Rachel Moran – Stupro a pagamento. Non chiamiamolo sex work. È una violenza e un abuso sulle donne, che gli uomini comprano col denaro per poterle stuprare. Un crimine contro l’umanità, contro le donne.
Alcune considerazioni a caldo sulla presentazione del libro Stupro a pagamento – Paid for di Rachel Moran.
Rachel Moran è una sopravvissuta irlandese, co-fondatrice di SPACE international (organizzazione che riunisce sopravvissute provenienti da 7 paesi), ha vissuto 7 anni in prostituzione, dai 15 ai 22 anni. Ne è uscita e come sottolinea lei stessa non era scontato che ci riuscisse, molte donne vi restano intrappolate. Lei ha avuto la possibilità di uscirne per tempo, a una età che le ha permesso di rifarsi una vita, continuare gli studi e laurearsi in giornalismo. Il suo attivismo è venuto di conseguenza, piano piano, non poteva restare in silenzio, doveva dare voce a chi come lei la vita in prostituzione la conosceva bene, in tutti i suoi aspetti, senza sconti o edulcorazioni. E col tempo si sono unite a Rachel nuove attiviste sopravvissute.
Non recensirò il libro in questo pezzo, me lo devo studiare per bene. Ma ci tengo a fermare i pensieri e le mie emozioni.
Una delle prime occasioni in cui ho “incrociato” di Rachel Moran è stata nel 2014, da questo intervento al FemiFest 2014.
Chiara, efficace, semplicemente ti sa comunicare l’essenziale. Una conferma della sua capacità di trasmettere la sua esperienza e il suo percorso. La sua testimonianza è di per sé sufficiente per smascherare qualsiasi “depistaggio” o tentativo di glamourizzazione della vita in prostituzione.
Primo disvelamento: oggi è molto diffusa l’abitudine a separare la tratta dalla prostituzione.
In passato avevo trattato l’argomento qui e qui, penso che queste considerazioni siano ancora valide e utili a comprendere la questione per cui disgiungere i fenomeni serve solo a coprire la realtà.
Così come il termine sex worker, coniato dagli sfruttatori, serve solo a deformare la realtà di abuso e violenza di cui è intrisa la vita delle donne prostituite. Prostituite perché esiste una domanda, una richiesta di sesso a pagamento.
Senza la domanda si ridurrebbe l’offerta e lo sfruttamento delle donne, compreso il fenomeno della tratta di esseri umani, il secondo business mondiale dopo quello delle armi e prima di quello della droga.
Gli uomini pagano per poter stuprare, per poter possedere un corpo, per ottenere sesso non desiderato da una donna. Le ragazze che entrano in questo incubo sono sempre più giovani e quasi sempre c’è una storia di emarginazione, difficoltà di sopravvivenza, famiglie disfunzionali e fragili, impossibilità a trovare un lavoro e a sostentarsi perché troppo piccole, situazioni in cui non si ha una casa e si vive da senzatetto, abusi e violenze familiari, un passato traumatico. Un quadro che non può assolutamente far pensare che si tratti di libera scelta, di una scelta volontaria. Non avere alternative altera la capacità di scelta degli individui, entri in un vicolo cieco. Così come Rachel spiega bene che è folle parlare di consenso da parte di una ragazza minorenne. Una narrazione che sostiene che una ragazza possa essere consenziente serve solo a giustificare la perversione di uomini che abusano di minorenni, poco più che bambine.
È un crimine universale, una vera e propria violazione dei diritti umani. Ma perché pur essendo essenzialmente questo, siamo ancora qui a chiederci se punire questo crimine, perpetuato da sfruttatori e clienti? C’è una sorta di rassegnazione e di ineluttabilità quando si pensa che la prostituzione sia qualcosa di permanente, di non cancellabile. Però se pensiamo agli omicidi, continuano ad avvenire nonostante ci sia il reato e il carcere, eppure a nessuno viene in mente di mettere in discussione la punibilità di un reato simile. Noi consentiamo che ci sia invece un terreno franco, in cui è consentito pagare e commettere fondamentalmente un abuso su un’altra persona.
Le storie e le condizioni che portano le donne nel mondo della prostituzione sono rimaste le medesime nonostante il passare dei secoli, dei decenni e i vari cambiamenti storici. Oggi abbiamo un elevato numero di persone vittime di tratta, ma le necessità di spostarsi geograficamente ha sempre costituito un aumento del rischio di subire varie forme di violenza e sfruttamento. In un lavoro della Caritas leggiamo:
“La dislocazione di donne in particolare da alcune zone del Paese ad altre soprattutto sul piano agricolo (mondine) o agroalimentare (raccolta frutti e confezionamento prodotti), come anche lo spostamento nel dopoguerra dalle campagne alla città e dal Sud al Nord hanno portato nei primi decenni del ‘900 al verificarsi di fenomeni gravi di violenza alle donne, di sfruttamento sul lavoro e anche di sfruttamento sessuale. “
Storicamente lo spartiacque è stato il varo della legge Merlin nel 1958. È stata rivoluzionaria per come Lina Merlin ha lavorato, perché di fatto ha messo in atto una vera e propria campagna di ascolto delle donne. Rachel Moran racconta le audizioni delle donne al parlamento irlandese, che hanno poi portato ad aprire nuovi orizzonti e scenari e fino all’adozione del modello nordico o abolizionista. Esattamente questo ascolto ha portato Lina Merlin a tracciare le basi della legge che ha posto fine alle case chiuse e allo sfruttamento di stato. Lina Merlin riceveva moltissime lettere dalle donne, che raccontavano la loro esperienza in prostituzione. Da questo è nata una legge, che nonostante la perfettibilità di ogni cosa, ha messo al centro la donna, che non è criminalizzata, prostituirsi non è un reato, ma ha reso tale lo sfruttamento, il favoreggiamento e l’induzione alla prostituzione.
Quindi alla base di tutto ci deve essere una rilevante capacità di ascolto della realtà da parte delle istituzioni. Istituzioni che secondo il modello abolizionista devono assicurare strategie concrete di fuoriuscita dalla prostituzione: abitazioni, sostegni economici, la possibilità di crescere i propri figli, un lavoro, cure sanitarie, istruzione.
Il modello funziona se vengono messi in campo questi sostegni, accanto alla punibilità di chiunque compia una forma di sfruttamento economico e sessuale di una persona (cliente, pappone, trafficante ecc.), senza distinzione di genere sia per chi la esercita che per chi la subisce. Inoltre lo stato si impegna a varare programmi di educazione alle relazioni. Chiarissimo no? Chi si oppone chiaramente ha interessi economici, ideologici e personali molto forti. Queste le ragioni di una resistenza e di una opposizione. Non è solo un fattore culturale, in Italia e in altri Paesi preferiamo chiudere gli occhi e assuefarci al racconto deformante della prostituzione come lavoro. Alla base la più grande menzogna, che vuole coprire la realtà della violenza a cui sono soggette le persone prostituite.
Nessuna donna sceglierebbe mai e rimarrebbe in questa vera e propria schiavitù se avesse delle alternative di vita. Non potete costringere le donne in questo abuso permanente, ignorando che ciascun essere umano ha diritto a una vita dignitosa, senza violenza. Per questo dobbiamo ascoltare le sopravvissute, chi ha vissuto sulla propria pelle questa esperienza.
Purtroppo devo registrare l’assenza ieri sera di una parte di attivismo femminista. Non è un buon segnale, soprattutto perché se perdiamo l’abitudine ad ascoltare e ad approfondire siamo perdute.
È un pessimo segnale perché a perdere sono le donne e tutte le persone sfruttate e vendute. Naturalmente finché la cosa non ci riguarda, potremo continuare a raccontare del mito della prostituta felice. Per approfondire: qui. Penso che ci sia questo alla base della vulgata dei fautori del sex work, la rimozione della realtà, una maschera della trappola della violenza, come se il denaro la potesse legittimare. Subire violenza continuata può ragionevolmente essere un lavoro come un altro?
Quindi che fare? Su questo Rachel Moran è decisa: realizzare una coalizione ampia e che converga su questa battaglia, senza che si creino dispersioni di energie su altri temi, che rischiano di allontanare dall’obiettivo di realizzare un sistema sul modello abolizionista.
Credo che sia la chiave di ogni azione per cambiare realmente le cose, non disperdersi, per concentrarsi su determinati obiettivi e perseguirli con coraggio e determinazione.
Dobbiamo pensare alle donne di domani, abbiamo l’obbligo di costruire per loro un futuro migliore.
Per approfondire qui La cognizione dell’orrore, di Mariangela Mianiti.
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