratti di attori e registi?
E’ è stato inevitabile visto che ero la moglie di un critico cinematografico, docente universitario di storia e critica del cinema che frequentava quell’ambiente, quando io ho incominciato a dedicarmi alla fotografia. Ho iniziato prima a stampare in camera oscura, con un artista, Paolo Gioli che in seguito mi ha incoraggiata ad accompagnare mio marito durante le interviste e scattare qualche foto ai personaggi che intervistava. Le prime volte è stato per provare. Ho avuto fortuna con la prima intervista, ho fotografato Fernando Rey. Era in Italia per lavorare a una serie Televisiva. Qualche giorno dopo ho visto le mie foto su due giornali diversi. Ne avevo stampate tre o quattro e portate al coktail dove Rey mi aveva invitato , lui le ha guardate di fronte ai giornalisti e ha elogiato le mie foto, Un giornalista mi ha chiesto di fotografare in quell’occasione anche gli altri attori presenti .. Sono uscite su Repubblica e su L’occhio, il giornale allora diretto da Maurizio Costanzo, nel 1980.
*Ma tu quindi prima non avevi mai fatto fotografie?
No, insieme ad Alberto avevo gestito un cineclub a Milano dove ho conosciuto artisti, avevamo un giro di amici negli anni del cinema indipendente e dell’underground, poi è nata mia figlia, il cineclub ha chiuso e mi sono trovata senza lavoro. Ma avevo sempre molta attenzione alla fotografia, frequentavo le mostre e poi facevo da modella l’amico Paolo Gioli che mi riprendeva con la polaroid. Sono anche finita al Moma, o meglio un bel lavoro di Gioli è finito al Moma in una sequenza dove ci sono io. Poi Gioli mi presentò Mauro Vallinotto il fotografo di Panorama che ho seguito come assistente in in qualche reportage. Io andavo ai festival con Alberto, quello era l’ambiente che conoscevo.. se dovevo farlo diventare un lavoro era importante che conoscessi le persone.. guardare i film,. In quegli anni ero la prima donna fotografa. Lavoravo per Repubblica, andavo a Venezia e l’imput era di fare foto che dovevano restare nell’archivio, pronte ad essere usate per tutto l’anno nel momento del bisogno. Facevo quelli che in gergo si chiamano “posatini” , cercavo gli sfondi per fare “il posatino”, il ritrattino in posa fatto a un attore, o un regista durante il festival del cinema.
*E poi hai fatto anche dei fotoreportage..
Sono stata in Iraq nel ‘92 dopo la prima Guerra del Golfo, c’era l’embargo aereo e abbiamo attraversato mille chilometri di deserto in gip. Nel 92 ormai lavoravo per Sette, avevo fatto il salto, un passo importantissimo perché intanto mi slegavo dall’egida di Alberto. Ci tenevo alla mia indipendenza, Sette era il settimanale cui tutti i fotografi ambivano, il servizio non era scritto ma fotografico, di scritto aveva solo le didascalie e le foto erano a piena pagina.
Il primo lavoro é stato al festival di Cannes per cui mi avevano commissionato un servizio intitolato “Dietro le quinte di un grande festival”. Sapevo che era la prova. Sapevo che tutto dipendeva dalla foto di apertura del servizio. Ho avuto fortuna. A Cannes il famoso red carpet dove tutte le star si mettono in posa. Fanno la loro entrè ma quella era una immagine vista e stravista, io non potevo rifare quello che già si vedeva su tutti i giornali, anche perché Sette sarebbe uscito dieci giorni dopo. Mi sono appostata all’uscita dalla proiezione delle 19,30 quando il pubblico comune scende dalla scalinata del red carpet. Ancora mi chiedo come sia stato possibile. Un miracolo forse?La fiumana di gente comune che usciva dalla proiezione e scendeva gli scalini del red carpet, quando mi ha vista con la macchina puntata si è fermata e si è messa in posa per me. Fermare una simile folla sarebbe stato impossibile anche urlando con un megafono. E’ diventata la foto di apertura. Poi ho fatto uno scoop, ho potuto fotografare per la prima volta la giuria del festival grazie anche al fatto che ero affiancata dal giornalista Paolo Mereghetti..:la giuria quell’anno era composta da Bernardo Bertolucci e Angelica Huston, gli altri non ricordo chi fossero. Ecco, da lì e da lì è cominciata la mia collaborazione per Sette durata fino al 2010
*E i fotoreportages?
Si, ci sto arrivando..lavorando per Sette mi hanno mandato al seguito di Franco Battiato che con la sua orchestra andava a suonare con l’orchestra del teatro di Bagdad, era il primo gesto distensivo da parte dell’occidente. C’era l’embargo, non potevamo andare in aereo, abbiamo attraversato il deserto e io dovevo fare le foto. E’ stato durissimo perché il viaggio era molto faticoso e per la ostilità da parte di Battiato che era un po’ snob sul posare su richiesta. Siccome li la luce va via prestissimo non voleva mettersi in posa. .aveva un entourage che lo copriva.. ma io dovevo fare la copertina, ero lì per quello. E’ stato faticoso e la copertina non sono riuscita a farla. Sono anche stata nella Legione Straniera per dare una mano al festival di Rimini che dirigeva Alberto e che quell’anno aveva una retrospettiva sui film legionari. Sono andata a Marsiglia e a Aubagne dove c’è il reclutamento e in un secondo tempo dovevo andare in Corsica durante le manovre. Confesso che non ne avevo molta voglia. La prima parte del lavoro era stata faticosa e pensavo che le manovre mi avrebbero stremata. Tornata iin redazione con la prima parte del servizio scopro che il direttore era cambiato, non c’era più Willy Molco che mi aveva commissionato il servizio ma Sabelli Fioretti che non voleva pubblicare niente sulla Legione Straniera. Così non lo ho finito. Quando poi è iniziato il festival lo ho venduto in parte al Venerdì ma solo qualche foto, non il servizio come lo avevo pensato . Lo avrei intitolato “Belli e dannati”.
*Perché tu parti dalla realtà e la trasfiguri?
Volevo in qualche modo chiudere il mio lutto , volevo fare qualcosa di tutto questo dolore, dove lo avrei potuto mettere? Ma ora sono stufa della bella immagine, voglio che la realtà si veda e non si veda.. Quando fotografo gli attori non sempre restituisco quello che sono ma la loro immagine, quella che hanno costruito. Invece Cesare Colombo curatore della a mostra sui ritratti di cinema per ricordare Alberto nel decennale della sua morte, ha scelto solo le immagini dove io mi ero imposta sul personaggio, non facendolo posare per me, ma cogliendone momenti rubati.
Possiamo dire che fotografi l’anima, quello che la persona è nella sua essenza ?
Il termine anima è un po’ troppo.. quello che credo di aver colto è la spontaneità, quello che veramente ciascuno è ma dire l’anima mi sembra troppo..f orse possiamo dire che cerco la verità …I o non mi sento una fotografa dell’anima. Quello che mi piace quando fotografavo qualcuno è stabilire un contatto con la persona e ispirare fiducia in modo che non si sentissero defraudati. La ottenevo con qualche trucchetto.. il primo era quello di mettere col piumino la cipria sia a uomini che a donne, questo mi permetteva di avvicinarmi fisicamente e di toccarli.L’altro segreto che consiglio alle mie giovani assistenti : solo due gocce di profumo di grande qualità sul polso usavo Shalimar , sempre Garlene. Ho fotografato tanti manager, quando venivo mandata a fotografare nel loro ambiente di lavoro o a casa loro questo era il mio trucco da usare con persone non abituate a essere fotografate che quindi avevano una serie di timori, di paure..
*Mi hai già detto come il dolore ha alimentato la tua arte.. e la gioia?
Il dolore ha alimentato, ha fatto scattare il nuovo .Fotografare mi aiuta a stare meglio, mi permette di concentrare la mia attenzione su altro e di non pensare
*Non hai mai pensato di usare anche la gioia nel tuo lavoro?
Si si c’è, anzi.. tutte le ultime foto di uomini e cani sono di gioia
*Si parla della tua fotografia come dialogo con la assenza. Vivi ancora l’assenza?
Si la assenza si sente sempre, non è più come prima, è accettata ma c’è ma non è più un dolore, io adesso ce l’ho dentro di me, non lo cerco più fuori..
*Cosa succede negli occhi e nella mente e nel tuo cuore quando sei dietro alla macchina fotografica’ Procedono insieme o si dissociano quando fotografi?
Se una cosa mi colpisce particolarmente sono in sintonia. Se fai un lavoro su commissione prima ci sono gli occhi, il cuore entra dopo perché io sono una appassionata e quando gli occhi hanno visto la luce giusta e la inquadratura non riesco più a smettere, sono travolta dall’emozione. Cartier Bresson Bresson diceva: “Fotografare è mettere sulla stessa linea di mira la testa, l’occhio e il cuore”. Ecco io ci provo.
*E la mente non si dissocia mai? Quando ad esempi fotografi un soggetto di dolore?
Non ci riuscirei. Ho dovuto farlo per Sette, ho dovuto fotografare un bambino che aveva una malattia della pelle non riusciva stare al sole, portava una maschera, ho dovuto farlo ma è andato tutto bene, e lì gli vuoi bene, non ho mai forzato le cose, il sensazionalismo non lo ho mai portato avanti..
*Hai lavorato in coppia con Alberto?
Qualche volta. Ricordo un’intervista a Jerry Lewis, ma ho lavorato pochissimo con lui che faceva il critico, stava dentro la sala, e ai festival io stavo fuori.
*La tua creatività si sarebbe sviluppata nello stesso modo anche senza Alberto?
Non credo. L’incontro con lui è stato fondamentale standogli vicino e frequentando l’ambiente con lui, ho trovato questa strada. Anche se ho sempre cercato l’indipendenza da lui .
*Tu sei comunque una creativa?
Si, ma oltre alla creatività ci vuole anche la preparazione
*Ami fotografare di più le donne o gli uomini?
Le donne sono più belle. è più facile fotografare una donna che un uomo.. si, forse le donne.
*Cosa ti colpisce della persona soprattutto quando la fotografi?
L’umanità. In genere vengo mandata da qualcuno che. non hai mai visto. E così mi preparo,. Mi documento e arrivo con un’idea arrivo preparata, mi sono letta una biografia, visto un film, voglio restituire il chi é, che la foto dica chi è quella persona che ho davanti.. Poi però l’incontro cambia tutto. Anni fa ho fotografato un regista spagnolo Berlanga, famoso anche per un film in cui si innamorava di una bambola di gomma. Lo ho fotografato con una barbie nel taschino.. ho sempre cercato un elemento che in qualche modo ricordasse “chi è” senza dirlo. Quando ho fotografato il direttore della collana Urania di Mondadori ho usato una cornice e sul taschino una ragnatela, e un piccolo mostro sul bordo della giacca,
*Forse allora il simbolo?
Si, in modo che fosse comprensibile senza la didascalia
*Fotografia e poesia. tu scrivi poesie.. Ma hanno qualcosa in comune?
Ne ho scritte, scrivo anche racconti nei quali qualche volta insierico delle poesie ma non riesco a fare le due cose insieme. Credo sia la mia esigenza di raccontare dei sentimenti che spesso sono autobiografici trasformati.. ma con una grande differenza, la fotografia è veloce, immediata.. Scrivere vorrei farlo sempre ma è faticoso psicologicamente, per scrivere devo stare in solitudine. E’ tale la fatica di stare isolata..e poi per scrivere devo stare bene, devo essere serena. Non riesco a scrivere se non sono serena..
*E la parola?
Non so, ho tante cose che vorrei scrivere.. adesso prendo la abitudine di scrivere a mano, a volte mi vengono delle ispirazioni..
E io aspetto di poterti leggere ancora, grazie Fulvia!
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