La storia ufficiale delle donne nello sport è abbastanza recente se pensiamo che furono ammesse a partecipare solo nel 1900, durante i Giochi olimpici di Parigi.
In quell’occasione su 1470 partecipanti figuravano 229 atlete. Sempre nella stessa manifestazione Charlotte Cooper fu la prima campionessa olimpica ad aggiudicarsi una vittoria nel torneo individuale di tennis. Charlotte era nata ad Ealing il 22 settembre del 1870: le foto dell’epoca la ritraggono sul campo “con una lunga gonna bianca, corpetto con maniche a sbuffo e scarpine senza tacco in cuoio”. Non portava né guanti né cappello indossati invece dalle altre concorrenti. Charlotte vinse inoltre cinque titoli individuali a Wimbledon e giocò a tennis, a livello agonistico, fino a cinquanta anni. Si spense a Helensburgh il 10 ottobre 1966 all’età di novantasei anni.
Sempre in quell’edizione olimpica ricordiamo Margaret Abbot, golfista statunitense nata a Calcutta il 15 giugno 1878. Fu la prima donna americana ad ottenere una vittoria alle Olimpiadi. Suscita curiosità la sua storia perché in realtà Margaret partecipò a quella gara senza conoscere il valore della competizione. La carente organizzazione di quei Giochi non rese agevole capire quali gare facessero parte del programma olimpico e quali, invece, fossero inserite nei programmi della contemporanea Esposizione Universale in corso a Parigi. Margaret vinse un torneo femminile di golf a nove buche e contenta ritirò una ciotola di porcellana come premio (a quei tempi non venivano ancora assegnate le medaglie). Morì a Greenwich il 10 giugno del 1955, ignorando di essere una campionessa olimpica. Solo nel 1990, nella ricostruzione dei programmi e delle vittorie di quelle prime Olimpiadi, le fu assegnato il titolo postumo. Quella di Margaret viene considerata ancora oggi una delle storie più incredibili legate al mondo delle Olimpiadi.
In Italia, in Amore e ginnastica di Edmondo De Amicis troviamo la conferma delle stereotipo dominante di quei tempi della donna che praticava sport: “La ginnastica per le ragazze ha anche i suoi inconvenienti. I maestri di ballo osservano che toglie la grazia e abitua ai movimenti scomposti. Così i maestri di pianoforte dicono che, quando tornano dalla palestre, le signorine non san più suonare. Anche i professori di disegno si lamentano”.
Tra le prime donne italiane nel campo dello sport, ricordiamo Vittorina Sambri, Alfonsina Strada, Rosetta Gagliardi ed Ondina Valla.
Ettorina Sambri, detta Vittorina, è stata la prima donna italiana campionessa di motociclismo. Era nata a Vigarano Mainarda nel 1891 e, prima di approdare al motociclismo, gareggiava con la bicicletta nei velodromi e sulle piste in terra battuta nelle cosiddette “corse su pista per signorine” che si svolgevano a Ferrara e dintorni intorno al 1911.
Vittorina era lontana dai modelli femminili di quei tempi ed incuriosivano le sue mise in jupe-culottes (gonne pantalone) e maglietta, il suo viso senza trucco e i lineamenti mascolini. Era lesbica e, quando fu scoperta “con la sua morosa”, come riportò la stampa dell’epoca, fu addirittura picchiata e allontanata dalla famiglia che non condivideva la sua omosessualità. Dopo le gare ciclistiche si dedicò ai motori e nel 1913 partecipò al “Premio Ferrara” arrivando seconda. I colleghi maschi erano invidiosi del suo successo e uno in particolare, un certo Antonazzi, la sfidò illudendosi di rimandare a far la calza, in due e due quattro, quell’impertinente che non voleva stare al suo posto. Vittorina accettò la sfida strappando la vittoria al borioso avversario che, stizzito e umiliato, le lasciò tutti gli applausi della folla.
Alfonsina Morini Strada era nata nel 1891 a Castelfranco Emilia. Le foto dell’epoca la ritraggono come una ragazza “piccola e muscolosa, capelli corti e capricciosi intorno ad un viso paffuto con un sorriso appena accennato”. Fu la prima donna a partecipare al Giro d’Italia nel 1924. Nacque da una famiglia di poveri contadini che, a causa delle disastrate condizioni economiche, non poterono mai regalarle un giocattolo. Quando aveva appena dieci anni, il padre portò a casa una vecchia bicicletta: per Alfonsina quel rottame, che pian piano riparò, divenne tutto il suo mondo. La famiglia però osteggiava la sua passione e, quando si sposò con Luigi Strada, finalmente trovò la persona capace di spronarla a perseguire il suo sogno. Suo marito la incoraggiò sin dal giorno delle nozze regalandole una nuova e fiammante bicicletta da corsa. Alfonsina è passata alla storia come il “diavolo in gonnella” e fu definita “ la suffragetta delle cicliste”.
Rosetta Gagliardi, classe 1895, fu la prima donna italiana a partecipare ai Giochi Olimpici, quelli di Anversa del 1920. In quella occasione, oltre a gareggiare come tennista, fu anche portabandiera della squadra italiana. .
Invece Ondina Valla è stata la prima atleta italiana a conquistare una medaglia d’oro olimpica negli 80 metri ad ostacoli alle Olimpiadi di Berlino del ’36. Il suo record è rimasto imbattuto fino al 2004. Era nata a Bologna il 20 maggio 1916 da una famiglia benestante ed era l’unica femmina dei sei figli. Il suo vero nome era Trebisonda – il padre aveva voluto chiamarla così in onore dell’antica città di Trapezunte – ma per tutti era Ondina. Con le sue vittorie mandò in frantumi il legame esclusivo tra modello maschile e successo nello sport. È morta nel 2006.
Le donne hanno subito forti discriminazioni nello sport e, pur essendo passati millenni, sono ancora tante quelle che oggi, in molte parti del mondo, sono costrette a travestirsi da uomini per assistere alle manifestazioni sportive e si vedono negata la partecipazione ad alcune discipline. Basti pensare che soltanto nel 2012, alle Olimpiadi di Londra, per la prima volta hanno partecipato alle gare atlete del Qatar, del Brunei e dell’Arabia Saudita.
Ricordiamo che, nel 1968, Norma Enriqueta Basilio è stata la prima donna ad accendere il braciere olimpico. Speriamo che questa grande torcia, dall’alto valore simbolico, possa irradiare luce e calore a tutte quelle atlete ancora discriminate.
Da “Le mille i primati delle donne” dell’Associazione Toponomastica femminile a cura di Ester Rizzo