Giornalista, critica cinematografica, scrittrice, Erica Arosio ha trasformato il suo bisogno di indipendenza dagli uomini e un po’ da tutto in una tenace e stretta collaborazione creativa e culturale con Giorgio Maimone, milanese, caporedattore del «Sole 24 Ore» per oltre 30 anni.
“Ho esercitato accudimento e accoglienza solo nei confronti dei miei figli e sono insofferente quando mi viene richiesto dagli amici e ancor più dagli uomini. Sono figlia della guerra per l’indipendenza e non me ne libererò mai”
Giornalista, critica cinematografica, scrittrice, Erica Arosio ha trasformato il suo bisogno di indipendenza dagli uomini e un po’ da tutto (uno dei suoi motti è: “non accudisco e non amo essere accudita”) in una tenace e stretta collaborazione creativa e culturale con Giorgio Maimone, milanese, caporedattore del «Sole 24 Ore» per oltre 30 anni. Ad armi pari. Lui ha diretto la prima radio libera della sinistra milanese, canale 96 e ha fondato e dirige il portale della canzone d’autore La Brigata Lolli (www.bielle.org) Insieme hanno deciso di dare vita ad una collaborazione a quattro mani fatta di ideazione comune, scrittura individuale e revisione condivisa.
Quale risposta migliore alla sua insofferenza verso la dipendenza, non un arroccamento in una solitudine creativa ma questo procedere paralleli e ben impastati uno nell’altra. Questa la dimensione del Femminile che più mi ha colpito in Erica, la capacità di trasformare la differenza in complementarietà e una sua insofferenza in fertile occasione creativa. Insieme alla sua notevole empatia che le permette di entrare così bene nelle cose del mondo e della gente da dare loro una seconda vita.
Non avevo mai conosciuto Erica Arosio anche se quando collaboravo con Gioia le nostre firme si sono più volte incrociate. Mi ha incuriosito il fatto che scriva gialli, ho sempre ammirato chi riesce a entrare nelle trame e a costruirne i risvolti inaspettati, a seguire meticolosamente passaggi logici e ben architettati e, destreggiandosi tra una tappa e l’altra, sa giungere ad una soluzione che abbia senso e sia condivisibile. Erica riesce a dare vita a personaggi interi di cui conosce tutto il sottotesto, che si tratti di protagonisti o di comparse occasionali, e a tratteggiarli in ognuno dei loro aspetti per farli agire concretamente all’interno di storie ricche di suspence.
Già autrice di un suo primo romanzo, “L’uomo sbagliato”, questo suo libro é stato occasione di incontro creativo con Maimone che, pur non credendo pienamente in quel lavoro, l’ha affiancata per una revisione, dedicandovi tempo e generosità. Da quel momento ha iniziato a creare con lui una serie di romanzi gialli ambientati a Milano imperniati attorno ad una coppia di personaggi, un detective e un’avvocatessa.
Protagonista di ” Vertigine”, e non sfondo, é la Milano del 1958 con i suoi storici bar, i suoi negozi, la sua nebbia, i suoi colori grigi, i suoi personaggi reali come Enzo Jannacci, Dario Fo, Luciano Bianciardi, Giorgio Strehler, Uliano Lucas, Giorgio Gaber, Fontana, Piero Manzoni. E una morte misteriosa.
Ancora Milano ma degli anni Ottanta in “L’amour gourmet”, sette coppie a cena in sette ristoranti della città. Un giornalista gastronomico racconta luoghi simbolo della città in un clima spensierato infarcito di abiti griffati indossati dagli yuppies paninari dell’epoca, Madonna, Vasco Rossi e i primi bagliori della Milano da bere.
E di nuovo la Milano degli anni Sessanta e una sparizione improvvisa coinvolgono di nuovo l’avvocatessa e il detective in “Non mi dire chi sei” e ora il loro nuovo libro, “Cinemascope”, sempre nella Milano degli anni Sessanta, il mondo della pubblicità, il boom, il cinema, il Derby Club.
Erica Arosio é una donna decisa, frizzante, creativa, con una mente saltellante ma ferma. Lo so, adoro gli ossimori e lei mi pare rappresentarne parecchi. Eccola qui tra le Donne Eccellenti!
*Da dove ti è emerso questo amore per il giallo e il noir?
Ereditato dalla mamma che aveva sempre un giallo sul comodino. Da lettrice mi divertono e mi piacciono anche al cinema, mi affascinano le atmosfere torbide dei noir, mi diverte l’aspetto matematico enigmistico del giallo. Da scrittrice mi torna utile e mi “controlla” la trama una struttura gialla in cui c’è un mistero da risolvere e quindi si è obbligati a certi passi, ovvero il mistero, l’indagine la soluzione. Mi trasmette un senso di ordine utile per la scrittura.
*Nel ciclo “Greta e Marlon indagano” raccontate la Milano degli anni Cinquanta e Sessanta. Che rapporto c’è per te tra scrittura e memoria?
La scrittura si nutre di memoria e di fantasia, ha qualcosa in comune con il sogno che elabora materiali autobiografici in maniera a volte così esasperata e sorprendente da renderli irriconoscibili e solo l’analista è in grado – non sempre – di decifrarne il percorso e la simbologia. Così è per la scrittura. Come dice Jung ogni elementi onirico rispecchia una parte di noi. Nel sogno la trasposizione è inconscia, nella scrittura è molto più consapevole, anche se non totalmente razionale ed è questa la meraviglia del lasciarti andare davanti alla pagina bianca. Quando si scrive assumono importanza anche gli stati emotivi, l’umore e mille altre variazioni modificano la scrittura.
*Ma cosa succede alla tua memoria e ai tuoi ricordi mentre scrivi?
Lavorando alla nostra serie su Milano si mescolano tutti questi stati con una particolarità: essendo in due, il processo creativo spesso viene disvelato e messo a nudo nel confronto reciproco. Discutendo su certi passaggi, a volte ci accorgiamo di avere un approccio quasi psicanalitico per quanto scaviamo l’uno nella mente dell’altro. Scrivi quello che conosci e che senti, scrivi sull’onda delle ricerche che hai fatto, e al tempo stesso immagini e inventi, ma qualcosa di te resta sempre, seppure trasfigurato.
*Quindi la scrittura, anche se non é autobiografica, ti accompagna a ricostruire la tua storia?
In particolare per questa nostra serie ambientata nella Milano degli anni Cinquanta e Sessanta che abbiamo in parte vissuto ma da bambini, ci siamo rifatti ai nostri genitori. Perché quella Milano e quel mondo lo abbiamo introiettato soprattutto tramite le nostre famiglie. Ecco perché nei nostri personaggi ritroviamo – e capita che ce ne accorgiamo a posteriori – venature e caratteri che appartenevano ai nostri genitori e alla nostra cerchia familiare.
Nei vostri romanzi si può parlare di verosimiglianza oppure di trasfigurazione della realtà? E perché?
Di tutte e due le cose. Una parte è storica una è inventata e l’intreccio credibile dei due aspetti è la sfida. Nei nostri romanzi fatti reali si mescolano con quelli inventati e personaggi realmente esistiti si rapportano con i protagonisti dei nostri romanzi, creati dalla nostra fantasia. Molto divertente lavorare su questo come autori, ma rischioso poi come risultato, perché se calchi troppo la mano puoi sfiorar il ridicolo. Quindi fare interagire Greta e Marlon con gli artisti del Jamaica o immaginare Tom che conosce Enrico Mattei e lavora con lui richiede un’attenzione particolare e un po’ di garbo. Devi essere verosimile e non assurdo né esagerato
* Le vostre storie sono noir o thriller?
Ambedue le cose, Giorgio è più attratto dalla parte gialla, quella enigmistica matematica, io sono più affascinata dalle atmosfere noir ma poi le due componenti si mescolano. E se ne aggiunge un’altra, il feuilleton di tradizione ottocentesca, con tutta la sua attenzione alla famiglia e agli intrighi. Ormai siamo giunti alla quarta avventura dei nostri investigatori e intorno a loro é cresciuta una rete di amicizie e parentele che giallo dopo giallo si complicano e si arricchiscono.
*Che senso ha il mistero nella tua visione della vita?
C’è un mistero giocoso ed è quello dei gialli, dei romanzi e dei film e poi c’è il meraviglioso mistero della vita quello che aleggia nell’aura, nelle intuizioni, nel tempo sospeso. Il mistero è non riuscire a capire ogni cosa ma esserne stregati. Immagino un mistero molto laico, terreno, una spiritualità che si afferra col sesto senso e a volte col settimo, ma che non sconfina mai nel misticismo.
*Di fronte al mistero c’é nei vostri romanzi la ricerca di una soluzione. Nella tua vita ha la certezza ad ogni passaggio di essere sulla strada giusta o il dubbio prevale nel tuo immaginario?
Credo che esista un modo giusto per fare le cose. Credo che tutti noi sappiamo esattamente cosa è bene e cosa è male. Lo sappiamo quando stiamo ferendo qualcuno. Ho sempre saputo qual era la cosa giusta da fare, ma non sempre l’ho fatta. In compenso ho cercato con tutte le mie forze di insegnare ai miei figli a riconoscere la strada e credo di esserci riuscita. Questo è il mio orgoglio più grande.
*Ogni verità ha la sua controverità oppure è sempre tutto chiaramente giusto o sbagliato?
Anche qui è una questione di iato fra la teoria e la prassi. Anche Seneca sapeva esattamente come si viveva, poteva insegnarlo, ma non era così eroico da seguire i suoi stessi insegnamenti. Non sono manichea, e nella vita ci sono situazioni davvero complesse, soprattutto quando si mettono di mezzo più concause. Ho visto di recente un film che cerca di dare una risposta a questo problema, attraverso una figura cardine dell’immaginario Yiddish, “l’ebreo cortigiano”. Un film che cerca di mettere in scena la fatalità che si mescola con la volontà e alla fine la lettura della realtà e l’analisi delle cause, così come la divisione far buoni e cattivi diventa praticamente impossibile.
*Quale peso dai, nella tua vita, al movente? Giustifichi certi atteggiamenti, certe scelte in base al loro movente o se sono da condannare le condanni comunque?
La teoria è che non bisognerebbe mai comportarsi male. La pratica è che tutti lo facciamo. In generale penso che ci si possa accontentare di non esagerare.
*Hai un rapporto viscerale e radicale con la giustizia o sei disposta a cogliere le sfumature attenuando il tuo giudizio?
Mi monta una rabbia sorda nei confronti dell’ingiustizia e della sopraffazione, dalle piccole cose – chi salta la coda – alle grandi. Mi imbestialiscono quelli che sono disposti a vendere anche la madre per obiettivi microscopici e meschini. Sono più indulgente nei confronti degli spregiudicati che aspirano a obiettivi grandiosi. Sono troppo indulgente nei confronti di chi ha intelligenza e talento. Sono consapevole di questo mio limite ma cerco di essere obiettiva e quindi severa, ma confesso di non riuscirci sempre.
*Milano é la protagonista dei vostri romanzi. Qual è l’anima di Milano e in che modo assomiglia alla tua?
Mi appartiene l’operosità milanese e lombarda, il senso pratico, quel fare che a volte viene quasi prima del pensare. Mi appartiene il volto internazionale di Milano, la città più europea d’Italia. Mi piace la borghesia illuminata degli anni Cinquanta e Sessanta, gli intellettuali ma anche gli industriali alla Leopoldo Pirelli, mi piace il contributo che hanno dato alo sviluppo della città, soffrendone anche le contraddizioni.
* E in cosa la tua anima si distingue da quella di Milano?
Non mi identifico con tutto quanto è Milano da bere, l’eccesso, la volgarità chiassosa, l’apericena, la furbizia della nuova classe imprenditoriale, la movida, insomma non mi appartengono i neologismi meneghini. Come diceva Nanni Moretti chi parla bene, pensa bene. Ed è la Milano che parla male quella da cui sono lontana.
*I vostri romanzi si strutturano sul doppio: due gli autori, due i protagonisti, due le storie che si narrano e due i finali. Che senso ha il doppio nella tua vita personale?
Più che il doppio ha senso il molteplice. Credo nella ricchezza delle sfumature, nei colori pastello ma anche in quelli polvere. Penso che nessuno di noi sia decifrabile con una sola direzione di analisi. Spesso mi piace pensare che la risposta migliore a una domanda sia: “Dipende”.
*Quali difficoltà e quali vantaggi hai incontrando scrivendo a quattro mani?
Difficoltà sinceramente poche. Scrivere in due è un arricchimento reciproco, un aiuto a porre più attenzione, la possibilità di avere al fianco un lettore attento che vede quello che tu non vedi.
*Gli autori, un uomo e una donna. Cosa ti sta donando a livello di visione di vita questa esperienza di complementarietà tra Energia Maschile e Energia Femminile?
Ho chiamato i miei figli Mimosa e Leone. Ovvero con due nomi che stanno agli antipodi, nella identica filosofia: lei ha un nome che è un concentrato di femminilità, lui ne ha uno che è un concentrato di virilità (o di maschile, se preferisci). Credo fortemente nella differenza e penso che la femminilità – ci vorrebbero pagine e pagine per dire in cosa consista– sia la qualità più affascinante in una donna , così’ come la virilità per l’uomo. Credo nella differenza e nella potenza della differenza. Scrivere con un uomo è molto interessante e credo che il risultato sia sicuramente più ricco di quanto potrebbe accadere se scrivessi con una donna.
*Se tu avessi scelto di scrivere a quattro mani con una donna anziché con un uomo i vostri romanzi si sarebbero sviluppati in modo diverso? .
Non so se si sarebbero sviluppati in modo molto diverso, non credo che le trame sarebbero cambiate. Ci sarebbe stata meno boxe e meno sport (questi passaggi si devono tutti alla penna di Giorgio), forse un diverso equilbrio fra personaggi maschili e femminili, ma non credo che sarebbe cambiato poi molto. Mi piacciono però molto le differenze e non credo che avrei lavorato volentieri con una donna, mi interessa di più un confronto con uno sguardo diverso.
*Hai scritto, tra l’altro, “L’uomo sbagliato” Perché ci si innamora di un uomo sbagliato? E cosa significa essere un “uomo sbagliato” per l’uomo stesso e per la donna che se ne innamora?
Quando ci si innamora ci si innamora e basta. Che lui sia l’uomo sbagliato te ne accorgi dopo. E forse sono sbagliati tutti gli uomini che non ti amano o non ti amano abbastanza o semplicemente meno di quanto li ami tu. L’uomo sbagliato ti arriva addosso quando ti lasci andare alle emozioni e metti da parte la razionalità, quando ti distrai e abbassi le difese e di mezzo c’è quasi sempre un’attrazione fisica intensa, l’alchimia inspiegabile che ti sorprende e quindi non hai il coraggio né la forza di voltare le spalle, anche se come un animale avverti l’odore del pericolo. Cadi sull’uomo sbagliato quando abbandoni quel controllo che così spesso incatena oggi quasi tutte le donne ed è fantastico ogni tanto lasciarsi andare, anche se rischiosissimo.
*Ma perché si fatica ad accorgersi che é l’uomo sbagliato?
A volte ti accanisci nel non riconoscere l’uomo sbagliato per le emozioni, anche quelle negative anzi forse soprattutto quelle negative, che riesce a darti. Per quanto ti scuote e per quanto ti costringe a guardare in te stessa, magari scoperchiando caratteristiche e atteggiamenti tuoi che preferivi lasciare sepolti dove stavano. Di mezzo ci può essere a volte un po’ di masochismo forse ma soprattutto sete di vita e quella voglia pericolosissima di stordirsi. Anche sentire del dolore e soffrire può essere a volte una via per sentirsi vive. Per salvarsi e non andare fino in fondo al baratro, occorre che arrivi in nostro aiuto un po’ di razionalità. Non sempre è facile.
*Ma come si fa a conciliare la razionalità con il cuore?
Mettendo a tacere il cuore. E soprattutto la pancia. Non è facile.
*E’ possibile, secondo te, che con il tempo si possa cambiare in meglio?
Credo ci sia una sorta di fissazione all’adolescenza, per tutti, credo che nel nostro intimo rimaniamo per tutta la vita i ragazzi e le ragazze dei nostri 18 e forse 16 anni. Su quel nucleo si incrostano difese, condizionamenti e tanta razionalità. Nel profondo penso sia molto difficile cambiare davvero, il massimo che possiamo fare è solo attenuare un po’ i nostri difetti, se riusciamo a prenderne coscienza. E’ illusorio invece che una donna chieda al suo uomo di cambiare: nelle relazioni sentimentali l’unico cambiamento possibile di un partner è in peggio. Uomo o donna che sia.
*Perché escludi che in una relazione sentimentale possano esserci evoluzioni e cambiamenti positivi?
Non escludo, ma credo che abbassino il livello emotivo, quel 37.2 le matin, come Betty Blu, che è così appagante. Certo, ci si può aggiustare, abbassando l’asticella. Un peccato, l’evoluzione secondo me c’è quando tutti e due fanno passi indietro e rinunce. Capisco che va fatto, perché la famiglia e la vita di coppia non resistono al 37.2 le matin: li bruci.
*Quanta parte di te c’è nei tuoi personaggi? E quanta parte di te vorrebbe ancora crescere attraverso i tuoi personaggi?
Nei personaggi non ci sono tanto io quanto il mio mondo. Che vuol dire i libri che ho letto, i film che ho visto, le persone che ho conosciuto, i paesi che ho visitato le storie che ho ascoltato. E’ solo il piacere della scrittura, la voglia di raccontare storie e immaginare situazioni.
*Quindi escludi che i tuoi personaggi, come una relazione oggettiva con una persona “viva”, possano farti da specchio?
Sono un’invenzione, un meraviglioso modo di passare il tempo ma sono troppo presuntuosa? Orgogliosa? Per farmi cambiare da loro
*Parliamo di “L’amour gourmet”.
L’amour gourmet è stato un gioco, un modo di rivisitare gli Anni Ottanta milanesi rubando lo schema al girotondo di Schnilttzer e scegliendo come protagonisti della giostra sentimentale personaggi simbolo di quell’epoca, dal produttore tv alla costumista di Drive in, dall’architetto socialista alla regista teatrale. La cornice è invece quella della rivoluzione gastronomica che ha cambiato completamente il nostro modo di guardare alla ristorazione e al cibo e la cui onda lunga è arrivata fino a oggi. Eataly, Slow food l’Expo e tutto quello che in Italia è nato nel settore agroalimentare della ristorazione stellata e della distribuzione è nato in quegli anni e noi abbiamo cercato di raccontarlo nel nostro romanzo.
*Da dove nasce e come si sviluppa la tua attenzione al tema del cibo?
Il cibo è cultura e dice molto di una società, così come il modo di mangiare e il comportamento a tavola dicono molto di una persona e riescono a svelare personalità e nevrosi. Questo vale più per un uomo che per una donna perché noi siamo più condizionate sul cibo, da una parte rifiutiamo il ruolo di madre nutrice dall’altro spesso abbiamo problemi di dieta quindi il nostro modo di stare a tavola è molto meno istintivo di quello di un uomo. Spesso gli uomini si approcciano al cibo con lo stesso ardore con cui si avvicinano al sesso e traslando la descrizione di un uomo a tavola nel suo comportamento far le lenzuola capita di fare sconcertanti e di solito sempre giuste scoperte!
* Ritorniamo al rifiuto del ruolo di madre nutrice..
Non è che lo rifiuti, è semplicemente un dato di fatto, una condizione, uno stato, una constatazione. Appartengo a quella generazione di donne che ha lottato nel primo femminismo, che quindi ha attaccato i ruoli in cui ci si sentiva ingabbiati, quelli di madre e moglie, quelli di casalinga e donna accudente. Sono stata e sono una madre orgogliosa e molto felice, ma più aggressiva e tigre che non madre accogliente. Adoro i miei due figli, ma mi lasciano indifferenti i bambini, ora come quando ero adolescente. Ho sempre trattato i miei figli come persone, come piccoli adulti. Anche se li ho abbracciati e continuo a farlo anche se dico loro e loro dicono a me che ci vogliamo bene. Il “rifiuto” è anche ereditato: sono figlia di una madre poco, pochissimo accudente e sinceramente non mi è dispiaciuto, mi ha dato forza e indipendenza.
*Giornalista, critica cinematografica, scrittrice: quale il filo conduttore che ti ha sempre accompagnato e ti accompagna nelle tue attività?
Essere giornalista è stato un modo per conoscere e stare nel mondo che mi interessava di più, quello della cultura e dello spettacolo. Sono fortunata perché lo sto frequentando anche ora e sempre con grande entusiasmo.
*Sei anche critica cinematografica: come é nato e come si é sviluppato il tuo rapporto con il cinema?
Ho sempre amato il cinema, fin da bambina, la passione vera è arrivata negli anni del liceo e non mi ha più abbandonato. Amo tutti i film, quelli belli ma anche quelli brutti, quando guardo un film penso, sogno, immagino, mi emoziono, anche se sono critico cinematografico il mio primo impatto è sempre da spettatore e solo dopo ragiono sulle emozioni che mi ha suscitato a mente fredda e con tutti gli aiuti del mio bagaglio culturale. Ci sono film che hanno segnato la mia vita e che potrei rivedere cento volte.
*Parliamo del vostro nuovo libro
Io e Giorgio stiamo lavorando a una serie di gialli sulla Milano degli anni Cinquanta e Sessanta che ci sta molto appassionando, un progetto che mescola la Storia con tanto di vero, fatti e personaggi frutto di lunghe ricerche, e le storie che inventiamo. Siamo arrivati alla quarta indagine di Greta Morandi, avvocato penalista milanese e Mario Longoni, detto Marlon, detective di stampo chandleriano ex pugile proletario e comunista. Questa volta indagano nella Milano del 1963, nei giorni dell’omicidio Kennedy: un industriale con la passione del cinema viene trovato impiccato nella sua villa in viale Monterosa, appeso a un complicato sistema di tiranti: omicidio, suicidio, gioco erotico finito male?
La principale sospettata è un’attricetta che stava lanciando nel mondo del cinema. Quello che più mi piace del libro è che sia un omaggio ai grandi film noir degli anni d’oro, con molte citazioni che gli appassionati coglieranno. I titoli dei capitoli sono quelli proprio di film noir americani e francesi degli anni Quaranta e Cinquanta. Un lavoro che mi è molto piaciuto e che spero diverta i lettori.
* Ccosa ti piace di più di te?
La mia testa non mi dispiace
*Qual è il tuo dono da portare al mondo, quale la tua specifica nota?
L’attenzione, la mancanza di sciatteria. Mi impegno. Non sono superficiale. Controllo ogni cosa. Le grandi e le piccole. La cura è sulla storia, ma anche sul refuso più minuscolo. Sono sincera nelle interviste e nelle presentazioni e rispetto ogni lettore, apprezzo ogni commento e non ignoro nessuna critica. Anzi sono grata a chi mi legge con attenzione e mi dedica del tempo. Proprio come stai facendo tu ora: grazie!