Non hanno più un futuro, quello fatto di grandi progetti ma anche di normale quotidianità.
di Nunzia Bernardini
Uccise! Massacrate da mani che avrebbero dovuto essere amiche. Sono state uccise nel momento in cui , ancora “bambine” si sono affacciate al mondo dei grandi. Hanno pensato di poter affrontare da sole il senso di libertà, la sete di indipendenza ed il groviglio dei sentimenti.
Sono rimaste schiacciate e tutte noi, coralmente, dovremmo sentire il carico delle pietre e dei massi sotto cui giaceva Noemi. Il proiettile in pieno viso, che ha ucciso Nicolina, deve rimanere come una cicatrice sul viso di ognuna.
Sacrificate e massacrate, come Paola Labriola, insieme a tante altre i cui nomi scorrono nella memoria dolente e che sono ormai iscritte nel libro della storia, una storia minore senza più giorni da vivere .
Noi tutte, eredi di una tradizione che sia dal punto di vista giuridico che sociale, ci ha sollevate da una situazione di “disconoscimento” e ci ha portate a convincerci che la piena parità fosse un obiettivo raggiungibile, noi tutte – dicevo – dobbiamo intervenire.
Non possiamo rimanere silenti o peggio annichilite da questi gesti criminali ripetuti e sempre peggiori, gesti in cui l’orrore riesce a superare se stesso: stiamo vivendo un incubo che merita il risveglio delle coscienze.
Rimanere inerti potrebbe significare che siamo indifferenti o peggio “conniventi”. Dunque c’è bisogno di una reazione decisa e unanime.
Possiamo trovare nomi e modalità nuove per affrontare questa emergenza che è il sintomo più evidente di un certo degrado a cui assistiamo quotidianamente. Chiamiamola “sorellanza”, “ maternage” , “mentoring”, semplicemente solidarietà o come altro vogliamo.
Possiamo scegliere di sentirci lontane dal “vecchio” femminismo e soprattutto dall’individualismo sfrenato che sta caratterizzando i comportamenti dall’inizio del nuovo secolo.
Quello che appare fondamentale ed urgente è trovare il modo per esprimerci, per tornare a fare una cultura che riaffermi i valori e l’essenza stessa dell’essere donna nel terzo millennio.
Spetta a noi il compito di trovare nuove e più adatte forme di comunicazione con le giovani generazioni per coniugare la nostra esperienza di vita con la loro prorompente energia e sete di futuro. Abbiamo bisogno di vedere che i ragazzi e le ragazze siano migliori di noi e che crescano con l’obiettivo di migliorare la nostra società vecchia, stanca ed appesantita dagli errori commessi.
Non serve, come sta accadendo in questi giorni, cercare responsabilità o addebitare colpe allo Stato, alle Procure dei minori o ai Servizi sociali: ci perderemmo nei dettagli invece di guardare al problema nel suo complesso.
Non serve guardare il dito che indica la luna, non servono più interventi parcellizzati o peggio scoordinati.
Abbiamo di fronte una situazione di grave emergenza che coinvolge tutti: le famiglie, la scuola, l’organizzazione dei servizi l’associazionismo in generale e quello femminile in particolare. Ma soprattutto ognuno di noi in prima persona.
Contro la violenza ci sono norme già emanate, convenzioni internazionali già sottoscritte, come quella di Istanbul, tanto organismi preposti: dunque non servono altri atti formali. Occorre una mobilitazione generale e la scelta di questo tema come priorità di cui occuparsi a tutti i livelli.
Ritroviamoci, parliamone e confrontiamoci: è urgente trovare modalità per operare tutte e tutti insieme prima che sia troppo tardi per salvare altre vite.