La violenza di genere è costantente oggetto di riflessione e dibattito. Senza dubbio è semplice ed eticamente appagante disquisire dei soprusi (estesi a maltrattamenti domestici, aggressioni e persecuzioni sociali) sistematicamente perpetrati a danno esclusivo dell’altra metà del cielo.
Le varie, impercettibili sfumature di questo lato oscuro e intenzionalmente sottovalutato della realtà corcostante si stanno purtroppo palesando nella loro assurda complessità. Abusi sessuali, fisici e psicologici, assurti repentinamente a oggetto di sterili dissertazioni a opera di chi si affida all’impatto mediatico della demagogia per simulare una vaga opera di sensibilizzazione collettiva.
Mi riferisco a coloro che – per un motivo o per l’altro – si sentono attratti dai salotti televisivi ideati a esclusivo beneficio dello share. Alludo a uomini decisamente poco coinvolti dalle problematiche femminili (forse troppo astratte e sfuggenti) ma anche ad alcune autorevoli esponenti del cosiddetto sesso debole, che schiave delle concezioni tradizionaliste – principale ostacolo a qualsiasi analisi razionale – seguitano incomprensibilmente ad addurre vuote considerazioni di facciata, ricorrendo spesso a luoghi comuni e frasi di circostanza.
Salvo rare eccezioni insomma, la questione inerente la lotta allo stupro non sembra focalizzare l’opinione pubblica.
Evidentemente i fautori dell’indifferenza e i cultori della retorica tendono tuttora a minimizzare l’entità di un problema che trascende gli impenetrabili confini del loro egocentrico microcosmo.
Non conoscono i reconditi risvolti del terrore, le molteplici incertezze (sopravvivenza inclusa) che derivano dalla consapevolezza di ritrovarsi impotenti in balìa dei carnefici. E nemmeno l’angoscia, il senso di umiliazione (talvolta persino di colpa) che affligge le reduci dall’inferno.
Ignorano il significato dell’umiliazione: mani incatenanti – estreme propaggini di corpi luridi e viscidi – pronte a strappare l’anima; colpi devastanti che cessano di arrecare dolore nell’istante stesso in cui cominciano a delinearsi quali inevitabili complementi dello scempio in atto.
Una tragica rappresentazione destinatata a rimanere impressa nella memoria delle interessate, restìe per istinto alla condivisione verbale del dramma vissuto: del resto, quasi nessuno sarà disposto ad ascoltare i lamenti provenienti da cuori tormentati e vilipesi senza incorrere nell’insidiosa trappola della stigmatizzazioe sociale.
Argomentare impropriamente sulle sofferenze inflitte alla popolazione femminile rischia quindi di sviare pericolosamente l’attenzione generale da ciò che quotidianamente avviene in ogni angolo del pianeta. Sarebbe auspicabile un maggior coesione da parte delle donne stesse, al fine di contrastare la persistenza di un retaggio patriarcale da cui gli aguzzini (biechi individui dalle menti labili) insistono a trarre linfa vitale per i loro crimini.
Oltretutto – è impellente ribadirlo – l’assenza di empatia nei confronti delle vittime equivale spesso a tacita condiscendenza con gli aggressori.